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 2006  marzo 15 Mercoledì calendario

Immigrati in coda: 500 mila richieste. Corriere della Sera 15 marzo 2006. Ore 12.15 (lunedì). Ho bisogno, e il bisogno semplifica le cose

Immigrati in coda: 500 mila richieste. Corriere della Sera 15 marzo 2006. Ore 12.15 (lunedì). Ho bisogno, e il bisogno semplifica le cose. Ho bisogno di assumere una persona che vive in Etiopia e siccome il decreto che domani permetterà di presentare la domanda prevede pochissimi posti, ho deciso che passerò la notte davanti all’ufficio postale: verso le otto di stasera – diciotto ore e mezzo prima, maledizione ”, mi piazzerò lì con la mia bella busta, e sarò il primo. Non sono mai stato il primo di una coda, penso, mentre vado sul posto a dare un’occhiata, giusto per vedere se si sa già come verrà organizzata tutta la faccenda. E per fortuna che ci vado: c’è già un gruppo di albanesi con una lista in mano, arrivata al numero 12. Guardo l’orologio: mezzogiorno e venti. Più di ventisei ore prima. Com’è possibile? Chiedo al ragazzo con la lista in mano e lui mi dice che è qui davanti da ieri mattina. Poi mi incoraggia a mettermi in lista e io, un po’ imbambolato, scrivo un 13 e ci metto vicino il mio nome; ma non sono affatto preparato, in realtà, per passare qui davanti anche tutto il pomeriggio; e in più col 13 non sarà facile rientrare nella quota: dicono che i posti disponibili per Prato siano solo 180, gli sportelli abilitati nei vari uffici postali della città sono venti, perciò potrei avere davanti dodici per venti, oh no, duecentoquaranta persone. Ma la mazzata vera arriva quando parlo con Marco Brachi, il direttore, che conosco perché i nostri figli giocano insieme a pallanuoto, e scopro che ogni persona potrà presentare cinque domande. Ma come? Ho consultato decine di siti Internet e questa cosa non c’era scritta. Cinque per dodici sessanta, per venti milleduecento: ho chiuso. Rimango impalato sul marciapiede e devo avere davvero una faccia molto affranta, perché il ragazzo albanese mi viene vicino e mi indica il numero 3 della sua lista, dove c’è scritto «Anna»: «Vai da lei» mi dice, indicando una macchina parcheggiata. E io ci vado, vado da questa signora coi capelli bianchi che sta leggendo seduta al volante di una Peugeot, ma non so perché lo faccio. Poi, però d’un tratto, lo so. Busso al finestrino, lei apre lo sportello e io le chiedo se per caso ha ancora posto per una domanda da presentare. Lei mi dice di sì e il mio problema è risolto. Esultante, le annuncio che stanotte potrà dormire tranquilla a casa sua, perché la veglia qui davanti la farò io. «Oh, no – fa lei – ci ho già dormito la notte scorsa e ci dormirò di nuovo. Ho il piumone». Allora le dico che adesso ho un po’ da fare coi figli, ma dopo le cinque tornerò e resterò qua tutta la notte con lei. Lei sorride di nuovo, mi dice di non preoccuparmi e si rimette a leggere. Preghiere, mi sembra. Ore 0.30. Ed eccoci qui. La lista è arrivata a 127 nomi, ma qua davanti siamo solo una ventina. Brachi si è preso a cuore la faccenda ed è venuto a dirci che domattina alle sette e mezza farà un appello e cancellerà dalla lista quelli che non ci saranno. venuto anche il figlio di Anna, Alessandro, che vuole fare la nottata anche se cammina con la stampella perché si è distrutto un ginocchio. Poi c’è il gruppo degli albanesi, capitanati da Altin, il ragazzo che stamattina mi ha dato quella dritta fantastica; ci sono delle ragazze filippine, un romeno che sembra Vincent Kassel, un pakistano, un marocchino dinoccolato, una peruviana, due cinesi. C’è la luna piena. Una toilette chimica è stata installata nella piazzetta. Ogni mezz’ora passano i volontari della Protezione civile che distribuiscono bevande calde, acqua, coperte, passano due ragazzi di Rifondazione coi succhi di frutta, passa perfino l’assessore per controllare di persona e si sta quasi bene. Poi, una donna rincasa proprio qui accanto e ringhia alle ragazze albanesi sedute per terra: «Oh, io dormo qui sopra. Vediamo di non fare casino». Ore 4.30. Mi sveglio col gelo nelle ossa. Ho dormito un paio d’ore, in macchina anch’io, come Anna dorme nella sua. Alessandro invece è rimasto seduto davanti all’ufficio postale, stoico, appoggiato alla sua stampella. Ora mi sembra dura arrivare alle due e mezza di pomeriggio. Mi metto a parlare con Altin e capisco che se puta caso decidesse di fare il terrorista sarebbero pasticci: ha curato ogni dettaglio. qui da due giorni. Ha parcheggiato la macchina qua davanti una settimana fa. Ha tutto doppio, domande, buste, cedole, nel caso qualcosa s’inceppi durante la ricezione. « il bisogno» dice, sorridendo. Già. Ore 6.15. L’alba. I camion della nettezza urbana, gli uccellini, il cielo che schiarisce. Altin ha reclutato Anna per fare le prove della consegna: prima lui fa l’impiegata e Anna deve fare il gesto di consegnargli buste e cedole, che lui fa il gesto d’infilare nella macchinetta. Poi il contrario. Sulla ricevuta l’orologio delle poste segnerà l’ora al millesimo di secondo, spiega, e lui si sta allenando a limare al massimo i tempi. Ore 13.40. Ci siamo. Brachi fa entrare i primi sessanta e li sistema in coda nel labirinto di nastri. Ha organizzato tutto alla perfezione e tutto è filato liscio. Alle sette ha aggiornato la lista, poi ha distribuito i numeri e nessuno ha nemmeno potuto provare a fare il furbo. Ora passa lungo la coda e cambia i soldi a chi ne ha bisogno, così che tutti li abbiano contati e non si perda tempo a fare i resti. Manca quasi un’ora e tutto è già pronto. Io sono rimasto fuori e la separazione da Anna è stata quasi toccante. Ore 14.20. Attraverso il vetro tempestato di riflessi, vedo che gli sportelli a disposizione sono quattro, perciò essere primi o quarti non faceva differenza. Anna, Altin, il suo amico e una ragazza disabile sono già davanti alle impiegate, ma bisogna aspettare l’ora precisa. Ore 14.38. Anna esce, sorridente. Mi dà la mia ricevuta e io guardo subito l’ora: 14.31 minuti, 36 secondi, 987 millesimi. Ce l’ho fatta di sicuro. L’abbraccio, ma ecco che esce Altin, rosso in viso, l’aria disperata. 14.32 e rotti, per lui, perché l’impiegata si è incasinata e Altin è piombato nella disperazione. «Non ce la farò – ripete – con 32 non ce la farò mai!». Cerco di farlo ragionare: come possono essergli passate davanti centottanta persone in due minuti? Ma lui comincia a sbrodolare che per gli albanesi la quota è minore, scuote il capo, non si dà pace. Lo abbraccio, gli ripeto che ce l’ha fatta, può stare tranquillo e alla fine si calma un po’. «Sì – ammette – ho speranza». Poi mi chiede che ora ho spuntato io e non ho il coraggio di dirgli che gli ho dato quasi un minuto, non lo reggerebbe. «Eee, 14.34 – dico ”. Ma ho speranza anch’io». Chi non ce l’ha di sicuro è la massa di cento e più persone che si snoda nella fila e impegnerà l’ufficio postale nelle prossime due ore con la consegna di domande del tutto inutili. Perché questa legge è assurda, assurda. E se puta caso Altin rimanesse davvero fuori, sarebbe anche disumana. Sandro Veronesi