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 2006  marzo 14 Martedì calendario

Limonov Eduard

• (Eduard Salenko) Dzerdzhinsk (Russia) 22 febbraio 1943. Scrittore • «L’unico letterato che tutti i russi anche illetterati conoscono, il nazional bolscevico, il punk [...] Poeta, romanziere, intellettuale, volontario a fianco dei serbi e in tutte le guerricciole combattute da un impero che non voleva rassegnarsi a diventare solo un grande paese [...] un’esistenza avventurosa, dissipata, anarchica, su cui ha costruito la sua figura di intellettuale arrabbiato, dissidente globale, in un corto circuito tra realtà e finzione: da sempre il nutrimento della sua prosa che ha forte il sapore dell’autobiografismo. Proprio in questo miscuglio di dannunzianesimo, ribellismo, eccessi e provocazioni rischierebbe di andarsi a cacciare chi volesse occuparsi della figura di Limonov, se non fosse che è lo scrittore stesso a prendere le distanze dall’immagine mitica e stereotipata che gli è stata costruita attorno. Parla con tono dimesso, nessun proclama, molto comune buon senso: ”Sono uno scrittore migliore oggi: l’esperienza della prigione mi ha maturato, reso più saggio. Soprattutto, però, sono molto soddisfatto degli otto libri scritti mentre ero dietro alle sbarre. Il mio stile è diventato più diretto, aggressivo, pornografico: la rappresentazione della vita di un uomo privato della libertà”. La prigione. Due anni trascorsi in cella per una accusa che ha del grottesco: l’aver organizzato con uno sparuto gruppo di militanti del Partito nazional bolscevico l’invasione del Kazakistan. Fu arrestato, Limonov, durante un viaggio nelle montagne dell’Altaj, ai confini con la Mongolia, mentre era alla ricerca, con gli altri congiurati, di un luogo per fondare una comune, nucleo del sogno eterno – e più che mai velleitario – di una nuova Russia, questa volta imperiale, eurasista, comunitaria, socialista. Come lo scrittore dissidente, l’intellettuale apolide, fosse arrivato a farsi coinvolgere così profondamente dai sogni del suo ego fittizio alla disperata ricerca di identità e rivincite, non lo si capirebbe senza fare un passo indietro per raccontare almeno alcuni episodi della sua esistenza. Limonov, innanzitutto, non è Limonov: nasce Eduard Savenko nel 1943 a Dzerzhinsk, e trascorre a Charkov, città dell’Ucraina russofona, gli anni dell’adolescenza, da teppistello innamorato della letteratura e della poesia del futurista Valemir Chlebnikov. Passioni che lo portano a Mosca, dove i suoi versi cominciano a circolare in samizdat, troppo sperimentali nel grigiore di quegli anni per trovare editori. Rifiutata l’offerta di collaborare col KGB come spione, Limonov è costretto a lasciare il paese. E, sorte comune a molti degli émigrés della terza generazione, prima di approdare in America passa per Roma, qualche periferia dove, ricorda nel Libro dell’Acqua, la doccia si faceva una volta settimana, c’era il lucchetto al telefono, e si mangiava solamente ”pasta e poi ancora pasta, e pomodoro, e aglio, aglio, aglio…”. A New York, dove arriva nel 1975, si scopre dissidente della dissidenza, prende a odiare l’America, vive in uno spaesamento comune a molti emigrati russi. Sono gli anni del punk e Limonov li vive con partecipazione e intensità: significano scoperta dell’estremo, luoghi sordidi e pessime frequentazioni, alienazione ed estraneità, disillusione. L’arma di difesa è la parola. Scrive molto: il suo primo romanzo, Sono io, Ediãka – storie di bisessualità, marginalità – è uno shock per l’ambiente letterario russo ma ha successo. Ed è tradotto anche in italiano, seppure dal francese, con l’azzardato titolo Il poeta russo preferisce i grandi negri. Dal tradimento americano comincia il suo percorso di riavvicinamento all’Europa e alla Russia. Si trasferisce a Parigi, diventa cittadino francese, collaboratore dell’Idiot international a fianco di Michel Houellebecq, e prende a fare avanti e indietro con Mosca. Fino al 1992, quando decide di tornare in Russia. Vuole fare la rivoluzione, come Lenin nel 1917, ma a differenza di Lenin, non ha un partito, non ha militanti: solo l’illusione di essere al centro della Storia. Nel delirio rivoluzionario che lo spinge a farsi fotografare mentre spara con un mitragliatore serbo in direzione della Sarajevo assediata, Limonov mescola nazionalismo, suggestioni panslave e sogni imperiali, per davvero e per gioco non importa. Sono questi gli anni in cui la confusione tra finzione letteraria e vita reale diventa inestricabile e l’ebbrezza politica lo avvicina a vari estremisti di parrocchie opposte, fino a fargli fondare, con l’ideologo dell’eurasismo Aleksandr Dugin, la sua creatura prediletta: il Partito nazional bolscevico. Rifugio per estremisti d’ogni genere, agli occhi dei russi, costretti a fare i conti col caos degli anni Novanta, il NBP non è altro che un’accolita di punk, esaltati, fascisti e comunisti, derelitti e sporcaccioni, guidati da un leader con la cresta, il colbacco, circondato da giovani amanti sedicenni. Insomma un tentativo di estetizzare la politica ricorrendo a una commistione bastarda di simboli – falce e martello nera su campo bianco e sfondo rosso – che era solo la prima e la più evidente delle provocazioni. ”I simboli che abbiamo usato non sono mai stati i simboli del nazismo – spiega Limonov ”, certo la scelta di usare colori, forme che richiamavano il passato sovietico in modo volutamente ambiguo ci ha dato visibilità, ci ha avvicinati alla parte più dinamica, aggressiva, ribelle della gioventù russa. Quando nacque, il NBP doveva essere un soggetto politico nuovo, qualcosa di mai visto, oltre le tradizionali distinzioni politiche, capace di combinare i temi della giustizia sociale con i richiami al nazionalismo e alla difesa dei cittadini russi fuori dai confini del Paese”. Nulla di nuovo, si dirà, nel paese che ha conosciuto le diverse declinazioni del nazionalbolscevismo (quello dei futuristi, quello ebraico di Isai Lezhnev e lo smenovechismo) e il comunismo patriottico di Stalin. La vera forza dell’idea di Limonov e Dugin era un’altra: parlare un linguaggio sconosciuto alla politica russa, mettere in pratica il gioco della beffa estetica per smascherare le debolezze del potere, riproporre una versione dark della vocazione rivoluzionaria dei giovani nichilisti russi dell’Ottocento. Con anche qualche risvolto ambiguo che è costato più di un’accusa di antisemitismo e razzismo: ”Non siamo mai stati razzisti o antisemiti, e non siamo mai stati accusati di esserlo, qui in Russia: quella di un partito di razzisti e filonazisti è un’immagine che è stata costruita da chi ci temeva per screditarci agli occhi dell’occidente. una strategia che si è fatta più forte man mano che la popolarità del partito cresceva”. Strumento su cui il NBP ha costruito la sua strategia politica è stato il periodico Limonka, granata in russo, sventolato nelle manifestazione dei giovani militanti e venduto agli angoli di strada da vecchie babushke nostalgiche. Sulle sue pagine sono comparse negli anni invenzioni grafiche degne degli esperimenti situazionisti: superman CCCP, cavalieri medievali nazional bolscevichi, skinhead con labbra colorate dal rossetto e il kalashnikov in mano. E poi il decalogo del militante ideale – un uomo che non fuma, fa sport, odia l’America puttana, studia la letteratura del partito, fa propaganda – e la preghiera del bolscevico, uscita dalla penna di Limonov stesso, che finisce in un tripudio di cameratismo suicida: ”Si unisca il mio sangue al sangue del partito/sentiamoci tutti un unico corpo./Sì, Morte!”. Tutto questo radicalismo non è sfociato, però, in azioni significative, meno che mai in un progetto politico concreto, almeno fino a quando l’ideologo Dugin ha fatto parte del movimento. Sepolti gli anni eltisiniani della transizione selvaggia, della libertà sfrenata, il teatrino della rivoluzione e della provocazione sterile ha perso gran parte del suo fascino proibito e davvero Limonov si è messo a fare a politica. Ossia, niente più messianesimo nazional comunista, ma la stessa energia al servizio di un programma in tutto e per tutto liberale con un bersaglio preciso: Vladimir Putin. ”Quello di cui la Russia ha bisogno oggi è una grave crisi politica, un evento che cambi le carte in tavola. Il nostro compito è fare ciò che i deputati della Duma e i partiti democratici non fanno più: opposizione al potere del Cremlino. Più volte abbiamo lanciato la proposta di dare vita a grandi manifestazioni di piazza contro il regime attuale, ma nessun partito è disposto a prendersi una tale responsabilità. Noi l’abbiamo fatto e abbiamo pagato: alcuni militanti sono ancora in prigione. Questa è la differenza tra i comunisti, i liberali e il NBP: noi siamo giovani, aggressivi e attivi, ma sempre con mezzi non violenti”. Di azioni dai grande impatto mediatico, in effetti, i nazional bolscevichi ne hanno fatto parecchie, spesso mettendosi in guai seri. L’ultimo colpo è stata l’occupazione del tetto del tribunale di via Nikulinsky a Mosca il 20 dicembre, per protestare contro la sentenza che due settimane prima aveva condannato a pene tra uno e tre anni e mezzo otto dei 39 membri del movimento che nell’agosto del 2004 erano riusciti a penetrare in un ufficio dello staff presidenziale e a inscenare una rumorosa azione di disturbo. Ma quello che più ha contribuito a dare visibilità al BNP sono state le proteste contro le riforme volute da Putin all’inizio dello scorso anno - e poi in parte rientrate – sulla monetizzazione dei benefici per alcune categorie deboli: un successo che ha convinto Limonov di essere finalmente riuscito parlare alle masse, come un populista ottocentesco, e di poter avere un ruolo anche nella politica all’interno delle istituzioni. ”Se ci ammettessero alle elezioni legislative potremmo superare la soglia del 10 per cento dei voti. Ma il Cremlino ha cominciato a temerci e difficilmente il ministero della Giustizia permetterà la registrazione del partito a livello nazionale, nonostante siamo in possesso di tutti i requisiti. Se saremo esclusi ufficialmente dalle lezioni, chiederemo ai nostri elettori di scrivere il simbolo del partito sulle schede e ai rappresentanti e agli osservatori dei partiti amici di contare i nostri voti”. Nel nuovo programma democratico con sfumature radicali del nuovo BNP, di nazionalista o bolscevico rimane a stento qualche pallida ombra: inutile perciò tentare di strappare a Limonov dichiarazioni a affetto sulla sua presunta stima per Saddam o per l’antiamericanismo iraniano: prenderebbe le distanze dalle sue vecchie dichiarazioni, come ha fatto quando gli abbiamo chiesto di ricordare gli eccessi degli anni Novanta. Eppure l’immagine di Limonov ribelle e maledetto non è svanita, né in patria, né all’estero, dove anzi è uno degli ingredienti del suo successo di scrittore. Un successo internazionale, del quale sembra si siano accorti negli ultimi tempi anche alcuni editori italiani. Dopo la vecchia, introvabile traduzione di Sono io, Ediãka, e un racconto pubblicato sull’antologia I fiori del male russi, curata da Viktor Erofeev, negli ultimi due anni sono stati pubblicati in Italia tre libri che rispecchiano altrettante anime della scrittura di Limonov. C’è, uscito per la piccola Odradek di Roma, il Diario di un fallito, frammenti, ricordi, impressioni della sua difficile esistenza newyorchese, dove osa prendersi gioco di due miti della cultura russa in esilio, Solzhenitsyn e Nabokov, e sogna di sparare ”sulla pancia gonfia e moscia del presidente degli Stati Uniti d’America” prima di suicidarsi con un colpo alla tempia. Di tutt’altro periodo è il Libro dell’Acqua, edito da Alet e corredato da una serie di curiose riproduzioni di manifesti e slogan del NBP. In questa collezione di memorie legate a luoghi d’acqua – mari, fiumi, laghi, fontane – uno dei molti testi scritti durante la prigionia, Limonov tradisce, forse più che in ogni altro suo libro, il tentativo di lasciare le tracce della sua smisurata personalità sul lettore, di proiettare se stesso - o il proprio doppio letterario? – oltre la ”noiosa marmaglia” che lo circonda. Chi legge il libro ha però il gusto di avventurarsi in un mosaico narrativo ben congegnato, del quale colpiscono i ritratti di luoghi desolati e una certa malinconia di fondo che rende più sopportabili i frequenti eccessi di narcisismo. Così devono avere pensato anche i giurati che nel 2002 hanno assegnato all’opera il premio intitolato ad Andrei Belij, un riconoscimento non ufficiale che consiste in un solo simbolico rublo ma porta in dote parecchio prestigio. Di fronte alla scelta buona parte della comunità letteraria ufficiale russa ha gridato allo scandalo: il premio a un fascista, per di più pessimo scrittore! Il Limonov di oggi forse non è più l’esibizionista furioso dello scorso decennio, la sua prosa però non ha perso la forza eversiva e provocatoria. Quando gli si chiede se crede ancora che la sua opera sia stata per la Russia quello che per il mondo occidentale sono state le sottoculture giovanili, come scrisse anni addietro egli stesso, Limonov si ferma a riflettere. (Di fronte alla domanda se crede ancora che la sua opera sia stata per la Russia quello che per il mondo occidentale sono state le sottoculture giovanili – come scrisse anni addietro egli stesso – Limonov si ferma a riflettere.) E risponde senza alcuna supponenza, quasi a mezza voce: ”Sono uno scrittore moderno, per qualche strana coincidenza del destino forse l’unico scrittore moderno russo oggi”. E Sorokin, Pelevin, i simboli della prosa russa degli ultimi anni? ”Non sono parte della comunità letteraria e non voglio parlare dei mie colleghi. Non frequento salotti letterari, vivo a margine della comunità letteraria moscovita, né ho amici scrittori. Semplicemente credo di essere più attuale di loro”. ”In realtà – e sembra ancora più sincero quando lo dice – non mi considerò nemmeno un romanziere: posso aver scritto cose che assomigliavano a romanzi, ma non lo erano”. Per la verità, Limonov di romanzi ne ha scritti, e uno di questi, L’adolescente Savenko, è l’ultimo tra i libri dello scrittore russo tradotti in italiano, pubblicato lo scorso anno da Salani. Presentato con il titolo ”Eddy baby ti amo”, tanto distante dall’essenzialità dell’originale e scelto forse per sfruttare la scia del successo della prosa giovanile di Irina Denezhkina, il libro è parte di una trilogia sulla sua formazione, dall’infanzia alla gioventù. Il racconto di due giorni – il 7 e l’8 novembre del 1958 – nell’adolescenza inquieta del giovane Savenko tra i casermoni e le baracche della periferia di Kharkov (una versione più cruda delle vie d’erba moscovite narrate da Asar Eppel) è forse la prova più bella della sua scrittura, un ritratto dolce e brutale della vita sovietica di un realismo autentico, dove la componente autobiografica davvero si eleva a valore letterario. Le preoccupazioni dello scrittore oggi sono però tutt’altre e tutte politiche, e riguardano anche la letteratura: l’ultimo libro su cui Limonov è al lavoro ha un titolo efficace e lapidario, Limonov Contro Putin, che ricalca quello di un pamphlet scritto anni prima in polemica con l’ex amico e leader xenofobo Zhirinovsky. ”La priorità per la Russia è liberarsi dallo stato di polizia instaurato da Putin. Nel suo regime arcaico, totalitario e paternalistico i russi sono considerati marionette, cui è negata la libertà, incapaci di prendere decisioni. Limonov contro Putin non è un semplice pamphlet, ma una ricerca giornalistica che comprende una biografia non ufficiale del presidente, e articoli che svelano i suoi crimini, il suo carattere, i suoi errori. Putin è figlio della tradizione assolutistica del secolo sorso, non vuole ammettere che anche la Russia è cambiata ed è parte del mondo moderno”. Una analisi per nulla ideologica e priva della retorica ribellista e velleitaria del decennio scorso, capace di svelare l’essenza culturale del progetto Putin, antiliberale e antidemocratico. Di fronte alle opere e alle opinioni del Limonov di questi ultimi tempi, viene da pensare a quanto il critico letterario Vladimir Novikov aveva scritto sulle Izvestia in occasione dei 110 anni dalla nascita di Vladimir Majakosvki: ”Occorre resistere alla tentazione di imporre Majakovski per le sue posizioni politiche piuttosto che per le sue opere”. Per il Limonov di oggi è vero forse il contrario» (Andrea Pipino, ”Il Foglio” 11/3/2006).