Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  marzo 14 Martedì calendario

Giovampietro Renzo

• Nato a Velletri il 23 giugno 1924, morto a Roma il 10 marzo 2006. Attore. «[...] non soltanto un attore, ma qualcosa di più e di diverso. [...] era un uomo di implacabile passione civile, un intellettuale che credeva nella funzione educativa del teatro, un polemista impegnato in irriducibili battaglie in nome della poesia e della civiltà. [...] Si era ritirato dalle scene dopo aver preso parte allo ”Zio Vanja” di Cechov diretto da Peter Stein: un’esperienza dalla quale era uscito ammirato. Tutta la compagnia era andata a preparare lo spettacolo in Russia, ”per entrare nell’aria locale”, e gli era piaciuto. Dopo quell’ultima prova, il ritiro, accudito dalla figlia Antonella, chiamata così perché fu concepita all’ombra della Mole Antonelliana. C’è sempre stato un legame sentimentale tra Giovampietro e Torino. Per lui, ragioniere della provincia laziale approdato al teatro per spinta irresistibile, Torino era un luogo di alta idealità e di profonda civiltà. Quando vi giunse negli Anni Sessanta per lavorare al Teatro Stabile dopo le primissime prove con Visconti, si legò d’amicizia con Norberto Bobbio, Galante Garrone, Peretti Griva, che occuparono stabilmente il suo orizzonte culturale. Con loro rimase sempre in contatto, con loro scambiava lettere che conservava come un bene prezioso. E quando, verso la fine degli Anni Ottanta, portò al Circolo della Stampa di Torino l’anteprima di un suo spettacolo sugli scritti civili di Leopardi, non mancò di invitare i suoi maestri. Bobbio era indisposto e non poté intervenire. Arrivò Galante Garrone, che ascoltò con attenzione e alla fine s’intrattenne con l’attore in un fittissimo dibattito a due. Giovampietro era questo: l’incarnazione d’una passione. Per questo motivo prediligeva Vittorio Alfieri. Per questo identico motivo traeva dagli scaffali i grandi oratori greci e li portava in palcoscenico. Lisia era imprescindibile, ma non mancavano il Cicerone delle Verrine, né il ”divertente” Apuleio. L’Apologia di Socrate era un suo cavallo di battaglia. Queste erano le gemme a cui Giovampietro teneva in modo speciale. Spettacoli ”piccoli” che però richiamavano le folle; gocce di saggezza classica lasciate cadere fra le pieghe di innumerevoli impegni: gli sceneggiati tv di una volta, un po’ di cinema e soprattutto il teatro, che frequentò in tutte le sue forme, anche da direttore, come avvenne nel ’67, quando fu chiamato allo Stabile di Bolzano. Ma il vero Giovampietro era sul palcoscenico, quando duellava con Alfieri (’Saul”), Shakespeare, Kleist. Metteva al servizio dei suoi autori una dizione casta, una voce dal timbro meraviglioso e una teatralità controllatissima. rimasta indimenticabile la sua interpretazione in una ”Giovanna d’Arco”. Credeva in ciò che faceva e non avrebbe voluto fare altro. S’appassionava e s’indignava. Scriveva lettere di fuoco ai giornali, non per parlare di sé, ma degli scadimenti civili che lo offendevano. [...]» (Osvaldo Guerrieri, ”La Stampa” 11/3/2006). «[...] Con lui se ne va un teatro speciale, originalissimo e unico. Un teatro civile, di denuncia e di parola, fondato su quanto oggi può apparire anacronistico e ”fuori dal mondo”, i classici. Greci e latini come Socrate, Cicerone, Lisia, Apuleio, Plauto. Ma anche Alfieri, Leopardi, Shakespeare. Per Giovampietro gli autori più attuali. Uomo schivo, appartato, rigoroso, vero corpo estraneo di un teatro sempre più sbiadito, in frenetica caccia di novità e stravaganze, Renzo Giovampietro ha portato avanti quella sua scelta audace fino alla fine, in totale indipendenza e libertà. A inculcargli la lezione morale che l’avrebbe segnato per sempre, furono, negli anni della giovinezza, nella Torino che lui considerava la sua città adottiva, maestri di storia e di vita quali Chiaromonte, Bobbio, Casalegno, Galante Garrone. Un insegnamento prestigioso che, terminata l’Accademia, Giovampietro mise subito in pratica. Notato da Visconti, debuttò nell’Antigone di Anouilh al fianco di Morelli e Stoppa. Poi verrà chiamato da Strehler, da Benassi, da Randone. Ma è all’inizio degli anni Sessanta che matura la sua idea di un teatro di formazione, palestra di cultura e di democrazia. Di cui lui si fa regista e drammaturgo, capocomico e attore. Conquistando con la sua passione e bravura un pubblico fedele ed entusiasta. Perché il modo di allestire i classici di Giovampietro non era certo accademico o noioso. La formula da lui adottata, il ”processo”, rendeva subito coinvolgente e viva ogni parola, che pareva scritta lì, al momento, proprio per quelli che stavano ad ascoltare. Nascono così Processo permagia di Apuleio, I discorsi di Lisia, I dialoghi di Platone, Le verrine di Cicerone. E Il processo a Socrate, applauditissimo per oltre 300 repliche. E le tragedie di Alfieri, autore arduo, negletto, che pochi hanno osato proporre. E sempre in nome della democrazia, della coerenza, della dignità dell’uomo e dell’onestà intellettuale, Giovampietro portò in scena don Lorenzo Milani. Un impegno costante che gli valse diversi riconoscimenti, tra cui una Maschera d’oro e il premio Veretium. Tra gli ultimi ruoli, quello del professor Serebriakov nello Zio Vanja di Cechov allestito da Peter Stein» (Giuseppina Manin, ”Corriere della Sera” 11/3/2006). «[...] iniziò la sua carriera d’attore al fianco di Visconti. Frequentava l’Accademia d’arte drammatica quando venne notato da Paolo Stoppa che lo segnalò al grande regista per una parte nell’Antigone di Anouilh. Tra gli anni ’40 e ’50 lavorò con Strehler (Pick-up Girl di Shelley, Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni e La dodicesima notte di Shakespeare) e fece parte della prima cooperativa teatrale italiana, collaborando con Tofano e Lucignani. Poi venne l’amore per l’oratoria e per gli autori greci e latini (Apuleio, Cicerone, Platone) e, dagli Anni Sessanta, l’inizio di un percorso basato sul teatro civile e didattico (mise in scena l’ Agamennone di Alfieri e un Processo ideale a Giacomo Leopardi ). ”Era un attore di enorme amore per il teatro - ricorda Maurizio Scaparro - di cui si è sempre fatto carico totalmente, seguendo e pagando le sue scelte personali senza cedimenti, e con una vera passione nel portarle al pubblico che, al contrario di tanti suoi colleghi, amava veramente”. Tra i suoi ultimi ruoli, quello del professor Vladimirovic nello Zio Vania cechoviano diretto da Peter Stein nel ’96. [...]» (P.Pol., ”Il Messaggero” 14/3/2006).