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 2002  aprile 22 Lunedì calendario

L’uomo nero di Francia, Corriere della Sera, lunedì 22 aprile 2002 Parigi. una personalità parigina, forse l’ultima personalità parigina, parola magica che implica per colui di cui si parla una posizione indefinibile nell’opinione pubblica di tutto il mondo, un’esistenza di riferimento e di pubblicità

L’uomo nero di Francia, Corriere della Sera, lunedì 22 aprile 2002 Parigi. una personalità parigina, forse l’ultima personalità parigina, parola magica che implica per colui di cui si parla una posizione indefinibile nell’opinione pubblica di tutto il mondo, un’esistenza di riferimento e di pubblicità. Da vent’anni escono libri che parlano dell’uomo nero; l’uomo del Fronte, il vincitore immorale recentemente ha ispirato un film-caricatura che si intitola Feroce, e la sua autobiografia è un romanzo d’avventure, di vita ideale, di vita inaccessibile dove il grande nemico non è la gauche ma è la destra liberale, non è Jospin ma è sempre e comunque Jacques Chirac, l’odiato Chirac, corruttore, violento, cinico, esattamente l’opposto del suo aspetto pubblico, uno Chirac con il quale spesso Le Pen sembra organizzare un numero da duettisti: «Chirac è il peggio del peggio»; «Sbarazzarsi di Le Pen è un servizio da rendere alla Francia». Da sempre Le Pen è in cerca di un’antica Francia, quella di Indocina e di Algeria, una Francia non moderna, che suggerisca il calore delle storie tragiche, che si opponga all’immigrazione ma anche all’Europa e all’americanizzazione dei costumi, che ritorni alle antiche culture locali, ai dialetti, agli abiti tradizionali, allo spirito insolente, battagliero e galante, una Francia preoccupata di donne e di prodezze, senza più quell’affarista di Chirac che Le Pen accusa d’avere finanziato e corrotto una parte del suo Front, di avere pagato la frazione di Bruno Mégret, e racconta di un misterioso incontro nel 1988 durante il quale un nervoso e sulfureo Chirac avrebbe cercato di comprare pure lui, di corrompere lo stesso Le Pen, senza riuscirci naturalmente, mentre ancora ieri sera Chirac spiegava che Le Pen è la barbarie, l’intolleranza, «il cammino perduto della Fraternité», e chiedeva alla Francia di mobilitarsi tutta contro l’uomo nero. Da trent’anni, da quando ha fondato il Front National, Jean-Marie Le Pen aspetta di salvare la patria, e proprio adesso che la curva della sua vita sembrava inevitabilmente al declino, riprende ad ardere come un tempo, le forme atletiche di un Ercole, un collo taurino, una pinguedine ormai sgraziata, torna ad essere l’uomo che, come disse Mitterrand «pone tutte le domande giuste, dando tutte le risposte sbagliate». Il suo libro ispiratore è la Bibbia, dice d’essere socialmente a sinistra, economicamente a destra, ma soprattutto nazionalista, francese, promette di dimezzare le tasse, bloccare l’immigrazione clandestina, limitare il diritto d’asilo, privilegiare per legge i francesi nei posti di lavoro, nei servizi pubblici, negli ospedali, portare la Francia fuori dall’Europa, aumentare le pensioni, i sostegni alla famiglia, ristabilire l’ordine e la legge, anche con poteri speciali alla polizia e all’esercito nelle periferie, a Parigi, a Marsiglia, nelle campagne, nelle scuole. A 73 anni Le Pen non è più definibile in un ritratto o in un racconto, è stato condannato per avere detto che i campi di concentramento nazisti furono «un incidente della storia» e tuttavia esalta la Resistenza, è continuamente indaffarato a riscrivere la propria vita, e dall’altra parte su di lui sono fiorite leggende diaboliche, spesso improbabili, il suo personaggio è perpetua invenzione e creazione di se stesso, rivoltelle sbucano fuori dal suo calzino, una volta ”Le Monde” scrisse che si era nutrito derubando cadaveri durante le guerre, e ogni genere di nefandezza gli è stata autorevolmente attribuita. Così alla fine questo bretone, figlio d’un pescatore «che sapeva leggere solo nelle stelle» e che morì saltando in aria con la sua barca su una mina, alla fine questo mostro, questa eccezione, questo miracolo, questa bestia immonda è appunto un mito parigino del quale si sono impossessati i giornali di tutte le lingue facendone il «razzista» che è anche un virtuoso della polemica e della battuta, un emarginato che si può vedere nei salotti, un fascista e «bestia immonda» che è tuttavia uomo di spirito e gran conversatore, e ovviamente attaccabrighe, capace di prendere a pugni un candidato socialista e di dichiarare in tv: «L’ultimo socialista di Francia sono io». Muscoloso ma elegante, amico di Alain Delon, della Deneuve e di Brigitte Bardot, non c’è scrittore che ogni tanto non tenti di scoprire la verità nascosta dell’astro enigmatico e brillante, il lato interno e intimo del presunto fascista che ispira la sociologia più cervellotica, tanto negligente e tracotante quanto lo stesso Le Pen, un presunto fascista che ogni primo maggio sfila con le camicie brune del suo Fronte nazionale «in onore del lavoro e di Giovanna d’Arco». E difatti non c’è elezione nella quale, da venti anni, Jean-Marie Le Pen non sia stato la sorpresa, compresa quest’ultima elezione, alla quale profeticamente si è presentato così: «Non c’è che un sola sorpresa possibile, e sono io». Da venti anni almeno Le Pen parla ai francesi e di lui si parla, è oggetto delle conversazioni parigine, è là regolarmente, nei caffè, nei teatri, nei boulevard, è sempre in ghingheri, con il mezzo sorriso malandrino, lo smoking, il papillon, un bicchiere di champagne. Quando perde tramuta i suoi crucci in esibizioni di allegria, disprezza gli omosessuali che giudica «la fine della civiltà» ma parla un francese raffinatissimo, proustiano, vive in un castello, dice d’aver perso nel 1958 l’occhio destro difendendo un arabo, glielo staccarono dall’orbita con una pedata, e per anni portò la benda nera sulla destra «come un pirata» diceva di se stesso, e non senza ironia, ma poi sbucarono delle foto di Le Pen con la benda nera sull’occhio sinistro. Oggi ha un occhio di vetro che lo rende meno avventuroso e più inquietante, perché a 73 anni, proprio quando il tempo dell’avventura è finito, la Francia gli fa intravedere un avvenire. Saranno le due settimane più belle della sua vita, lo scontro ilare e ludico della verità. Ma con lo scontro Le Pen-Chirac anche la Francia precipiterà la politica nell’opera buffa, opera suprema, mens comica in corpore sano. Francesco Merlo