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 2006  marzo 14 Martedì calendario

BERGAMASCO Mirco

BERGAMASCO Mirco Padova 23 febbraio 1983. Rugbista • «[...] il piccolo. Il fratellino di Mauro, quello che nel 2001 a Murrayfield si succhiò 60 metri campo e mise giù una meta-gioiello, che gli scozzesi ancora si incazzano. Mirko era a casa, davanti alla tv, Mauro correva sulle gambe e lui spingeva con gli occhi. Questione di famiglia e cromosomi, il rugby in casa Bergamasco. Papà Arturo ha illuminato il Petrarca e spuntato quattro caps in nazionale negli anni 70. Nato a Carrara Santo Stefano, provincia di Padova, a 17 anni debuttava con il Rovigo, poi ”emigrante” di ritorno per fare il bancario nella città del Santo. Rovigo-Padova era il derby d’Italia, a vedere i match arrivavano paesi interi, si assiepavano dietro la rete, urlavamo magari cose poche simpatiche: ”Bergamasco, traditore, vergogna!”. Ma lui rovigotto non si è mai sentito. Amabile fuori da campo, una belva dentro, ha passato il lato aggressivo dei cromosomi alla prole, mamma Lorenza - nata a Rovigo - quello più morbido, diplomatico. Più estroverso nelle vene di Mauro, più timido in quello di Mirko. Il fratello maggiore sul campo da rugby ci è nato. Ci ha dormito, si è nutrito, mentre papà Arturo digrignava in campo. Ha quattro anni di più, Mauro, è sempre stato il predestinato, Mirko il più schivo, ma quando ad Arturo chiedevano chi fosse il più forte la risposta era gemella: ”Sono forti tutti e due”. Pareva debolezza paterna, era la verità. Mirko ha iniziato a Selvazzano, dove il babbo si era messo ad allenare una volta attaccati gli scarpini al chiodo. Era così piccolo che non poteva neppure giocare ma annusava già gli spogliatoi da mascotte. Poi come il fratello è passato nelle giovanili del Petrarca, a 18 anni era già nella squadra maggiore. Tanto per provare ci furono anche sei mesi di ginnastica artistica ("Un incubo”), nuoto, canottaggio. Ruoli vagabondi, idee chiare, non sempre condivise dai tecnici. Mauro è stato anche centro e mediano di mischia, ma ha sempre voluto una maglia in terza linea - perché è da lì che quasi sempre passano i sentieri decisivi di una partita. Anche in nazionale, anche quando John Kirwan gli aveva cucito addosso un’improbabile abito da ala, e lui sbuffando e ingoiando bile è finito persino in tribuna. Mirko ha frequentato la maglia numero 9, è stato ala ed estremo, finalmente è approdato al centro, dove Kirwan non lo vedeva. I due Bergamasco hanno giocato insieme in nazionale per la prima volta il 16 febbraio 2002, Italia-Scozia del Sei Nazioni al Flaminio, quando Mauro aveva 23 anni, Mirko solo 19. ”Sessantamila persone e io che come ala dovevo sostituire un grande come Vaccari. Accanto a mio fratello, con un mito come Dominguez all’apertura”. Un debutto frantoio, che spreme mente e fisico. Infatti per un paio di stagioni Mirko ha sbandato. Talentuoso ma incostante. Talentuoso ma indeciso. Kirwan che lo guardava in tralice. Il click è arrivato con il trasferimento a Parigi, allo Stade Francaise, dopo il Mondiale del 2003. Il capitano era Dominguez, il compagno di camera il fratello Mauro. ”Il primo anno è stata dura - dice - Giocavo ala perché in nazionale quello era il mio ruolo. Ma nessuno me l’aveva insegnato. In Italia tutti si fidavano del mio istinto. Ma l’istinto serve fino ad un certo punto. Quando arrivi in alto, senza tecnica non fai molta strada. Sette partite, e mi hanno messo da parte”. E poi? ”E poi mi hanno insegnato a fare l’ala. Hanno avuto molta pazienza”. Allenamenti, applicazione. La forma che arriva insieme alla fama, al calendario scandaloso dello Stade Francaise, ideato da Serge Betzen, flanker di colore, per beneficenza: tutti nudi, giusto l’ovale a coprire l’area di meta. Qualche passo falso, il match con la Francia nel Sei Nazioni con lui disastroso e l’Equipe che sfotte: ”Bergamasco sembra più a suo agio sulle pagine dei calendari che fra i tre-quarti dell’Italia”. Ma soffrire, come predica Berbizier, serve a crescere. I Bergamasco oggi in Francia sono stelle vere, ai cugini ricordano i Lanfranchi, i Zani, i ”rital”, gli azzurri d’esportazione che negli anni 50 e 60 facevano la storia a Grenoble o ad Agen. Hanno comprato casa a Boulogne-Billancourt, e i francesi li riconoscono, li fermano, si fanno firmare autografi anche sugli Champs Elysees. Ogni tanto passa mamma Lorenza a fare il bucato. [...]» (Stefano Semeraro, ”La Gazzetta dello Sport” 13/3/2006).