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 2002  aprile 24 Mercoledì calendario

Nelle fabbriche lo spettro di Trotskij fa più paura di Le Pen, Il Sole 24 Ore, mercoledì 24 aprile 2002 Calais

Nelle fabbriche lo spettro di Trotskij fa più paura di Le Pen, Il Sole 24 Ore, mercoledì 24 aprile 2002 Calais. La rimozione è un meccanismo mentale curioso. Funziona più o meno così: un fatto viene archiviato con un rapido passaggio dal conscio all’inconscio. Il cervello lo digerisce e lo elimina. Non c’è mai stato. La dissoluzione della realtà fa riemergere vecchie certezze e la vita riprende, ininterrotta, nella convinzione che un fatto non sia mai accaduto. Per le strade di Calais due giorni dopo tutto sembra uguale a prima. Il Fronte nazionale s’è abbattuto sulla prima città comunista della provincia francese, l’ultimo ridotto a Nord del Pcf da oltre trent’anni. Calais è il paradigma dell’uragano che scuote la Francia: Le Pen 18 per cento, Chirac 16, Jospin 15, la trotzkista Laguiller 9, il leader comunista Hue 8. Alle presidenziali del ’95 Le Pen era quarto ben alle spalle del candidato del Pcf che viaggiava attorno al 16 per cento. Ha vinto a mani basse, così basse che non s’è nemmeno disturbato di attaccare un solo manifesto elettorale, di fare un comizio, di mobilitare la sezione locale. «Quella poi - dicono in Comune - non esiste. Il Fronte non c’è, non ha neppure un rappresentante in Consiglio». Ha vinto un fantasma, uno spettro ha spazzato la trincea del Pcf. «Stiamo organizzando una grande manifestazione - dice Gerard Boyaval, segretario generale del sindacato Cgt - per far sentire la voce di Calais». Gli elettori protesteranno contro se stessi? Alzeranno la voce contro quella debolezza traditrice durata un istante? Molti di coloro che hanno messo la croce sul nome dell’ultrà aspirante presidente con forti smanie neofasciste e voglie antisemite hanno in tasca la tessera della Cgt. «Eh sì - riconosce Boyaval - è andata così. quello che stiamo cercando di capire. Nelle sezioni il dibattito è appena cominciato». Forse nemmeno Gerard Boyaval con le mani nodose di chi ha lavorato in fabbrica prima di scegliere la via del sindacato è del tutto convinto che sia davvero accaduto. La rimozione comincia anche per lui. «Non si può - dice - pensare che Calais sia diversa dal resto del Paese. stata protesta anche qui contro il disagio economico e sociale. E non dica che qui amministra la sinistra, perché il governo municipale di una gauche ”plurale” (sindaco comunista e giunta social-radical-verde, ndr) non ha responsabilità. Se domani ci fossero le votazioni Jacky Henin sarebbe rieletto a gran maggioranza». a Parigi il sindaco Henin, un passato da rugbista e da boxeur, per ragionare sui guasti lasciati dal passaggio dell’uragano, per capire come fare a fronteggiare una situazione che rischia di strappare al Pcf l’ultima città di peso, tolta nel 1971 a monsieur Vendroux, fratello di Yvonne, moglie di de Gaulle. A Calais è rimasto un suo fedelissimo, Claude Vanzavelberg, segretario generale del partito comunista locale. E anche lui accusa il centro e assolve la periferia. «Per noi non cambia nulla. L’elettorato ci ha confuso con la sinistra in senso lato, non ci ha ben individuato. Si fa presto a dire che a Calais non c’è una situazione sociale grave, che c’è stato l’Eurotunnel. Ma nel complesso a chi sono andati i benefici? Ai padroni non ai salariati». Eppure l’Eurotunnel c’è stato e Vanzavelberg corre troppo. I viaggiatori sono aumentati, le autostrade appena costruite che incrociano Calais hanno portato occupazione, l’indotto di un rilanciato dinamismo è ricaduto sulle 78mila anime della città. Insiste allora Boyaval: non c’è stata una saggia politica industriale del Governo. «Le imprese smobilitano - dice - dopo aver incassato aiuti statali. Il tessile, settore trainante, è sceso dai 12 mila impiegati del 1960 ai 3 mila di adesso». Quattro decenni non bastano per trovare una spiegazione? «E allora - aggiunge - parliamo dell’annunciata chiusura della fabbrica di biscotti del gruppo Danone. Perderemo centinaia di posti di lavoro». Le cause della débâcle sono esterne alla municipalità. Così lontane dall’area comunale che alla mairie si premurano di ricordare il naufragio dello slogan sull’insicurezza lanciato da Le Pen. «Non ha attecchito - dicono - perché la città è sicura». Anche nella periferia di Zup-Beau Marais dove Calais prova il gusto forte di Marsiglia. Un pizzico appena, giusto il sapore dell’abisso sociale spalancato da una disoccupazione che cresce insieme con il sostegno per la destra estrema. Sono palazzoni popolari ben tenuti che s’alternano ai giardini nel tentativo di attutire ogni fenomeno di emarginazione. «Quella che è passata - aggiungono in Comune - è, casomai, la retorica antieuropeista del Fronte. C’è la percezione che Bruxelles ci penalizzi». E l’immigrazione? «Quella è un problema di Sangatte». Dieci chilometri più in là in un altro comune, ma nello stesso tessuto urbano e sociale, la Francia conosce un altro paradosso. Qui non c’è voglia di occhio per occhio, c’è solo il disagio di una difficile lotta contro schegge di ipocrisia e dosi di demagogia. Pascal Dubus non è Jean-Marie Le Pen né guida estremisti di destra. un medico che a Sangatte si batte per la chiusura del Centro per l’immigrazione gestito dalla Croce Rossa. Capannoni enormi da dove passano 50mila clandestini all’anno. «Vivono lì - dice - in attesa di riuscire a infilarsi nel tunnel per andare in Gran Bretagna, nella speranza di ottenere diritto d’asilo». Ogni giorno è una processione di giovani kosovari, afghani, curdi, albanesi che marciano sulla rue de Coquelles per tentare la sorte. «E tutte le sere rientrano - aggiunge Dubus - perché passare illegalmente è difficile». E così Sangatte con i suoi 900 abitanti vive ”occupata” da 1.500 immigrati in marcia perenne. Fino ad ora non ci sono state violenze, ma è una presenza importante che «ci fa sentire emarginati, spinti fuori dalla nostra municipalità, solo perché non c’è il coraggio di uscire dall’equivoco assicurando la residenza a chi ne ha il diritto». E allora Dubus ha raccolto i cittadini e ha chiesto un gesto forte: annullare la scheda infilando nell’urna un volantino che chiede «un presidente responsabile» capace di dissolvere l’incubo di una comunità intera. «Abbiamo preso - dice - il 40 per cento dei consensi (voti comunque nulli, ndr), più del doppio di quelli di Le Pen». Un gesto di moderata protesta, un sussurro appena alle orecchie di Parigi, un’utile lezione per scampare uragani futuri. Leonardo Maisano