Elena Comelli diario, 03/05/2002, 3 maggio 2002
Allargare l’Unione europea costa. Soprattutto a sardi e lucani, diario, 3 maggio 2002 L’Europa si allarga, ma gli italiani non lo sanno
Allargare l’Unione europea costa. Soprattutto a sardi e lucani, diario, 3 maggio 2002 L’Europa si allarga, ma gli italiani non lo sanno. Se ne parla (poco) solo nei circoli chiusi dei giornali economici, dove il costo dell’allargamento, quantificato in circa 40 miliardi di euro, solleva qualche preoccupazione. Il divario fra il livello di vita e gli standard politici dei dieci Paesi che secondo l’attuale tabella di marcia entreranno a far parte dell’Ue nel 2004 (Lettonia, Lituania, Estonia, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia, Malta e Cipro) in confronto agli attuali 15 membri dell’Unione, sembra di scarsa rilevanza per l’opinione pubblica del Bel Paese [...] La Polonia, il Paese chiave nel primo gruppo di aspiranti, è il fanalino di coda della cordata: con quasi 40 milioni di abitanti, Varsavia è di gran lunga il peso massimo dei candidati, ma da almeno 18 mesi la sua economia è entrata in un ciclo di rallentamento che non accenna a finire e come già nel 2001, anche quest’anno è prevista una crescita del Pil di poco superiore all’1 per cento. [...] In particolare i tedeschi, che data la loro posizione geografica si sentono maggiormente messi in gioco dall’allargamento, sono impegnatissimi a valutare il livello di convergenza tra i futuri e gli attuali membri dell’Unione: il Deka Converging Europe Indicator (Dcei), sviluppato dalla tedesca Deka Bank, è senz’altro più interessante per monitorare questo processo. Si tratta di un modello di scoring che attribuisce un punteggio a ogni Stato, prendendo in considerazione i dati macroeconomici fondamentali e alcune caratteristiche istituzionali tipiche dell’evoluzione in corso in tutta l’Europa orientale. Le quattro gambe su cui poggia il modello sono la convergenza dell’economia reale, quella istituzionale, quella monetaria e quella fiscale, riprendendo i criteri di adesione delineati a Copenhagen nel 1993 ma anche i criteri di Maastricht (debito, deficit, inflazione, tassi d’interesse), visto che gli aspiranti membri saranno obbligati prima o poi a entrare nella zona euro. Dall’andamento del Dcei salta subito all’occhio che il manipolo di otto Paesi dell’Est presi in considerazione è nettamente diviso in due gruppi. Il primo, composto da Repubblica ceca, Ungheria, Estonia e Slovenia, è veramente in dirittura finale, con Praga in testa e chiaramente in vantaggio fin dal punto di partenza dell’indice, a metà degli anni Novanta (è interessante notare che Praga e Budapest risultano praticamente alla pari sulla convergenza dell’economia reale, mentre sono parecchio distanti sulla convergenza istituzionale). Gli altri quattro Stati (Polonia, Lettonia, Slovacchia e Lituania) seguono il plotone di testa a una certa distanza e si aggirano tutti su livelli analoghi, con scarti minimi. Dato valore cento alla convergenza perfetta, i Paesi del primo gruppo si collocano ben al di sopra dei 75 punti mentre gli altri sono al di sotto. Bulgaria e Romania, già sostanzialmente escluse dalla tappa del 2004, viaggiano attorno ai 50 punti. Le conseguenze di questi dati di fatto sono facilmente traducibili in pratica: tanto per fare un esempio, l’entrata di dieci Stati comporterebbe un calo del Pil pro-capite medio Ue del 13 per cento, che farebbe immediatamente uscire 15 regioni europee, comprese Basilicata e Sardegna, dai programmi dei fondi strutturali. Inoltre farebbe esplodere la politica agricola europea, che il commisario Franz Fischler sta cercando di salvare con un astruso meccanismo già respinto brutalmente dai polacchi, i più interessati alle sovvenzioni europee con i loro tre milioni di contadini ridotti a campare al limite dei livelli di sussistenza. Lo stesso Prodi ha invitato a non fare «proiezioni all’infinito» basandosi sull’attuale sistema di politiche agricole e stritturali, perché ulteriori riforme saranno necessarie. Ma per ora (a un anno e mezzo di distanza dall’ allargamento) la politica europea non ci rivela quali. Elena Comelli