Gaetano Afeltra Corriere della Sera, 09/05/2002, 9 maggio 2002
Nino Rota, il musicista medium, Corriere della Sera, giovedì 9 maggio 2002 Se si domandasse agli italiani di chi è la canzone ”La pappa col pomodoro”, la risposta immediata sarebbe per lo più: «Rita Pavone!»
Nino Rota, il musicista medium, Corriere della Sera, giovedì 9 maggio 2002 Se si domandasse agli italiani di chi è la canzone ”La pappa col pomodoro”, la risposta immediata sarebbe per lo più: «Rita Pavone!». E sarebbe un errore. Con la sua interpretazione, la bravissima ”Gianburrasca” portò al successo quello che è un motivetto tuttora estremamente noto ai bambini e adulti, ma l’autore ne fu Nino Rota, uno dei nostri compositori più prolifici e versatili. A voler contare solo le sue colonne sonore, che per oltre quarant’anni hanno accompagnato successi cinematografici italiani e stranieri, si arriva a più di centocinquanta, per non parlare dei pezzi concertistici, opere teatrali e da ballo, e musica sacra, per un totale di oltre trecento titoli. Sì, anche musica sacra. Perché forse non molti sanno che il compositore di celeberrime colonne sonore di film di Fellini e Visconti come I vitelloni , La strada , La dolce vita , Otto e mezzo , Il Gattopardo, oltre che del Padrino Parte II di Francis Ford Coppola, con cui nel 1975 vinse l’Oscar per la migliore musica, Nino Rota cominciò la sua carriera proprio come compositore di opere sacre. Nato a Milano nel 1911, Rota aveva appena 12 anni quando eseguì in un teatro un oratorio da lui stesso composto, ”L’infanzia di san Giovanni Battista”. L’impressione fu enorme, la sua foto comparve sul ”New York Times”, e tutti i principali quotidiani del mondo cominciarono a pubblicare storie romanzate del piccolo genio, subito definito «l’emulo di Mozart». Fra i libri dedicati alla vita e all’opera del compositore, scomparso nel 1979, se ne segnalano due usciti negli ultimi tempi, il recentissimo L’undicesima musa. Nino Rota e i suoi media, a cura di Venerio Rizzardi, edito dalla Rai-Eri, e la raccolta di documenti d’archivio, intitolata Fra cinema e musica del ’900: il caso Nino Rota, dell’editore Olschki. L’amore per la musica, Nino Rota l’aveva respirato fra le pareti di casa: sua madre era la pianista Ernesta Rinaldi, suo nonno, Giovanni Rinaldi, fu uno dei più noti strumentisti e autori musicali del secondo Ottocento. Da bambino ebbe come compagno di giochi Gian Carlo Menotti, il compositore italiano di fama mondiale. Nino e Giancarlo, entrambi allievi del Conservatorio Musicale di Milano, erano considerati i due ragazzi prodigio della scuola. Le loro madri erano amiche, e naturalmente parlavano spesso del futuro dei figli. «Il mio Nino sarà il nuovo Beethoven, e il suo Giancarlo il nuovo Mascagni». Con questa orgogliosa profezia, superba per Nino e meno impegnativa per Giancarlo, si guastarono i rapporti fra le due signore. La madre di Rota non era andata troppo lontano: il figlio, col ”Cappello di paglia di Firenze” fu paragonato dalla critica a Rossini, se non a Beethoven, per stile e atmosfere. A Giancarlo Menotti, con ”La santa di Blecker Street”, si riconosceva una parentela col verismo di Mascagni. Le strade dei due futuri Maestri s’incrociarono nuovamente in America, al Curtis Institute di Philadelphia, in cui Menotti insegnò e Rota studiò per due anni. A patrocinare la sua venuta a Philadelphia con una borsa di studio era stato uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, Arturo Toscanini. Al suo arrivo in America, il ventenne Nino Rota fu accolto con affettuosa sollecitudine da Toscanini, che gli fece in un certo senso da tutore, come aveva fatto per lo stesso Giancarlo Menotti. Ma come nascevano le sue colonne sonore? Nino Rota lavorava su appunti presi durante colloqui con i registi; il film lo vedeva solo dopo aver composto gran parte delle musiche, e quasi mai per intero. «Suonava il pianoforte come altri mangiano», diceva di lui Fedele D’Amico. Gli faceva eco Alberto Savinio: « il più musicale dei musici che io conosca. Egli vive soltanto in musica, e là solo è felice». Mentre componeva, sembrava lasciar fluire l’ispirazione che gli urgeva dentro. Federico Fellini ricordava così i loro incontri di lavoro: «Improvvisamente, nel mezzo del discorso, metteva le mani sul pianoforte e partiva, come un medium. Si produceva come una rottura del contatto, e sentivi che non ti seguiva più, non ti ascoltava più, come se i concetti, le spiegazioni, i suggerimenti ostacolassero il corso creativo». Se non che, proprio come un vero medium, una volta «rientrato in sé», Nino non ricordava quello che aveva appena suonato. Fu così che Fellini decise di collocare dei registratori nella stanza durante i loro incontri: «Ma bisognava metterli in azione senza che lui se ne accorgesse, altrimenti il contatto con la sfera celeste si interrompeva». Fra le belle attrici incontrate negli ambienti di Cinecittà, una lo colpì più delle altre: Isa Miranda, di cui Rota disse: « l’unico incontro per me fatale avuto nel cinematografo. Mi è piaciuta molto, ma non so se l’abbia capito bene». Le sue dimore abituali furono Roma e Bari. A Roma, insieme con la madre, la pianista milanese Ernesta Rota Rinaldi (direttrice dal 1943 al 1944 del periodico femminile ”Grazia”), Nino frequentò il salotto di Emilio Cecchi, dove incontrava fra gli altri Ungaretti e Moravia. A Bari, trascorse metà della sua vita presso il Conservatorio di musica Niccolò Piccinni, di cui fu prima insegnante e poi direttore. Fu a Bari che Nino Rota scoprì il talento di uno studente quattordicenne di particolare valore. Rota lo ascoltò, ne intuì la potenzialità, e convinse i genitori a fargli proseguire gli studi presso il Conservatorio di Napoli: quella giovane promessa era Riccardo Muti. «La musica», diceva Nino Rota, «è un diritto naturale dell’umanità perché essa parla a tutti: potenti e umili, ricchi e poveri, felici e infelici, a tutti coloro che per un misterioso privilegio elargito all’animo umano sono sensibili al profondo e potente suo messaggio». Gaetano Afeltra