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 2002  maggio 07 Martedì calendario

Per Pasolini i capelloni erano esseri mostruosi, La Stampa, martedì 7 maggio 2002 La fama postuma di Pier Paolo Pasolini è legata soprattutto agli articoli che scrisse nei due anni precedenti la sua morte sui giornali italiani

Per Pasolini i capelloni erano esseri mostruosi, La Stampa, martedì 7 maggio 2002 La fama postuma di Pier Paolo Pasolini è legata soprattutto agli articoli che scrisse nei due anni precedenti la sua morte sui giornali italiani. il Pasolini ”corsaro”, critico della società neo-capitalista, della ”mutazione antropologica” degli italiani, del superamento della distinzione tra Destra e Sinistra, del fascismo degli antifascisti, il critico acerrimo del nuovo Potere tollerante. Di lui si ricordano in particolare le provocazioni sul divorzio, all’indomani del referendum abrogativo nel maggio del 1974, o la polemica sull’aborto in cui Pasolini, ritenuto un intellettuale laico, si dichiara contro la sua pratica. In pochi si sono resi conto, sia all’epoca della pubblicazione degli articoli sia dopo, che la radice profonda, le motivazioni recondite per cui Pasolini giudica una tragedia il passaggio dalla società contadina alla società consumista e neo-capitalista riguardano la sessualità, la pratica dell’omosessualità. Il primo articolo che lo scrittore pubblica sul ”Corriere della sera” nel 1973, quello che apre Scritti corsari (Garzanti), s’intitola ”Contro i capelli lunghi”. La prima volta che Pasolini vede i capelloni è a Praga, nella hall di un albergo. La sua reazione è di spontanea antipatia, per quanto poi negli anni seguenti si deve rimangiare quel moto spontaneo per difendere i capelloni dagli attacchi della polizia e dai fascisti. A colpirlo negativamente è il loro «linguaggio del corpo». L’articolo sembra fondato su argomentazioni politiche (i capelli lunghi sono il primo segno fisico dell’impossibilità di distinguere tra giovani di destra e giovani di sinistra), in realtà ha al suo centro un motivo estetico. Pasolini lo esplicita raccontando un episodio accadutogli nella cittadina iraniana di Isfahan nel 1972. Nel passeggio serale lungo le vie ha modo di osservare i ragazzi iraniani. Assomigliano ai ragazzi che si vedevano fino a dieci anni prima in Italia: «Figli dignitosi e umili, con le loro belle nuche, le loro belle facce limpide sotto i fieri ciuffi innocenti». Ma ecco che tra «quei ragazzi antichi, bellissimi e pieni dell’antica dignità umana», compaiono due «esseri mostruosi»: i loro capelli sono tagliati all’europea, «lunghi di dietro, corti sulla fronte, resi stopposi dal tiraggio, appiccicati artificialmente intorno al viso con due laidi ciuffetti sopra le orecchie». Imitano i loro coetanei europei, i capelloni, e il loro messaggio fisico si contrappone a quello dei coetanei coi capelli corti: noi non siamo dei poveracci sottosviluppati, noi conosciamo l’Europa, noi abbiamo letto; siamo dei privilegiati. Il criterio di giudizio di Pasolini è estetico, o meglio visivo. Legge i volti, l’abbigliamento, i costumi e i gesti dei ragazzi italiani per arrivare a una conclusione inequivocabile: non sono riusciti a superare i loro padri, non sono riusciti a porsi in un conflitto dialettico con loro. Lo rivelano le maschere ripugnanti, scrive, «che i giovani si mettono sulla faccia, rendendosi laidi come vecchie puttane di una ingiusta iconografia, ricreano oggettivamente sulle loro fisionomie ciò che essi solo verbalmente hanno condannato per sempre». Marco Antonio Bazzocchi, in un libro dedicato a Pasolini (Bruno Mondadori) ha messo in rilievo l’opposizione che attraversa tutta la sua opera tra capelli tagliati corti sulla nuca e capelli portati lunghi, una distinzione che ha un preciso significato estetico ed erotico. In Atti puri Nisiuti è presentato con «i capelli nerissimi, lucenti e lisci, ma pettinati con la riga in parte», che fanno «sulla fronte un’onda graziosa». Nei ragazzi delle borgate il ciuffo dei capelli è il tratto distintivo della loro estrazione sociale, di cui i ricci neri dell’amato Ninetto sono la variante più significativa. L’introduzione a Seconda forma de La nuova gioventù (1974), la raccolta poetica che costituisce lo sviluppo lirico dei temi trattati in Scritti corsari, il poeta parla di capelli, riccioli e occhi allegri, invitando i giovani a tagliarsi i capelli: «Se tutti i giovani comunisti si tagliassero i capelli - dice la versione italiana - cadrebbe la maschera ai giovani fascisti». Negli articoli raccolti in Scritti corsari il tema centrale è quello della bruttezza dei giovani cui corrisponde la bruttezza del paesaggio italiano deturpato: il corpo dei giovani e il corpo dell’Italia, il parallelo è evidentissimo. Ma non c’è solo questo. Come ricordava qualche giorno fa in una breve lettera pubblicata su questo giornale il regista Davide Ferrario, l’opposizione di Pasolini all’aborto si fonda sulla sua idea dell’omosessualità. Nel celebre articolo del 19 gennaio 1975 Pasolini respinge l’aborto soprattutto perché «renderebbe ancora più facile il coito - l’accoppiamento eterosessuale - a cui non ci sarebbero più praticamente ostacoli». Pasolini si scaglia contro la libertà sessuale della maggioranza che è diventata «una convenzione, un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore». Il nuovo potere consumistico e neocapitalista protegge unicamente la coppia eterosessuale (anche fuori dal vincolo matrimoniale) che è diventata il simbolo delle «speranze democratiche». Insieme alla povertà - e qui sta la tragedia - si è cancellata la reale «tolleranza» del popolo italiano. Cosa intende Pasolini con «tolleranza»? Lo dice in uno degli allegati ai suoi articoli, raccolto nella seconda parte del libro, nella recensione al volume di Sandro Penna, Un po’ di febbre: «Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo fascista e subito dopo!». I ragazzi allora possedevano una grazia e una sensualità che ora, diventati «brutti, pallidi, nevrotici», hanno invece perso. Quella era una società in cui i ragazzi erano tenuti in disparte, separati dalle ragazze e dagli adulti, una società repressiva ma non volgare. Come ricorda Penna nelle sue prose, in quella società era sempre possibile l’incontro: «Un ragazzo amato subito per la sua innocente disposizione del suo cuore, per l’abitudine a una obbedienza e un rispetto non servili, per una sua libertà dovuta alla sua grazia: per la sua rettitudine». La grande trasformazione economica e sociale ha cancellato proprio questo: la loro tolleranza, la disponibilità, l’immancabile grazia. Colpisce il fatto che all’epoca e successivamente, in pochi, pochissimi (solo Parise, in un testo purtroppo rimasto inedito a lungo, e Arbasino), si accorsero del motivo omoerotico che sta alla base della critica pasoliniana della società italiana, per quanto espressa a chiare lettere in tutti i pezzi raccolti negli Scritti corsari, ribadita nel film Salò, e nel romanzo incompiuto, forse il suo capolavoro, pubblicato col titolo di Petrolio (Einaudi) nel 1992. Il Pasolini degli anni settanta ha spostato la sua attenzione dal linguaggio verbale (negli anni sessanta al centro della polemica era la slingua) al «linguaggio della presenza fisica» ai «codici del comportamento». uno scrittore che usa il metodo visivo per descrivere la realtà di un «paese orribilmente sporco». In uno degli articoli raccolti in Scritti corsari, dedicato alla recensione di un libro sull’omosessualità, Pasolini chiarisce in modo inequivocabile il suo pensiero al riguardo. Mentre i due autori sostengono l’idea positiva di un omosessuale che fa l’amore con un altro omosessuale, Pasolini scrive che le cose non stanno affatto così: «Un omosessuale, in genere (nell’enorme maggioranza, almeno dei Paesi mediterranei) ama, e vuol fare l’amore con un eterosessuale disposto a una esperienza omosessuale, ma la cui eterosessualità non sia posta minimante in discussione. Egli deve essere maschio». Il discorso sulla sessualità di Pasolini è complesso. Walter Siti lo ha riassunto con una formula illuminante: la sua sessualità oscilla tra i due poli estremi dell’eros e dell’agape, erotismo e pedagogia. Anzi, la radice pedagogica della sua personalità e della sua opera non è altro che amore sessuale per i ragazzi sublimato in amicizia. Lì è la radice pubblica della sua personalità di maestro e intellettuale inquieto e scomodo. Forse quelli che oggi si dichiarano pasoliniani, che ne vorrebbero imitare l’anticonformismo, dovrebbero riflettere su questo fondamentale aspetto, sull’unicità di un uomo che ha posto la sessualità, l’omosessualità, alla radice della sua stessa inimitabile opera letteraria e poetica. Marco Belpoliti