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 2002  maggio 14 Martedì calendario

I bilanci poetici di Kaiser Franz, il Giornale, martedì 14 maggio 2002 «L’azionista è sovrano»

I bilanci poetici di Kaiser Franz, il Giornale, martedì 14 maggio 2002 «L’azionista è sovrano». Nel momento più lancinante della giornata, alla notizia del mancata conferma, Franco Tatò rispolvera la sua frase-guida e la pronuncia convinto, da ufficiale prussiano dopo la battaglia di Wagram. «Perché una sconfitta va gestita come una vittoria, con distacco», come disse una volta al giornalista che gli stava chiedendo se provasse emozioni sul lavoro. Gli brucia la non lo dà a vedere; non per niente lo chiamano Kaiser Franz. A uscire senza apparenti clamori dalla porta principale dell’Enel è uno dei manager più solidi ed esperti d’Italia, un uomo che da trent’anni si insedia in aziende decotte e le risana per poi volare via e posarsi da un’altra parte. [...] Di lui Silvio Berlusconi disse: «Quello lì, quando lo incroci nel corridoio, ti guarda come se fossi un costo da tagliare». Di lui Carlo De Benedetti esagerò (prima di licenziarlo a sua volta): «Leggere un bilancio con Franco è come leggere una poesia». [...] Kaiser Franz nasce a Lodi, figlio di un maresciallo, un fratello pediatra a Verona e una storia scolastica al collegio Ghislieri di Pavia, luogo per vip della mente dove si entra solo per punteggio. Si laurea in Filosofia, ama soprattutto il romanticismo tedesco e la leggenda vuole che si concentri leggendo a voce alta Musil in lingua originale. Completa l’arredamento del suo raffinatissimo cervello con studi di logica ad Harvard, affina cognizioni di alta economia a Monaco e a Münster ed è pronto per diventare un capo. Nel senso di un temuto e rispettato uomo di carisma. Che all’apice del successo dirà a muso duro: «Se non sono molto popolare dipende dal fatto che sono un persecutore instancabile della stronzaggine altrui». Comincia con Adriano Olivetti a Ivrea, resterà in azienda 25 anni. Qui forma il carattere e affila il machete: inviato a risanare la Triumph Adler di Norimberga taglia sei dirigenti su sette e cinquemila dipendenti su novemila. Ma a dare il senso della cura sono i tempi: due anni. «Il momento più micidiale - ricorda un ex collega di allora - fu quando convocò i quattro manager più alti in grado e disse loro nel suo perfetto tedesco: ”Scrivete una lettera con le vostre dimissioni e lasciate la data in bianco”. Quelli tornarono poco dopo con i fogli firmati e lui li mise in un cassetto. Poi disse ai quattro: ”Ora vi auguro buon lavoro”». Negli anni Settanta, Franco Tatò trasloca alla General Electric, enorme fucina americana di talenti delle old economy [...] Rientra in Italia, ancora Olivetti e un anno alla Rizzoli. Finché non lo chiamano alla Mondadori, un’azienda al collasso dopo le rovinose perdite di Retequattro, l’emittente tv venduta in tutta fretta a Silvio Berlusconi. C’è una cura dimagrante da allestire, è necessario mostrare la colt: Tatò compie l’impresa di licenziare persino un parente di Mario Formenton. Vive a Milano con la moglie e i due figli in una palazzina ottocentesca che le riviste di architettura fotografano almeno una volta l’anno. in via Guerrazzi, è disposta su tre piani e (scrive chi l’ha vista) «è lo specchio fedele del padrone, un mix riuscito di tradizione e modernità, di tecnica e di umanesimo». All’interno, per tutta l’altezza, la scala di ferro contiene la spettacolare e coltissima libreria di Tatò, migliaia di volumi dietro i quali si nasconde quando ha bisogno di relax. Il suo autore preferito è Thomas Mann e il suo nirvana è leggere La montagna incantata accompagnato da un’aria di Gustav Mahler. Gelido e distaccato, Tatò diventa un mostro sacro. Le sue sconfitte sono poche: la più indigesta in Germania Est, alla Epw, una fabbrica di circuiti stampati. Dopo la caduta del muro di Berlino, Kaiser Franz prova a conquistare la terra promessa e rimettere in sesto quell’azienda. Il suo programma prevede la riduzione ad un decimo del personale; i sindaci gli fanno ovviamente la guerra e lui deve arrendersi. [...] Dalla Mondadori viene liquidato una prima volta senza rimpianti, e De Benedetti lo silura dall’Olivetti «nello spazio di un weekend». Rientra a Mondadori da imperatore all’inizio degli anni Novanta e impone le sue regole ascetiche: spesso viene visto in mensa aziendale consumare un rapido pasto e leggere la ”Frankfurter Allgemeine”. Bandisce l’aglio, tenta di vietare (invano) la vendita dei liquori al bar, chiede che le auto del management siano rigorosamente tedesche. L’uomo è smerigliato e raffinato. Diventa nonno e si diverte a scrivere su ”Panorama” con lo pseudonimo di Dario Enkel, dove Dario è il nome del primo nipotino ed Enkel sta per nipote, ovviamente in tedesco. Nel 1993 diventa amministratore delegato della Fininvest e i suoi rapporti con Berlusconi sembrano un idillio. Dice Tatò: «Ci uniscono la stessa smania di perfezione e la passione per i cantautori francesi». liberale senza tessera, ma quando gli scade il contratto si avvicina a Prodi e D’Alema che lo convincono a entrare a piedi uniti nel carrozzone dell’Enel. Metodi collaudati, risultato scontato: risanamento in atto e migliaia di miliardi accantonati per la felicità del Tesoro. Come premio, attende invano una poltrona di ministro del nuovo governo. Ma la Weltanschauung di Franco Tatò, la sua conversione a guardare il mondo con occhi nuovi, avviene una sera da amici. A tavola, al suo fianco, c’è uno schianto di ragazza. «Lui era alla mia sinistra, io portavo i capelli lunghissimi. Non gli badavo. Poi ho di colpo rialzato i capelli, l’ho guardato... Un colpo di fulmine». Sonia Raule, la sua musa, la donna che l’ha ringiovanito e lo ha aiutato a smettere di pensare in tedesco. Un motivo in più per non prendersela, anche dopo l’ultimo siluro. Giorgio Gandola