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 2002  maggio 08 Mercoledì calendario

«Prendi 80 mila dollari e studia, ma ricorda che lo Stato non ti aiuterà più», La Stampa, mercoledì 8 maggio 2002 Nella sua celebre Utopia, scritta nel 1516, Tommaso Moro critica la legge inglese che comminava la pena di morte per il furto

«Prendi 80 mila dollari e studia, ma ricorda che lo Stato non ti aiuterà più», La Stampa, mercoledì 8 maggio 2002 Nella sua celebre Utopia, scritta nel 1516, Tommaso Moro critica la legge inglese che comminava la pena di morte per il furto. Pur con tanta severità, osserva il celebre filosofo e statista, i furti non diminuiscono e sarebbe politica migliore far sì che «tutti avessero abbastanza da mangiare» e, per conseguenza, non fossero indotti a rubare.  questo uno dei primi riconoscimenti espliciti, in termini moderni, dell’importanza della redistribuzione dei redditi per la costruzione di una società stabile. E precisamente dalla redistribuzione dei redditi, nelle varie forme che oggi vanno collettivamente sotto l’etichetta del welfare, potrebbe utilmente ripartire il discorso politico nel momento in cui la stabilità delle società avanzate appare minacciata. Siamo vissuti per circa quindici anni nell’illusione che globalizzazione e ”nuova economia” avrebbero fatto scomparire il problema e che, grazie a una crescita vigorosa, anche se disordinata, tutti avrebbero visto aumentare la propria fetta della torta e non avrebbero quindi troppo badato all’ampiezza della fetta del vicino. In questi quindici anni, i divari di reddito e ricchezza sono aumentati ovunque, ma soprattutto negli Stati Uniti; in molti paesi emergenti, l’aumento del divario ha coinciso con un aumento della povertà in termini assoluti. Disuguaglianza, redistribuzione e welfare tornano così ovunque alla ribalta e obbligano studiosi e politici a rivisitare questi concetti base dell’economia e della politica. Li ha affrontati a Stresa un convegno internazionale appropriatamente intitolato ”Verso nuove forme di welfare”, organizzato dal Centro Nazionale di Prevenzione e Difesa Sociale nell’ambito dell’Osservatorio ”Giordano Dell’Amore”, tradizionale terreno di confronto tra giuristi ed economisti, divenuto per la circostanza luogo di presentazione di nuovi progetti politico-economici, occasione di stimolo e motivo di perplessità. La maggiore novità viene da Bruce Ackermann, un noto giurista e scienziato politico della notissima università americana di Yale. Ackermann divide in tre parti la società americana: un ceto dai redditi alti, pari a circa il 20 per cento della popolazione che si è appropriato di quasi tutto l’incremento di ricchezza e reddito degli ultimi quindici anni, una ”sottoclasse”, pari al 20 per cento più povero, che vive in un mondo di bassi salari e lavori senza futuro e, tra le due, una classe media che è riuscita a non perdere posizioni, in termini di reddito reale, solo al prezzo di un maggior lavoro, soprattutto femminile. Di fronte a questi squilibri, il rimedio del professor Ackermann è molto semplice e può apparire semplicistico: dare a ciascun giovane americano la propria ”fetta” (stake) della ricchezza nazionale nel momento in cui giunge alla maggiore età. come se ricevesse subito un’’eredità sociale”. Essa si aggiungerebbe, senza cancellarlo al normale sistema ereditario che garantisce il passaggio della ricchezza di padre in figlio (e che, grazie all’allungamento della vita, i figli ormai percepiscono solo a 50-60 anni). Ackermann fissa tale ”fetta” a 80 mila dollari, oltre 160 milioni di vecchie lire, il prezzo di una buona istruzione universitaria. I beneficiari, però, potranno usarla senza alcun vincolo: non solo per studiare, quindi, ma anche per mettere su un’impresa, comprare una casa. Potranno risparmiarla o spendersela in divertimenti. Dovranno però accettare la responsabilità dei propri successi e insuccessi e tener conto che, nella nuova situazione, le ”reti di sicurezza” pubbliche come i sussidi di povertà, la gratuità o il prezzo politico di molti servizi potranno venire fortemente attenuati, limitati a situazioni eccezionali. Il progetto dovrebbe essere finanziato con un’imposta su tutti i patrimoni superiori a 230 mila dollari (quasi mezzo miliardo di vecchie lire), il che farebbe sì che a pagare sarebbero i ricchi. Il costo? Oltre 250 miliardi di dollari l’anno, una somma enorme, di entità non troppo inferiore alle spese per la difesa, ossia per la sicurezza esterna, forse giustificabile se la si considera come una spesa per garantire la stabilità interna.  difficile dire quale probabilità abbia un progetto simile - riconducibile a un radicalismo di stampo liberista e di matrice protestante che fa coincidere la libertà personale con la responsabilità personale - di trovare attuazione pratica ma molte idee nate all’Università di Yale hanno fortemente influenzato la politica. Del resto, Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti, aveva elaborato un piano per dare a ogni cittadino nullatenente cinquanta acri di terra (il che allora era più facile perché non la si toglieva a nessuno, o, al massimo, ai pellerossa). Non si tratta, in ogni caso, solo del vagheggiamento di uno studioso isolato. Circa un anno fa, prima delle elezioni, il primo ministro britannico, Tony Blair, lanciò il progetto ”baby bond” che probabilmente contribuì al suo travolgente successo alle urne: a ciascun cittadino verrà assegnata alla nascita una somma che, opportunamente integrata da interessi e nuovi versamenti, gli verrà consegnata al momento della maggiore età. Il progetto viene ora studiato in dettaglio e, nei programmi attuali, la somma dovrebbe ammontare a circa quindici milioni di vecchie lire. L’esigenza redistributiva affonda le sue radici nel pensiero della sinistra non marxista inglese, a cominciare da James Meade, ma si rifà anche all’azione politica di primi ministri conservatori come Harold Macmillan e Margaret Thatcher, che, con le privatizzazioni, in parte realizzò la ”proprietà di massa”. A questa ambiguità culturale si aggiungono considerazioni più pragmatiche: le ricerche di uno studioso inglese, John Bynner, mostrano che, a parità di reddito e di classe sociale, chi dispone di maggior capitale mostra maggiore spirito di iniziativa, gode di miglior salute e maggiore stabilità famigliare. Si potrebbe anche invocare il conforto di Platone, il quale sosteneva che il ”possedere” era una componente centrale della personalità e della cittadinanza. Su questa linea, uno studioso inglese, Michael Sherraden, sostiene che ”il reddito può nutrire lo stomaco, ma la proprietà dei beni nutre la mente”. Se accettiamo questa distinzione, il professor Philippe van Parjis, docente di etica economica e sociale all’Università cattolica di Lovanio, vuole decisamente nutrire lo stomaco. Da un decennio è fautore di un ”reddito di cittadinanza” o basic income, da pagarsi a ciascun individuo, ricchi compresi, senza alcuna condizione. Il basic income ha notevoli punti di contatto con la proposta di un’imposta negativa sul reddito avanzata da Milton Friedman nel 1962 e successivamente da James Tobin per combattere la povertà senza ridurre gli incentivi a lavorare. Attorno al basic income è nato un network di politici e studiosi, seguito con attenzione dai Verdi in Germania e in altri paesi dell’Europa Settentrionale. Il basic income è invece guardato con sospetto dalla sinistra tradizionale per la quale, in base al principio «chi non lavora non mangia», è da considerarsi immorale un reddito ottenuto senza lavorare. Ciascuno è libero di giudicare se tutto ciò costituisce un progresso o un regresso. Allo stadio attuale, si tratta di schemi relativamente rozzi, forse lontani dai normali principi del diritto; il governo inglese, l’unico che abbia veramente provato ad attuarli, stenta a metterli in pratica. Stupisce, tra l’altro la ”brutalità” delle redistribuzioni proposte e la rinuncia ai più flessibili strumenti del crediti agevolato, rivolti ai giovani. Il diffondersi dell’interesse per queste proposte mostra però che l’orizzonte politico-culturale dell’Occidente sta cambiando rapidamente. La mentalità del welfare state, da molti ritenuta punto di arrivo dell’organizzazione sociale e della democrazia occidentale viene gradualmente abbandonata. Alle riforme introdotte per esigenze di ”cassa” - tra cui le riforme pensionistiche italiane, divenute legge sotto la pressione di un deficit pubblico fuori controllo - si sostituisce un’istanza di cambiamento radicale dei meccanismi sociali in cui la ”cassa” sarà tenuta ad adeguarsi ai progetti, magari con un cambiamento del quadro fiscale. Tutto ciò sembra riflettere una nuova, anche se incerta, domanda politica che sta riverberandosi pesantemente sulla mappa elettorale d’Europa, nei confronti della quale ”destra” e ”sinistra” perdono forse una parte del loro significato tradizionale. In questa luce, lo scontro italiano sull’articolo 18 appare limitato e addirittura futile: le forze politiche, e la sinistra in particolare, dovrebbero ricominciare a pensare in grande, ben al di là della semplice conservazione dei diritti tradizionali. necessaria una loro reinterpretazione in un quadro complessivamente coerente. Occorre, insomma, tradurre l’esigenza espressa da Tommaso Moro, di «far sì che tutti abbiano abbastanza da mangiare», da problema del giorno per giorno in una dignitosa prospettiva di vita, in un progetto economicamente e politicamente sostenibile. Mario Deaglio