Giancarlo Sturloni La Stampa, 08/05/2002, 8 maggio 2002
Nel 2012 ci sarà un atleta bionico nato da un topo muscoloso, La Stampa, mercoledì 8 maggio 2002 Legamenti rigenerati con una iniezione di cellule, sangue arricchito in provetta, muscoli che non invecchiano
Nel 2012 ci sarà un atleta bionico nato da un topo muscoloso, La Stampa, mercoledì 8 maggio 2002 Legamenti rigenerati con una iniezione di cellule, sangue arricchito in provetta, muscoli che non invecchiano. Magari un microchip impiantato nel cervello per migliorare la velocità di risposta agli stimoli. Fino alla selezione degli embrioni e alle modificazioni dei geni, o all’utilizzo, nei primi di vita, di test genetici per valutare le attitudini dei futuri campioni. Potrebbe essere questa la ricetta del superatleta in un futuro nemmeno troppo lontano. Uno scenario per molti aspetti allarmante, nel quale il doping dei giorni nostri apparirà come un romantico ricordo di epoche passate. Le prospettive che si delineano sono così realistiche da aver indotto l’Agenzia mondiale anti-doping ad affrontare il problema nel suo ultimo meeting, che si è tenuto in marzo a New York. I primi atleti aiutati dal ”doping genetico” sono attesi per le Olimpiadi del 2012. Nel frattempo, dai laboratori di ricerca stanno uscendo i primi risultati concreti. Eccoli. Eero Mantyranta, campione di sci di fondo finlandese, era portatore di una mutazione genetica naturale che portava il suo organismo a produrre una maggiore quantità di globuli rossi, favorendo l’ossigenazione muscolare e la resistenza alla fatica. Una terapia genetica sviluppata contro l’anemia potrebbe presto consentire di riprodurre artificialmente la mutazione di Mantyranta. Nel frattempo, è già disponibile l’emoglobina artificiale. Sintetizzata per ovviare alla cronica carenza di sangue per le trasfusioni, è una soluzione di emoglobina bovina ultrapurificata e modificata geneticamente. Anche in questo caso gli atleti potrebbero usarla per aumentare produzione di globuli rossi. Un gruppo di ricerca statunitense guidato da David Kaplan, della Tufts University, ha messo a punto un sistema basato sull’impiego di cellule staminali del midollo osseo per riparare le lesioni al legamento crociato del ginocchio. Una rivoluzione rispetto agli attuali protocolli terapeutici basati sull’intervento chirurgico (che nel 15 per cento dei casi non è risolutivo), in quanto si ridurrebbe drasticamente il periodo di recupero. I test clinici sugli animali sono in corso. Muscoli più grandi del 45 per cento, che guariscono più in fretta dopo una lesione e non presentano i normali segni dell’invecchiamento. Nei topi è già realtà grazie alla terapia genica e a una proteina chiamata Igf-1, un fattore della crescita. La stessa tecnica, ideata dai ricercatori dell’Università della Pennsylvania per combattere la distrofia muscolare, potrebbe essere sfruttata dagli atleti per sviluppare muscoli più forti e resistenti. Secondo Lee Sweeney, il fisiologo che ha guidato le ricerche, «una nazione abbastanza motivata potrebbe sperimentarla sui suoi atleti anche domani». Alcuni ricercatori britannici hanno individuato un gene associato a un’elevata capacità di resistenza degli atleti. una variante del gene Ace (codifica per un enzima che regola il flusso sanguineo nei muscoli), più frequente nei campioni del ciclismo, nei maratoneti e nei rematori. Una compagnia californiana, la Clinical Microsensores, ha già sviluppato un dispositivo capace di determinare la presenza del gene con un semplice prelievo di sangue. Potrebbe diventare il primo test genetico per valutare le attitudini atletiche dei campioni di domani. Tutti sappiamo che per fare un campione non basta la predisposizione genetica: occorrono anche una dedizione, sudore e fortuna. Eppure l’intervento diretto sui geni è l’ultima tentazione dello sport. Pioniere dell’atleta geneticamente modificato è Gregory Stock, direttore del programma ”Società, tecnologia e scienza” dell’Ucla, l’Università della California di Los Angeles. Nel suo ultimo libro, Redesigning humans: our inevitable genetic future (in uscita in questi giorni negli Stati Uniti), dipinge questo scenario come inevitabile. «Siamo esseri umani - spiega Stock con disinvoltura e naturalezza - e se le tecnologie lo consentiranno, faremo di tutto per migliorare la nostra vita. Molti di noi desidereranno essere più sani, vivere più a lungo, o avere più talento nello sport. E potremo volere tutto questo anche per i nostri figli». Insomma, Stock non pensa soltanto a campioni di basket o a grandi nuotatori: lo sport - sembra di capire - farà solo da apripista. Giancarlo Sturloni