Paolo Isotta Corriere della Sera, 07/05/2002, 7 maggio 2002
Il Peter Pan che dirige Beethoven con piglio animale, Corriere della Sera, martedì 7 maggio 2002 Immaginate la sala grande del viennese Musikverein, coi suoi stucchi, le sue dorature, l’intrico di losanghe sulle pareti e sul soffitto: un Neoclassico come avrebbe potuto concepirlo Hans Makart
Il Peter Pan che dirige Beethoven con piglio animale, Corriere della Sera, martedì 7 maggio 2002 Immaginate la sala grande del viennese Musikverein, coi suoi stucchi, le sue dorature, l’intrico di losanghe sulle pareti e sul soffitto: un Neoclassico come avrebbe potuto concepirlo Hans Makart. Quant’è cafona l’Austria, penso sempre. La si paragoni, questa sala, a quella d’un supremo Liberty simbolista, il Palau de la Musica di Barcellona. La sala è gremita, persino il grande, propiziatorio organo ove tutta l’architettura sembra convergere è circondato di pubblico occupante i luoghi dei coristi. Di tra i Filarmonici di Vienna, con quelle loro giacchette d’un grigio stinto e i pantaloni rigatini, il che con molto eufemismo si chiamerebbe mezzo-tight ed è solo l’uniforme dei portieri d’albergo, si fa velocemente strada un folletto. Sembra piccolo di dimensioni, ma è alto. Per fortuna non è vestito da portiere. Deve avere un fisico esile come un adolescente, le spalle sono strette e ossute. Un Peter Pan con una pelliccia di ricci bianchi e lunghi un po’ pecorini a ricoprirgli il capo, un nasino spiritoso, occhi onde sprizza intelligenza. vestito ”modino”, direi, una lunga camicia da mugik portata sui pantaloni. Dovrei definirlo ”dark” o nero? Nero, perché le cose modine si portano con ostentazione. Ma questa sorta di Peter Pan senza età e senza sesso (ha 46 anni e una moglie: le consolazioni della paternità gli sono state risparmiate), si comprende che è fatto di ironia e understatement. Saluta il pubblico e l’orchestra con brevi e rilassati convenevoli. Poi dà l’attacco al primo accordo della Prima di Beethoven. Il ciclo delle Divine Nove da lui concertato è il nerbo del Festival di Vienna di quest’anno. Il Peter Pan si chiama Rattle, sir Simon, ed è il nuovo direttore dei Filarmonici di Berlino. Quest’orchestra era una sorta di monarchia elettiva. Sino a Karajan, il mandato, quasi papale, era a vita. Negli ultimi anni di regno, i professori furono vilmente ostili all’ultimo Re. Questi con sdegno abdicò per morirne poco dopo. La Costituzione dei Berliner si mutò in repubblicana, con mandato ad tempus. Venne eletto il maestro Claudio Abbado. Con un anticipo tanto congruo acché non apparisse un colpo di Stato, i professori-elettori, conclave ormai composto di Cardinali abbadiani, non rinnovarono l’incarico al capo. Se si considerano i connotati tipici di un’orchestra e del suo direttore stabile, la scelta di Abbado fu l’esperimento di un aliquid novi. Quanto riuscito, il giudizio passa attraverso crescenti contrasti. Quella di Simon Rattle, creato baronetto giovanissimo, fondatore e guida spirituale dell’Orchestra di Birmingham, non fu priva di logica. Se quell’aliquid novi tanto nuovo poi non s’era rivelato, conveniva insistere nel principio per ottenere quanto effettualmente voluto. Rattle godeva di una forte rinomanza e per l’impresa di Birmingham e per le sue incisioni e anche per talune interviste che mostravano l’intelligenza nel concederle a interlocutore all’altezza. Un direttore si giudica sino in fondo in presenza fisica. Il primo interrogativo da porsi, oggi effettualmente il primo, è: si tratta di un vero direttore d’orchestra? Qui la risposta nasce da un’infinità di fattori, molti dei quali costituiscono il rapporto fisico, psico-fisico o addirittura, si direbbe alla Lombroso, meta-psichico, che si instaura tra capo, orchestra e ascoltatore. Se hai una certa musicalità e decenni di marciapiede dietro di te, certe cose vengono intuite vere, prima ancora di spiegazione razionale. Qui sto scrivendo a meno della metà del ciclo: quattro Sinfonie su nove. Che sir Simon sia un vero direttore te ne accorgi dopo pochi minuti che lo vedi sul podio. Sai già che potrebbe definirsi, con rispetto parlando, un «intellettuale»: nel senso che ha letto, studia e cerca di capire («intelligere»). Ma lo vedi così vibrare di musica, esserne così fisicamente posseduto e insieme dominarla, che possiede anche le doti animalesche e genetiche senza le quali un direttore è incompleto. Ve ne sono taluni, e dei più celebrati, dei quali comprendi immediatamente, essendo un fatto di attitudini fisiche, quanto mediato, artificiale, contro natura, sia il loro rapporto con la musica. Fanno vite d’inferno per memorizzare le partiture, poi li scorgi con gli occhi nel vuoto a inseguire l’immagine della pagina scritta, col terrore di perderla, ché la memoria musicale è visiva. Il gesto direttoriale di Rattle è assai vario, combinazione di rigore tecnico e suo superamento, con molte violazioni di quel che consideriamo il galateo. Egli percorre il podio invece di occuparlo; si gira verso le varie sezioni ma non commette mai l’errore di fissare con sguardo minaccioso o di melenso incoraggiamento lo strumentista prima di un difficile ”assolo”; adopera la mimica facciale, il che va disapprovato; sa usare il braccio sinistro, è straordinariamente naturale nell’alternare, con la bacchetta, la precisione della battuta alla libertà onde si designa la linea complessiva («chironomia»). La sua lettura di Beethoven, del che parleremo minutamente in seguito, è affatto «moderna», oltre che autentica e di forte rilievo. Sir Simon si lascia dietro le spalle ogni falso storicismo «d’epoca» e immerge, sin dalla Prima, Beethoven in un suono dalla pasta densissima con l’arco sempre affondato nella corda e vibrantissimo. La tensione ritmica è implacabile e drammatica, ma non metronomica. S’intravvede che della forma delle Sinfonie sir Simon ha una concezione così unitaria da omettere o dissimulare a volte certi punti nodali della punteggiatura. Alla pasta densa del suono beethoveniano mancano quel che chiamarei lo ”sfumato”, la velatura, un po’ di maggior trasparenza. Ma tutto è coerente e in assoluta cognizione di causa. Diciamo che a Rattle è più facile realizzare la tensione da un punto conducente a un altro punto che fra due punti correlati da materiale musicale di direzione meno cogente o divisi da pause. Resta il fatto che l’Elfo da direttore beethoveniano tende a giganteggiare e ”stringere”, non a ricamare. Ma che la sua spontaneità, il suo inglese trovarsi a suo agio, lo sguardo malizioso, il sorriso da adolescente, lo rendono simpatico in maniera trascinante. Penso con dispiacere a quanto la timidezza e l’incontentabilità di Riccardo Muti lo dividano con un invisibile diaframma dall’immeritevole pubblico milanese. Paolo Isotta