Anne Zielke Sette, 09/05/2002, 9 maggio 2002
I gemellini congelati arrivati per posta, Sette, 9 maggio 2002 Sì: quei bambini sono arrivati proprio come la posta
I gemellini congelati arrivati per posta, Sette, 9 maggio 2002 Sì: quei bambini sono arrivati proprio come la posta. stato due anni fa, in un bel giorno soleggiato di gennaio, e il veicolo che trasportava i piccoli è giunto a destinazione: era un furgoncino bianco, con una scritta arancione. Lucinda Borden, con un risolino breve e un po’ troppo stridulo, dice che sarebbe stata propensa a credere ancora nella cicogna se qualcuno non le avesse ”profetizzato”, prima del loro arrivo, che i suoi bambini sarebbero stati consegnati con la posta, in un contenitore trasportato da un furgone come tanti lungo le highway americane. «Ma nonostante ciò sono contenta», aggiunge Lucinda, 37 anni, e lo è come qualsiasi donna che sta per diventare mamma e non sta più nella pelle, perché l’aveva sognato da tanti anni. E quando lei era in ospedale e i bambini arrivarono con il furgone, il marito le portò una dozzina di rose rosse per ciascuno di loro. In tutto furono tre le dozzine, ma uno dei tre bimbi morì e ne rimasero solo due [...] Lucinda di quel memorabile giorno non conserva solo quello: ha anche una ”fotografia” dei bambini. Si riconoscono tre masse rotonde, ciascuna leggermente diversa. «Se solo potessi sapere chi di loro e Mark e chi è Luke...». Si tratta di un’immagine molto ingrandita di tre embrioni, tutti pressappoco di tre giorni. Quegli embrioni non provengono da Lucinda e John ma da un’altra coppia, e sono stati immagazzinati per un anno e mezzo in un contenitore, a circa duecento gradi sotto zero: surgelati come tutti gli altri embrioni che sono avanzati dopo una procedura di fecondazione artificiale. Con la possibilità reale di diventare una vita, sono conservati nell’azoto liquido centinaia di migliaia di embrioni come loro. I loro due gemellini, Mark e Luke, hanno appena imparato a camminare. Hanno i capelli scuri e gli occhi neri scintillanti e assomigliano molto a Lucinda, che ha anche lei i capelli scuri, tanto che spesso la gente quando la incontra per strada dice che i bimbi hanno preso proprio gli stessi lineamenti della loro mamma. In quei casi Lucinda ride e a volte racconta a qualcuno la vera storia. Lucinda voleva a tutti i costi avere dei figli e di ciò è sempre stata sicura. Lucinda Borden molto religiosa, non ha mai nascosto il suo desiderio, anzi ha sempre detto chiaramente agli spasimanti che le ronzavano intorno quale fosse la sua aspirazione. Tanto da farne scappare qualcuno, spaventato. John invece ha condiviso fin dall’inizio le aspirazioni di Lucinda e già prima del loro primo appuntamento i due avevano parlato di bambini. Ciò accadeva otto anni fa, ed entrambe lavoravano nell’open space di una divisione contabilità. E dopo di ciò fecero veramente sul serio. Il primo anno il medico disse: «Vedrà, cara signora, è giovane e tutto avverrà in un baleno». Il secondo anno disse: «Ci vuole ancora un po’ di pazienza...». Il terzo anno le diede questo consiglio: «Misuri la temperatura e vedrà subito quali sono i giorni in cui è più feconda». Fu così che Lucinda Borden ruppe il termometro nel suo quarto anno di matrimonio, dopo essersi posta a più di un centinaio di test di gravidanza. Ogni volta che ne aveva fatto uno [...] si chiudeva nel bagno e, mentre aspettava, s’inginocchiava davanti al davanzale della finestra, come dinanzi a un altare, con il kit di fronte agli occhi. Sperava di veder apparire una linea rosa, ma questo non accadeva mai. Allora i Borden si decisero per l’adozione. Quando si rivolsero all’agenzia cristiana Nighitlighet di Fullerton, California, che tanto tempo prima aveva dato in adozione proprio Lucinda, seppero che si potevano adottare anche degli embrioni, ceduti gratuitamente dai genitori naturali dopo essere riusciti a coronare loro stessi il sogno della procreazione. Improvvisamente, per Lucinda Borden, si creava come dal nulla la possibilità concreta di avere una gravidanza. Come per una normale adozione, i due coniugi videro gli esaminatori passare al setaccio il loro stile di vita e il loro passato, così da poter stabilire se erano adatti a svolgere il ruolo di padre e madre. Loro compilarono una domanda, indicando le loro preferenze in merito all’aspetto che avrebbero dovuto avere i loro futuri bambini. Tracciarono la crocetta su ”Caucasian” ed eventualmente anche ”1/2 Hispanic” o ”1/2 Native American”: un bimbo nero non lo volevano. L’agenzia spedì il modulo di domanda a parecchi potenziali donatori di embrioni e, dopo un paio di mesi, la coppia ricevette la lettera di una famiglia del Maryland: «Si, saremmo lieti che i nostri embrioni fossero adottati da voi...». I Borden pagarono all’agenzia l’onorario d’intermediazione (3.500 dollari), così gli embrioni surgelati furono spediti alla clinica presso la quale Lucinda stava spettando, pronta per l’impianto. Ma vediamo che cosa normalmente succede agli embrioni eccedenti. Questo interrogativo, in definitiva, rimanda a un altro problema, che è quello della fecondazione artificiale. Solo in America, secondo stime riservate, il loro numero ammonta a circa 200 mila unità, ”età” che va da uno a cinque giorni. E ogni anno che passa se ne aggiungono circa 19 mila. E così è successo che negli ultimi vent’anni è nata una mostruosa industria di ”produzione” di esseri umani che, come tutte le industrie, produce i suoi materiali di scarto. «Perché non avete provato anche voi con la fecondazione artificiale?», chiedo. «Bé, diciamo...» risponde Lucinda Borden, «...che ciò non era fattibile per motivi personali». Per motivi religiosi? «No, non si tratta di questo: per esempio mio cugino, che è pastore, ha deciso insieme alla moglie di praticare la fecondazione artificiale... Invece nel mio caso era presente un disagio...». Tuttavia, anche se in modo indiretto, Lucinda deve ringraziare proprio la fecondazione artificiale se ora ha i suoi due bambini. Il primo bambino che ha potuto essere concepito al di fuori del corpo di una donna e che, in forma di un minuscolo ammasso di cellule, è stato impiantato nell’utero della madre genetica, venne alla luce già nel luglio 1978. Un anno più tardi in America era già nata la prima clinica della riproduzione e ora il numero di queste strutture è già salito a trecentosessanta. Un trattamento di fecondazione in vitro, che spesso prevede più tentativi di impianto, costa mediamente 50 mila dollari. In questo Paese, a volte, per una gravidanza vengono prodotti fino a quaranta embrioni e, nella maggior parte dei casi, ne venne impiantata più di una mezza dozzina. Non tutti sopravvivono e non tutti quelli che impiantati riescono ad annidarsi nella parete dell’utero. Se, contrariamente alle aspettative, nel grembo materno se ne sviluppano troppi, accade che quelli in sovrappiù vengono espiantati, per limitare i rischi legali alle gravidanze plurigemellari. Pertanto, in caso di una gravidanza provocata artificialmente, risulta chiaro fin dall’inizio – ed è accettato da chi opera tale scelta – che gli embrioni eccedenti non solo debbano essere prodotti, ma anche sistematicamente ”sprecati”, per aumentare la probabilità di fare centro. Dal 1991 in Inghilterra una legge dispone che le colture di embrioni eccedenti siano eliminate trascorsi cinque anni. Nel 1996 furono ”scongelati” 3.300 embrioni. In America, invece, i collaboratori di una piccola agenzia di adozioni sensibili al problema della distruzione degli embrioni hanno cercato di trovare una soluzione in proprio. La Nightlight, con il suo programma di adozione di embrioni denominato ”Snowflakes” (Fiocchi di neve) è l’unica organizzazione di pubblica utilità riconosciuta in America che procura embrioni secondo i criteri del diritto delle adozioni, anche se comunque non risulta chiaro se in tal caso agli embrioni può essere conferito lo status di ”persone”. Ma nel frattempo, l’agenzia Nightlight ha promosso diciotto gravidanze e da queste sono già nati undici bambini e altri sette sono in arrivo. Gli embrioni non vengono preventivamente testati dal punto di vista genetico e i genitori che li adottano devono impegnarsi, in caso di handicap, a non praticare l’aborto. Con questa norma l’agenzia spera di tutelarsi contro eventuali processi intentati per il risarcimento di danni. Donna Zane è una figurina con i capelli scuri e gli occhi scintillanti. Se si è già stati a casa di Borden con i loro due figli, si ha l’impressione di averla già incontrata quella donnina, che abita con la sua famiglia in un paesino dello Stato Federale del Maryland, lontano quattromila chilometri dai Borden. La figlioletta Amanda è malata e, distesa sul divano, si fa coccolare dai nonni premurosi. Amanda e gli altri due gemellini sono praticamente i fratelli dei bambini dei Borden, dato che derivano da un gruppo di diciotto embrioni originari che sono stati prodotti artificialmente. Inizialmente i coniugi Zane avevano pensato di donare i loro embrioni per scopi di ricerca, «Ma poi sono nati i miei figli», dice la donna, «e d’improvviso non sono più riuscita a considerare quelle cellule: vedevo sempre e solo dei bambini. Allora mio marito ha fatto una ricerca in Internet e ha trovato per caso il programma ”Snowflakes”. A quel punto, ci siamo iscritti. bello sapere che i propri embrioni possono essere donati ad altri e continuare a vivere!». Anne Zielke