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 2002  maggio 21 Martedì calendario

Suicida per i Mondiali, La Gazzetta dello Sport, martedì 21 maggio 2002 Un tempo era la conclusione a effetto di una puntata del romanzo d’appendice, con il quale salutavano i lettori i quotidiani dell’epoca: «E il padre, non reggendo alla vergogna, si tolse la vita»

Suicida per i Mondiali, La Gazzetta dello Sport, martedì 21 maggio 2002 Un tempo era la conclusione a effetto di una puntata del romanzo d’appendice, con il quale salutavano i lettori i quotidiani dell’epoca: «E il padre, non reggendo alla vergogna, si tolse la vita». Un colpo di pistola sanava l’onore ferito a morte. Oggi anche il suicidio è una piaga sociale che affligge molti Paesi: fra essi in prima fila il Giappone. Da lì arriva la notizia che il 52enne Osami Okamura, funzionario di Fujieda, città a 160 km a sudovest di Tokio, è stato trovato suicida sabato scorso nel suo appartamento. Agli amici aveva confidato che il lavoro andava male, e che non riusciva a organizzare le cose al meglio: era responsabile della sistemazione della nazionale del Senegal, che da giovedì scorso è a Fujieda in vista del match d’apertura del Mondiale di calcio contro la Francia. La notizia impressiona, soprattutto noi che auspicheremmo almeno un’assunzione di responsabilità quando qualcosa va male, nel nostro Paese, e che invece raramente registriamo dimissioni o uscite di scena. Ma non va dimenticato che i giapponesi hanno un maniacale culto dell’organizzazione: pare, a questo proposito, che un paesino dell’isola di Kyushu stia letteralmente perdendo la testa per il ritardo nell’arrivo di un’altra squadra africana, il Camerun, che era attesa sul posto per la giornata di domenica. Ed è giapponese il suicidio più famoso nella storia dello sport: nel ’64 ai Giochi di Tokio, alle spalle di Bikila, nella maratona, Kokichi Tsuburaya entrò secondo nello stadio, ma fu scavalcato dall’inglese Heatley all’imbocco dell’ultima curva. Militare di carriera, Tsuburaya meditò per 4 anni il riscatto: ma quando, dopo un infortunio e due interventi chirurgici, capì che il suo fisico era rimastro compromesso e che non avrebbe potuto vendicare in Messico l’onta subita in casa, si recise la carotide nella sua stanza d’albergo. Accanto a lui, un biglietto con una breve frase: «Non posso correre più». Non sappiamo quali pressanti esigenze senegalesi abbiano reso impossibile il lavoro, e la stessa vita, del funzionario giapponese, che avrebbe dovuto curare gli scambi culturali e le promozioni. Dal primo aprile, data in cui aveva assunto l’incarico, non aveva smesso di lavorare un solo minuto. E pensare che bastava resistere altri cinque giorni, poi gli africani si sarebbero trasferiti a Seul per la partita d’apertura: ma all’onore non si comanda. Elio Trifari