Panorama 02/03/2006, pag.202 Manuela Grassi, 2 marzo 2006
Brecht si sbellicava, Strehler s’infuriava. Panorama 2 marzo 2006. Il 10 febbraio 1956 a Milano nevicava
Brecht si sbellicava, Strehler s’infuriava. Panorama 2 marzo 2006. Il 10 febbraio 1956 a Milano nevicava. Bertolt Brecht compiva quel giorno 58 anni, era sofferente. Passò il pomeriggio in albergo a vedere scendere la neve. Tratteneva le energie: quella sera al Piccolo teatro sarebbe andata in scena la prima italiana di L opera da tre soldi con la regia di Giorgio Strehler. Fu un successo strepitoso, non immune da equivoci scandali parapiglia, che avrebbe aperto una nuova stagione culturale. Il debutto era stato preceduto da giorni febbrili, notti insonni, crolli nervosi: «La sera recitavamo in El nost Milan di Carlo Bertolazzi, teatro verista, tutto sentimenti, il pubblico piangeva e noi eravamo felici» racconta Narcisa Bonati, attrice storica del teatro di via Rovello, oggi settantasettenne vivacissima, che fu tra i protagonisti di quell evento. «Il pomeriggio dovevamo provare l Opera di Brecht e Strehler ci parlava di teatro epico e straniamento. Cosa fosse questo straniamento facevamo fatica a capirlo. Gli attori stessi del Berliner Ensemble, quando poi li incontrammo, non riuscivano a darci una definizione univoca». Narcisa impersonava una delle prostitute, Dolly. Jenny delle Spelonche era interpretata da Milly, accanto a Tino Carraro nei panni di Mackie Messer e a Mario Carotenuto in quelli di Peachum. «Avevo visto una rappresentazione di Madre Coraggio a Roma, quando frequentavo l Accademia» spiega l attrice, «mi aveva colpito perché anch io, come la protagonista, la guerra l avevo fatta sul serio». Ma quando dovette cimentarsi con l Opera da tre soldi, che l autore tedesco aveva ambientato nella Londra vittoriana, sottolineando l analogia tra la spietatezza della malavita e quella del capitalismo, l esperienza fu scioccante. «Strehler era perfettamente consapevole dell importanza dell operazione, aveva scelto lo spettacolo più popolare di Brecht-Weill, che senza essere didascalico colpiva diritto allo stomaco. Noi, al contrario, all inizio non avevamo capito fino in fondo. Ci dicevano che bisognava recitare non più in prima persona, ma in terza. Mah! Finché Giorgio ci spiegò che alla fine di ogni frase dovevamo pronunciare la parola: "disse ». Carraro esagerava e Strehler urlava: «Ma tu sei in sesta, non in terza!». Per il suo fisico e la sensibilità ironico-critica, Narcisa Bonati ha costruito tutta una carriera sulle parti di carattere (è stata Smeraldina nell Arlecchino per sei anni e 760 repliche), e l impertinenza è la sua cifra: «C era qualcuno che a me sembrava naturalmente brechtiano, Marina Bonfigli, che era Polly, e Carotenuto. E lo spiegai pure: "Certo, mi sembrano stonati! ». Ma poi capì: «Carotenuto veniva dal varietà, dove quel tipo di recitazione era d uso». E fa un esempio: «Il "Ma dove vai, cretino... detto da loro, con distacco e leggerezza, era già recitazione in terza persona». Milly ha lasciato un gran ricordo: «Che donna! Di una bravura, un umiltà, una dolcezza. Uno scricciolo, ma quando cantava il suo corpo diventava un organo». La grande fortuna di El nost Milan fece sì che le repliche fossero prolungate di quattro o cinque giorni. Tempo prezioso per provare l Opera. Alla fine arrivarono i costumi: «Li avevano disegnati Luciano Damiani ed Ezio Frigerio, quelli degli straccioni venivano rifiniti con la fiamma ossidrica e la vernice alla nitro mentre gli attori li indossavano. Provavamo dalle 5 del pomeriggio alle 9 del mattino, e siccome il direttore del teatro Gastone Martini era un vero granatiere, ci controllava: "Cosa fa lei seduta? I costumi non sono di sua proprietà! . Così ci riposavamo in piedi appoggiati gli uni agli altri». Brecht era arrivato a Milano l 8 febbraio accompagnato da Hanne, una dei suoi quattro figli ufficiali, e da Elizabeth Hauptmann, una delle sue amanti e collaboratrici più importanti, scambiata da tutti per la segretaria. «Finalmente lo incontrammo: un omino con la giacca alla cinese, le mani in tasca, si toglie la coppola, tende la mano quasi con timidezza. Sarà... pensavamo noi». Si sedette nel buio del teatro, non voleva disturbare. Si divertiva e rideva. Strehler, che non vedeva chi era a ridere, s infuriava: «Chi c... è che ride?». Poi venne la sera della prima. Alla fine del secondo atto, era già mezzanotte e mezzo quando la torma di straccioni e prostitute recita: «Voi che fate i vostri porci comodi e vi credete d esser chissà chi, queste parole non scordate più, prima la trippa, poi vien la virtù. E sia possibile ai derelitti mangiare quel pane che ora è sol dei dritti». In realtà, ricorda Bonati, il testo diceva «ricchi», ma per timore delle reazioni venne sostituito con «dritti». Eppure, in sala scoppia il finimondo, chi applaude chi urla «Basta! Bolscevichi!». Tutti sono però d accordo nel ritenere finito lo spettacolo. Ritirano i cappotti. Contrordine: fermateli. C è un altro atto! «Il sipario calò alle 2 del mattino e fu un trionfo. Alla fine Brecht salì sul palco, voltò le spalle al pubblico e si inchinò agli attori, poi abbracciò Strehler e se ne andò. La sera dopo la sala era piena di operai, perché Paolo Grassi in quel periodo andava nelle fabbriche a vendere gli abbonamenti, e Brecht a quel pubblico si inchinò». Lo scrittore Elias Canetti, che con Bertolt aveva un rapporto più di odio che d amore, lo descrive come un uomo assai pratico: «Onorava l utilità più di qualsiasi altra cosa e faceva notare in tutti i modi il suo grandissimo disprezzo per i "nobili sentimenti». Bonati, che dal 3 marzo dedica un seminario al drammaturgo intitolato Il teatro epico e lo straniamento in Bertolt Brecht, al Centro teatro attivo dove insegna da anni, risponde: «Era un uomo che stava dentro il suo tempo. Le sue poesie, bellissime, raccontano tanti aspetti della sua vita». Anche la sua passione per le donne. Anni dopo la sua morte avvenuta sei mesi dopo la storica prima milanese, la compagnia del Piccolo andò a Berlino. «Uno dei suoi due assistenti, il più giovane, mi confidò un segreto. All apertura del testamento della moglie, Helene Weigel, nell ultima riga il notaio lesse: "Desidererei essere sepolta ai piedi di mio marito, perché il mondo sappia che con i piedi mi ha sempre trattata». Manuela Grassi