Filippo Ceccarelli La Stampa, 29/05/2002, 29 maggio 2002
La divina saetta, Berlusconi e l’imperatore, La Stampa, mercoledì 29 maggio 2002 Roma. L’obelisco è una colonna di pietra di enorme significato simbolico
La divina saetta, Berlusconi e l’imperatore, La Stampa, mercoledì 29 maggio 2002 Roma. L’obelisco è una colonna di pietra di enorme significato simbolico. Quello di Axum proviene da una città santa ed essendo bottino di guerra è da tanti anni al centro di infinite controversie, interne e internazionali, politiche e diplomatiche. Anche il fulmine, in tutte le culture, ha da tempo immemorabile il valore immenso del simbolo. La sua scarica di elettricità celeste porta sulla terra fuoco e distruzione esprimendo una potenza imprevedibile e sovrannaturale. Non per farla troppo lunga, ma gli etruschi, da queste parti, studiavano senz’altro tuoni e fulmini per trarne vaticini, secondo l’arte fulgurale della brontoscopia; e a prescindere da Iupiter Fulgur cui i romani delegarono in seguito la gestione armata e punitiva delle saette. Ecco. Un fulmine che si abbatte su un obelisco, come appunto accaduto l’altra notte davanti alla Fao, è un simbolo perlomeno al quadrato. Un segno che accende la fantasia, un prodigio che fa cortocircuito e dilaga nell’immaginazione. Perché è inutile fingere che ieri, a Roma, fosse un giorno come tutti gli altri. C’era infatti l’imperatore Bush, c’era Putin, c’erano tutti i rappresentanti del potere militare accompagnati dalla più grande esibizione di forza che la cronaca ricordi. Auto con sosia, spie, guardie dal volto coperto, cecchini, uomini-rana, missili, navi da guerra. E a un certo punto: un gran frastuono e zòt, la folgore precipita proprio in cima alla punta dell’obelisco sgretolandone la facciata che dà sulle Terme di Caracalla, la Cristoforo Colombo, l’Eur, fino al Tirreno. Attenzione alle coincidenze (come le definirebbe, con Jung, lo studioso Giorgio Galli) e alle attitudini psico-geografiche. Dalla parte rimasta sana della torre, lato Circo Massimo, a cento metri, ci sono degli uffici e le redazioni di Mediaset. Lungo l’asse verso il Colosseo, ecco vicinissimi gli studi sempre berlusconiani della Safa Palatina. chiaro che il senso del presagio varia secondo l’intenzione e l’ispirazione dell’osservatore. Ma nel caso specifico, mancando di libri fulgurales, ci sarebbe di che fantasticare. L’impressione è che quindici o vent’anni fa un evento del genere avrebbe scatenato tutt’altra riflessione. E tuttavia, per restare al presente, i simboli non informano tanto sul loro oggetto, per lo più imperscrutabile, quanto sul modo in cui li vive la società. Questa di oggi non è mai stata così schiacciata sul presente, eppure compulsa i sondaggi con la stessa irrequieta assiduità con la quale ci si rivolgeva a oracoli, pizie, sibille, sogni, voli d’uccelli, fegatini e folgorazioni. «L’antichità - ha detto una volta uno studioso, Maurizio Bettini - non serve a far ragionare, ma a scardinare il nostro tipo di ragionamento». La politica odierna, la politica tecnologica e post-democratica, attinge spesso e volentieri al passato remoto; da ”TeleCamere” di Anna La Rosa all’opuscolo propagandistico berlusconiano ”Una storia italiana”, dai consigli dei ”guru” all’allestimento degli studi televisivi come arene per duelli fra gladiatori, la vita pubblica italiana riscopre carisma, bellezza, troni, idoli, iella, totem, giuramenti, maledizioni, fisiognomica, apologetica, predicatori e buffoni. Poteva mancare la predizione? Eccola dunque, nella sua variante meteorologica. Come politico evoluto e a suo modo innovativo, Berlusconi vi ha dato un contributo imprescindibile. Per cui, giusto a proposito di brontoscopia, o meglio cheraunoscopia (che sarebbe l’osservazione dei tuoni), varrà la pena di ricordare che dopo aver presentato il suo governo al Senato, nel giugno scorso, proprio mentre lasciava l’aula, un boato fece tremare le vetrate di Palazzo Madama, e allora lui: «Ho tuonato anch’io - disse - e adesso lassù mi rispondono». A lui. Lassù. Così, nel luglio 2001, non passa inosservata la circostanza che l’epicentro del ciclone che ha devastato la Brianza sia stato localizzato ad Arcore. Tanto non passa inosservato che il ”Foglio” scrive che come Bush, ora anche Berlusconi ha i suoi cicloni: «Arcore come il Texas, tale e quale. Frontezza operosa nel fronteggiare ogni sisma di nuvole o di nembi o di cirri. Non poteva il ciclone scegliere miglior alloggio che questo paese incautamente amministrato dal centrosinistra, ma spiritualmente eletto nella missione del Cav.». Ad Arcore, tra parentesi, si è votato l’altro ieri. una prosa, quella del ”Foglio”, che sembra piuttosto intonare una parodia di presagio. Parodia, ha scritto Roberto Calasso, nel senso di «un mondo di simulacri vaganti, distaccati da qualsiasi sostanza che garantisce una fissità dei significati». E tuttavia, sia pure scherzando, si ha la conferma che nei media è dato di rinvenire oggi le tracce della divinazione. Fatti visibili da interpretare in quanto sfuggono non solo alla tecnica, ma addirittura alla volontà umana e alla sua ragionevolezza. Si va da esempi alti - Paolo VI che all’apertura televisiva del Giubileo del 1975 scalpella la Porta Santa e gli cascano addosso dei calcinacci - fino a minuzie del tutto irrilevanti, a volte forse perfino inventate, però immancabili nelle pagine di cronaca sotto la più ambigua delle classificazioni: ”curiosità”. Quando un fulmine casca su un obelisco - cosa che non accade esattamente tutti i giorni - di queste ”curiosità” politiche a sfondo eventualmente premonitorio si può fare tranquillamente un piccolo campionario. Nel gennaio del 2001, ad esempio, si scrisse che erano crollate le antiche mura di Capalbio, ex ”piccola Atene del Tirreno”; e se non si fosse capito bene, tre mesi dopo, nell’imminenza della sconfitta elettorale del centrosinistra, un potente nubifragio sgretolò a Roma venti metri delle Mura Aureliane, per l’occasione ribattezzate Mura Rutelliane. Non tutto, com’è ovvio, trova un’immediata sistemazione simbolica. Difficile, ad esempio, interpretare lo schianto notturno con cui, a Piazzale Clodio, venne giù il controsoffitto della stanza del Procuratore capo dottor Vecchione. Ma certo, in tempi come questi, l’accaduto esprimeva una certa energia distruttiva; documentabile tanto nella fragilità dei solai, quanto nel braccio di ferro che ormai da tempo oppone la magistratura al potere politico. Molto più facile da collocarsi la triste sorte dell’ulivo piantato nel 1995 da Romano Prodi nei pressi dell’abbazia di Monteveglio, dove abitava Dossetti. La pianta prosperò per tutto il 2000. Poi s’inaridì fino allo stremo. Era il marzo del 2001. Anche lì ci fu chi diede la colpa al terreno argilloso. Ai materialisti non sono mai mancati argomenti per dare addosso ai profeti e ai pazzoidi. Una folgore su un obelisco, dopo tutto, spiega tutto e spiega nulla. E a che vale preoccuparsi quando basterebbe essere tutti un po’ meno agitati? Filippo Ceccarelli