Maurizio Crosetti la Repubblica, 30/02/2002, 10 marzo 2006
Ho mangiato la Zuppa di cane, la Repubblica, giovedì 30 maggio 2002 Seul. Dice il signor Song Tae Yong, in piedi accanto al suo tavolino di ristorante in Backstreet, il tovagliolo in mano, un inchino appena accennato, dice e ripete che per tuffare il cucchiaio nella tazza dove sta fumando la minestra di Fido non occorre essere mostri, cannibali, sanguinari o trucidi curiosi
Ho mangiato la Zuppa di cane, la Repubblica, giovedì 30 maggio 2002 Seul. Dice il signor Song Tae Yong, in piedi accanto al suo tavolino di ristorante in Backstreet, il tovagliolo in mano, un inchino appena accennato, dice e ripete che per tuffare il cucchiaio nella tazza dove sta fumando la minestra di Fido non occorre essere mostri, cannibali, sanguinari o trucidi curiosi. Basta essere coreani. «Noi non mangeremmo mai un uccellino, per noi il suo canto è poesia e nel canto c’è l’anima. Invece voi occidentali lo cucinate con il sugo e la farina gialla, quella cosa un po’ molle sì?, come la chiamate?». Polenta. «Ecco, polenta. Lo so perché mio nipote ha studiato cucina in Italia, vicino ad Asti, ora ha aperto un locale in Giappone e me l’ha raccontato. In Europa mangiate pecore e conigli, vitellini e rane, fate i salami col sangue di porco e divorate le interiora dei bovini. Invece noi mangiamo il cane, lo mangiamo dall’epoca preistorica e non siamo più crudeli degli altri». L’ometto sparisce nel retrobottega e la minestra è sempre lì, bollente come una fornace. Colore rosso vivo, piuttosto liquida. L’odore è forte, speziato. Ma il cucchiaio rimane immobile accanto al piatto. Il signor Song torna con un libro illustrato e col dito come segnapagina. «Ecco, guardi qui». C’è la foto di una pittura murale molto antica. «Questo è un dipinto del quarto secolo, si trova sulla tomba del regno di Koguryo». Il disegno rosa pallido è sbadito, però si capisce benissimo. Un uomo ammazza un cane. «è il rito della macellazione, dimostra che questa usanza alimentare è antica come l’uomo. E ho detto alimentare, non gastronomica, perché non si tratta solo di sapore. Il cane lo mangiamo anche per necessità, perché nella stagione calda è una minestra molto energetica oltrechè afrodisiaca». Sarà, ma è impossibile allontanare il fastidio, non si può non provare un ribrezzo che magari è occidentale, dunque da provincialismo del mondo, eppure autentico. «Non è vero che i cani vengono picchiati perché la loro carne diventi più tenera, queste sono fantasie. Si tratta di allevamenti moderni, dotati di tutte le precauzioni igieniche e sanitarie, ci sono controlli veterinari molto rigorosi e io credo che il vostro sia solo un problema mentale e culturale, con un po’ di pregiudizio». Il nome del pregiudizio è Bosintang e lo servono oltre 20 mila ristoranti. I coreani la chiamano ”minestra della salute”, e cominciano a cucinarla quando la stagione diventa torrida. «Sappiamo bene che in occidente vi sono molte polemiche sulle nostre abitudini alimentari, però noi pensiamo che il cibo vada sempre considerato nel contesto di chi lo mangia». Vale per le tribù boliviane che sulle pendici di un vulcano mangiano in mancanza d’altro la rata, il topo gigante, allo spiedo, oppure per gli islandesi che ingoiano bistecche di balena o per i nigeriani che succhiano cavallette. E anche i coreani con i menù non solo canini non scherzano: teste bollite di maiale, occhi compresi; zuppa di baco da seta; intestini gommosi di pesce. E a colazione la finezza estrema: il kimchi, cioè cavolo tagliuzzato con peperoncino piccante, polpa di aglio e zenzero. E nel periodo più caldo dell’anno, chiamato sambok (ci siamo quasi), i maschi devono ricaricarsi sessualmente e allora vanno in gruppo a ingurgitare il bosintang come in un rito patriarcale. Il signor Song, con i suoi modi impeccabili da cameriere parigino, ne sussurra anche la ricetta. «Si prendono un cane da quaranta o da sessanta libbre, sette carote, due libbre di germogli di fagiolo, sei patate, colla di fagiolo e polvere di cinque peperoni. Naturalmente bisogna tosare il cane e spellarlo, togliere le zampe e la testa, ripulirlo all’interno. Poi si mette a bollire per almeno due ore con le verdure, in modo che la minestra prenda gusto. Alla fine si serve in grosse ciotole, unendo altra polvere di peperone per aumentare il sapore piccante. Questa zuppa purifica, rinfresca, rinvigorisce e ci sarebbe un’ultima ragione, che non si dice mai perché sembra la più terribile e invece è la più naturale». Sarebbe a dire, signor Song? «Sarebbe a dire che il brodo è davvero squisito». In realtà, è come ingoiare nitroglicerina. Sulla punta del cucchiaio si concentra qualcosa che somiglia parecchio al fuoco dell’inferno, cioè il luogo dove probabilmente andremo a finire, adesso che abbiamo intinto - ebbene sì - la lingua nel goulash di Fido. Maurizio Crosetti