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 2002  giugno 06 Giovedì calendario

Un marziano non avrebbe dubbi, tra Cofferati e Berlusconi quello di sinistra è il Cav., The GuardianEurope, giovedì 6 giugno 2002 Milano

Un marziano non avrebbe dubbi, tra Cofferati e Berlusconi quello di sinistra è il Cav., The GuardianEurope, giovedì 6 giugno 2002 Milano. Arrivo in un dolce stato di Euroforia. Il treno da Parigi non era l’Orient Express, ma almeno era pulito, veloce e puntuale. Gli euro nelle mie tasche, se pur esteticamente contestabili, saranno accettati da qualsiasi tassista: eliminato il confuso rituale del cambio dei soldi alla stazione. Non ho alcuna nostaglia della melodrammatica lira. In un batter d’occhio sono stati aboliti fantastilioni di zero. Cosa più bella di tutte: sono in Italia, un posto naturalmente piacevole, una nazione ossessionata dal concetto di bellezza. Persino la sua forma sembra essere uscita da un atelier. Non un semplice stivale: uno stivale da donna, col tacco alto, che calcia una roccia siciliana. «L’Italia non è un Paese serio», mi ha confidato qualche settimana fa un esperto americano di politica estera (a volte mi chiedo quanto sia seria l’America, data la nostra vita pubblica così sciocca e tendenziosa). Come esco dalla stazione vedo, un po’ annerito, il palazzo della Pirelli, sfregiato da un piccolo aereo qualche settimana fa; la cicatrice orizzontale, profonda qualche piano, assomiglia moltissimo alla ferita provocata dal primo aereo che ha colpito il World Trade Center. è impressionante. Mi ha lasciato di ghiaccio. è stato un incidente, ma anche un monito: qualsiasi posto può diventare improvvisamente serio di questi tempi. E poi c’è Silvio Berlusconi, che adesso va preso sul serio. Un anno dopo la sua elezione, è ancora presidente del Consiglio - nel 1994 se ne andò dopo pochi mesi di governo - ed è ancora piuttosto popolare, che non è cosa da poco in un paese che ha avuto 57 governi negli ultimi 50 anni. Oltretutto, ora sappiamo che la vittoria di Berlusconi non è stato un caso isolato, ma l’inizio di una tendenza europea di cui Berlusconi è apparso come il primo segnale, date le conseguenti follie elettorali in tutta Europa. La settimana scorsa si è piazzato al centro della politica mondiale, costringendo i leader della Nato, compresi Blair e Bush, a partecipare a una cerimonia che celebrava la nuova alleanza strategica con la Russia. L’accordo era già stato concluso; la cerimonia è stata un’idea di Berlusconi. Sembra si sia ritagliato un nuovo ruolo, un ruolo a cui si era preparato sin da giovane, quando lavorava come animatore sulle navi da crociera: ora fa l’organizzatore di feste per i potenti della terra. Ed è assolutamente geniale in questo, come vedremo. Berlusconi rappresenta senz’ombra di dubbio una forma medievale di politica postmoderna: l’uomo ricco che non ha alcuna esperienza della vita politica e che si compra un titolo. è il despota benigno di un regno virtuale progettato da lui stesso; il regno comprende il suo partito, le sue reti televisive, i suoi possedimenti, il suo patrimonio e la risorsa più importante: la sua personalità. Ha più o meno ignorato la questione del conflitto d’interessi inerente al suo ducato; esplora i confini andando avanti, costeggia i limiti della correttezza e saluta ogni nuovo giorno con brio. Circa sei mesi fa, ha deciso che voleva essere sia ministro degli Esteri che presidente del Consiglio, e così ha fatto. Sia come Presidente che come ministro degli Esteri è il più strenuo difensore dell’America in Europa. La maggior parte dei suoi avversari è in crisi perché non sa come affrontare la questione. «è il più bravo dei venditori», dice Arturo Parisi, un dirigente della Margherita, il partito della sinistra moderata. «Non ha pudore. I politici di professione hanno un qualche senso della vergogna, del limite. Lui non ha remore. è un intrattenitore, un seduttore. Usa i suoi soldi. Ha regalato orologi costosi a tutte le mezzecartucce del suo partito. Come si fa a competere con tutto questo?». Se la situazione politica francese sembra essere un’eco del recente, non rimpianto, passato americano, possono politici come Berlusconi essere il suo futuro? Abbiamo già eletto un sindaco miliardario a New York, un senatore benestante in New Jersey e un lottatore di wrestling professionista governatore del Minnesota. Mi sono fermato a Milano perché è la città di Berlusconi. è nato qui, figlio di un bancario. Qui ha cominciato la sua carriera come imprenditore edile, qui ha comprato la sua prima stazione televisiva, Milano 58, e ha fatto fortuna trasmettendo ”Dallas” e ”Dinasty” a un pubblico rimbambito dall’elevatezza intellettuale della tv pubblica. Qui vivono tanti dei suoi più vecchi amici, tra cui Fedele Confalonieri, che suonava il piano mentre Berlusconi cantava sulle navi da crociera e che ora è l’amministratore delegato di Mediaset, l’impero televisivo di Berlusconi. Confalonieri mi accoglie nel suo ufficio. Nessuna targa o onoreficenza o foto di pezzi grossi sorridenti che si stringono le mani. «Berlusconi è un cantante molto bravo, specialmente con le canzoni francesi», dice Confalonieri senza pomposità o affetto. è un uomo piacevole. Mi racconta la storia dei successi economici di Berlusconi e poi dice: «Io sono il suo più vecchio amico, ma non sono un suo cieco seguace. Talvolta ci troviamo in disaccordo. Lo avevo avvertito di non entrare in politica. Gli avevo detto che non avrebbe vinto. Lui mi ha risposto che ce l’avrebbe fatta comunque. C’era bisogno di un nuovo prodotto sul mercato. La classe politica era diventata una casta sacerdotale esoterica. Ha detto: ”Al momento abbiamo una birra amara e una Coca Cola dolce, c’è bisogno di qualcosa nel mezzo”». C’erano altre ragioni per la discesa in campo di Berlusconi. In Italia sia la classe politica che quella industriale erano sotto inchiesta per aver dato e ricevuto tangenti. I governi stavano cadendo; il partito della classe dirigente, la Democrazia Cristiana, si era frantumato. Il patrimonio di Berlusconi era in pericolo. Se avesse assunto la guida del governo, pensava, avrebbe potuto arginare la marea. Il che si rivelò falso: gli accusatori si fecero sotto, lo dichiararono colpevole, furono smentiti e ora cercano di dichiararlo colpevole di nuovo. «Sono sicuro che ha fatto qualcosa di sbagliato», dice uno dei difensori di Berlusconi, «Ma tutti - Agnelli, Pirelli, politici di tutti i partiti - hanno giocato con le stesse regole. Tutti hanno sbagliato». Berlusconi fondò il suo partito nel 1994. Usò le sue squadre di pubblicitari come organizzatori locali. Chiamò il suo partito Forza Italia, che era l’urlo con cui i tifosi sono soliti incitare la nazionale di calcio. Ha dichiarato che Forza Italia non sarebbe stato un partito rosso (comunista) o nero (fascista), sarebbe stato blu. Blu era il colore della nazionale di calcio. In tre mesi ha formato un partito e vinto le elezioni. Mario Calabresi de ”La Stampa” mi ha raccontato di una volta che ha accompagnato Berlusconi a Parma: «Parma è una città rossa. Ha un’amministrazione comunista molto popolare. I consiglieri di Berlusconi gli avevano suggerito di tenere un incontro a porte chiuse con i militanti di Forza Italia, ma lui è voluto scendere in strada. Per il primo quarto d’ora, nella piazza principale, ha avuto problemi seri. La gente gli urlava: ”Berlusconi vattene!”. Ma era come se lui non li sentisse. Aveva una parola gentile per tutti. Ha camminato per le strade, entrando nei negozi: ”Che vetrina meravigliosa!”. E quando ne vedeva una che poteva essere migliorata, chiedeva al padrone del negozio se poteva risistemarla. ”Sono convinto che così gli affari le andrebbero meglio”, diceva. ”Tornerò fra tre mesi. Se gli affari vanno meglio, mi offre un caffè. Se vanno peggio, le pago la differenza”. Questo è ciò che bisogna capire su Berlusconi. Questo è quello che gli piace fare, soprattutto di fronte a una platea mondiale». Al G8 di Genova, l’anno scorso, Berlusconi voleva che l’entrata del palazzo che ospitava il vertice fosse abbellita da alberi di limone. Ma l’incontro era a giugno e i limoni fioriscono in inverno. Il suo giardiniere gli diede la brutta notizia e si sentì rispondere: «Penso di avere una soluzione». Sugli alberi furono cuciti dei limoni. La questione è se Berlusconi metta lo stesso impegno nel governare il suo Paese. Si è presentato con la promessa del libero mercato e gli hanno legato le mani. «Non è il principe di Machiavelli», dice Giuliano Ferrara, direttore de ”Il Foglio” che, cresciuto comunista - è stato allevato a Mosca - si è rivelato uno dei difensori più accaniti di Berlusconi. «Lui non vuole essere temuto. Vuole essere amato. Non ha nessun pregiudizio. è pronto a negoziare su tutto. Da questo punto di vista può essere imbattibile. Troverà sempre un accordo». Confalonieri conclude con un’analisi piuttosto affascinante. «è come un americano. Vuole che tutti siano felici. In Italia, per anni, siamo stati afflitti da due filosofie che proiettano la felicità in un futuro lontano. La chiesa dice che arriverà quando morireremo. I comunisti dicono che arriverà tra centinaia di anni, quando tutti saranno uguali. Non è difficile competere con idee del genere». Chiedo a Confalonieri se sia possibile incontrare il presidente del consiglio. «Certamente!» dice e telefona a Roma. Berlusconi in quel momento non c’è, ma l’incontro si farà. La cosa promette bene. Roma - L’opposizione La città Eterna, il non plus ultra dei parchi giochi per adulti. Non vorrei dilungarmi sul fatto che, contrariamente a un’opinione popolare tra gli inglesi, l’America è paragonabile alla Grecia, non a Roma (la Gran Bretagna, che s’atteggia a Grecia, un tempo fu come Roma e ora è come la Gallia, anche se divisa in quattro parti). Ci sono questioni più importanti da affrontare: sto per incontrare Sergio Cofferati, il leader della Cgil, il più grande e potente sindacato italiano, e l’uomo che s’è rivelato il più efficace avversario di Berlusconi. Nella storia di Cofferati ci sono vari tratti che risultano soprendenti agli occhi di un americano. Primo, la natura del suo sindacato. Ci sono 5,4 milioni di iscritti. La metà di loro sono pensionati, molti dei quali quando ancora lavoravano non erano mai stati iscritti a un sindacato. In Italia gli ”anziani” sono ben organizzati. E questo è un concetto spaventoso. In America esiste a malapena un’associazione dei cittadini anziani - l’Associazione americana dei pensionati, considerati vecchi ingordi che ottengono tutto quello che vogliono. In Italia ottengono anche di più. Va da sé che il sistema pensionistico presto manderà in bancarotta il Paese. Il secondo elemento incredibile è la questione su cui Cofferati ha sfidato Berlusconi. L’articolo 18 della legge sul lavoro impedisce il licenziamento di lavoratori nelle imprese che hanno più di quindici dipendenti. Se Giovanni il saldatore ha preso l’abitudine di farsi un sonnellino nelle ore di lavoro, probabilmente il suo principale dovrà andare in tribunale per potersene liberare. Nelle imprese italiane ci sono molti casi di sonnellini (o del loro equivalente morale). Berlusconi ha proposto un cambiamento minimo: le imprese con quindici dipendenti che volessero assumere più persone non dovranno attenersi all’articolo 18. La reazione di Cofferati è stata di sdegno istrionico. Lui non sarebbe rimasto in disparte mentre i diritti dei lavoratori venivano calpestati. Ha convocato lo sciopero generale. Ha invitato i sostenitori del centro sinistra a una mobilitazione di massa, a cui hanno partecipato milioni di persone. Tutti sono stati d’accordo sul fatto che il significato della campagna era molto più vasto della singola questione: se Cofferati fosse riuscito a fermare Berlusconi sull’articolo 18, poteva riuscirci anche sulle cose davvero importanti. Il risultato è ancora poco chiaro. Ma qualcuno finalmente è riuscito a battere Berlusconi con le sue stesse armi: Cofferati aveva uno slogan molto semplice: «Difenderò il tuo lavoro». A Berlusconi rimaneva solo la complicata, astratta nozione che un mercato del lavoro più libero avrebbe portato a un’economia più forte (e i commercianti detestano avere a che fare con un prodotto complicato e astratto). Berlusconi - i cui slogan elettorali erano del genere ”meno tasse, pensioni più alte” - è rimasto impantanato nella parte sbagliata della grammatica, intrappolato in una frase complicata. Cofferati è elegante e impossibile. Siede in un ufficio grazioso, circondato da arte contemporanea. Ha i capelli perfettamente pettinati e una barba tosata al millimetro che probabilmente richiede le cure quotidiane di un’équipe di esperti barbieri. Parla a voce bassa, lentamente. Al minimo movimento emana nell’aria un rinfrescante olezzo di talco. Noto tutti questi dettagli perché lui non dice praticamente nulla di interessante. Gli chiedo di Berlusconi. «Non ho niente da dire su Berlusconi», risponde. Gli chiedo delle conseguenze economiche della sua posizione sulla flessibilità del lavoro. «Il problema non è la flessibilità del lavoro», dice, «ma l’incapacità delle imprese a spendere di più per la ricerca e lo sviluppo». Gli chiedo dell’onda di destra che sta attraversando l’Europa e a questo punto dice qualcosa un po’ più interessante: «In Europa le forze progressiste stanno pagando a caro prezzo il sostegno che hanno dato a un’Unione Europea troppo attenta al mercato e non abbastanza alle diseguaglianze sociali» (questa considerazione è molto simile a quello che mi hanno detto gli esponenti della sinistra francese: è possibile che ora la sinistra cominci a descrivere l’Unione Europea come una burocrazia senza cuore basata sul libero mercato?). Ma tant’è. Cofferati sta per lasciare la guida del sindacato. Quasi tutti sono convinti che entrerà in politica, come leader della coalizione di centrosinistra. Ma questo lui non lo ammetterà mai. Dopo 26 anni, ritornerà a lavorare alla Pirelli. Il suo vecchio lavoro - controllare il rivestimento dei fili elettrici - non esiste più. Lavorerà in una fondazione benefica dell’azienda, farà cose degne di lode (leggi: vuol far carriera politica). Quando esco dal suo ufficio, piuttosto depresso, il mio cellulare mezzo rotto squilla e ricevo una notizia sorprendente: Berlusconi vuole vedermi. Roma - Il capo Se la gaffe è ciò che accade quando un politico accidentalmente dice la verità, allora cos’è un’intervista formale? Più o meno il contrario. Situazione certamente difficile per un giornalista. Il braccio di ferro è quasi sempre una scelta disastrosa. Fascino e seduzione non servono. Con Berlusconi mi toccherà provare col ju-jitsu. Forse se mi butto sulla sua specialità - organizzare feste - riuscirò a guardare nella sua anima (come il mio presidente ha detto di saper fare con Vladimir Putin). Stiamo per incontrarci nella sua residenza privata, che è stupenda, in una strada vicino a piazza Venezia, dove Mussolini era solito affacciarsi dal balcone. Berlusconi sembra anticipare la mia strategia. Mentre lo aspettiamo offre a me e all’interprete Christine gelato alla vaniglia. Ho sentito dire che a Bush è piaciuto molto il gelato che prepara Michele Persichini, lo chef di Berlusconi. La mia prima domanda partirà da lì. Non ci fa aspettare a lungo. Scivola nella stanza, sorridendo, vestito in modo più sobrio di Cofferati. Mi immaginavo che portasse chissà quale orribile profumo, invece non ne aveva nessuno. Il suo vecchio amico Confalonieri è venuto da Milano e ci sono anche vari assistenti. Ci spostiamo in un ufficio con arazzi e un gigantesco, inconfondibile dipinto rinascimentale. «Ho parlato con Lady Thatcher qualche anno fa», dice subito, prendendo in mano la situazione. «Mi ha detto che a Downing Street aveva uno staff di 74 persone. Tony Blair ha portato il numero a 120. Quando sono arrivato qui ne ho trovati 4.500, li ho ridotti a 3.000». «So che in Italia è difficile licenziare», gli dico. Lui mi ignora, tira fuori una tabella tricolore dove ha catalogato lo status di 170 leggi - «I colori fondamentali», scherza lui (Primary colors, nell’originale, libro scritto da Klein, ndr). Comincia un excursus sulle difficoltà di far passare una legge, di realizzare qualsiasi tipo di riforma. «Machiavelli ha detto che la riforma è la cosa più pericolosa che un leader possa tentare», dice - e mentre fa una pausa, io riesco a infilare la mia gracile domanda su Bush e il gelato. «Sì, gli è piaciuto molto. A tutti è piaciuto molto. Stavo in piedi accanto a Putin durante le celebrazioni. Sono passati tre caccia, lasciando dietro di loro una scia bianca rossa e verde. Putin mi ha chiesto: ”è un’esercitazione militare?”. E io: ”No, il menu”. Era tutto tricolore. L’antipasto, il primo, il gelato». Non vuole dilungarsi sui dettagli della festa, comunque. Preferisce parlare del patto con la Russia e di Putin. «Al G8 di Genova io e Putin abbiamo parlato in modo molto sincero. Ho visto la sua preoccupazione al pensiero di ciò che sarebbe accaduto se l’America fosse uscita dal trattato Abm (per la riduzione dei missili balistici intercontinentali, ndr) e se la Nato si fosse allargata attorno all’ex Unione Sovietica. La Russia si sentiva circondata. Temeva che alcuni dei suoi alleati potessero rivolgersi a Est, verso la Cina, e formare un’alleanza. Era molto preoccupato. E io pensavo: dovrei fare qualcosa per risolvere la situazione? Ho lavorato insieme ai nostri partners e all’amministrazione americana. Sono andato a Mosca e ho parlato con Putin per due giorni. Alla fine, si decise per una telefonata a Bush e così si arrivò all’accordo». Continua a parlare dei dettagli del suo piano e delle sue speranze di raccogliere 10 miliardi di dollari da dare in beneficenza alla popolazione russa. Finalmente riesco a chiedergli dello spostamento verso destra dell’Europa. «Sì, effettivamente dalla parte dei socialisti ci sono stati risultati piuttosto scarsi. Tony Blair sta facendo bene perché ha seguito il percorso tracciato dalla Thatcher. Bisogna distinguere tra la sinistra moderata e la sinistra sinistra. Il comunismo è stato una buona idea con cattivi risultati. E riformare un regime comunista è sempre traumatico. Gorbaciov venne a farmi visita quando era presidente dell’Unione Sovietica e mi fece molte domande. Ero così felice che si dimostrasse aperto a nuove prospettive. Alla fine, mentre stavo accompagnando a cena lui e Raissa, disse: ”C’è una cosa che non capisco, quale autorità stabilisce i prezzi?”». Berlusconi sorride, ma non ride della sua storia. Non sembra poi una personalità così fuori della norma. Ma comunque è lui il capo, e prima che continui butto là una domanda sulle riforme per il libero mercato. Gli chiedo se Cofferati lo ha battuto sull’articolo 18. Non dice di no. Risponde: «è più facile dire ”difenderò il tuo lavoro” piuttosto che ”il contratto che dice che non puoi essere licenziato non è un diritto, ma un privilegio che ha meno di un terzo di tutti i lavoratori in Italia”». A questo punto comincia a parlare - e va avanti per un bel po’ - delle sue riforme, del suo budget, dei suoi successi, dei suoi piani. Cerca di convincermi - contrariamente alla linea tenuta dalla sinistra - che lui è profondamente coinvolto nella guida del governo e che sta realizzando i suoi piani. Questo è il tipo di argomentazione difficile da valutare per un giornalista straniero, ma deduco che, siccome non può citarmi nessuna grandiosa vittoria - a parte qualche legge passata e qualche progetto ideato - non ha ottenuto il successo che voleva. Cerco di fargli altre domande ma lui è imperturbabile. Tira fuori il contratto che ha stipulato con gli italiani dopo le elezioni, e mette una crocetta su tutte le promesse mantenute. Tira fuori pure il suo budget. Dopo un’ora, un assistente gli dice che ha altri impegni. Parla per un’altra mezz’ora. Alla fine, racconta questa storia:«Mi trovavo a Napoli, erano venute ad ascoltarmi 300 mila persone. Ho parlato per un’ora e venti minuti. Loro urlavano: ”Silvio! Silvio!”. Ho concesso alla platea quattro bis. Ero esausto. Ho deciso di restare a Napoli per una pizza. Siamo andati in un ristorante e a un certo punto ho sentito la voce meravigliosa di un uomo che si accompagnava con la chitarra. Gli ho chiesto di cantare una canzone difficile, vecchia di cinquecento anni e lui l’ha cantata. Conosceva migliaia di canzoni. ”Ne scrivi mai qualcuna tu?”, gli ho chiesto. Mi ha detto di sì e me ne ha fatte ascoltare tre. La voce e la musica erano belle. Le parole terribili. Gli ho detto: ”Scriverò dei testi per te”. Così, per dieci sabati è venuto a casa mia dopo mezzanotte e abbiamo scritto dieci canzoni. Ora abbiamo fatto un Cd. Lo venderemo per beneficenza». La classica domanda di un americano messo di fronte a qualsiasi politico pittoresco è: bricconcello o manigoldo? (i manigoldi essendo una specie più sinistra dei bricconcelli). Clinton era un briccone. Nixon, un manigoldo. E Berlusconi? Sospetto che sia stato un manigoldo mentre costruiva il suo impero economico. è possibile che adesso, non avendo più bisogno di soldi, sia scivolato nella mera bricconeria - manipolatrice certo, egomaniacale sicuramente, ma almeno è onesto sul bisogno di riformare l’economia e, se l’Italia è fortunata, è troppo benestante per essere veramente corrotto. Confalonieri mi segue fuori e mi chiede: «Allora, cosa ne pensa?». «Se fossi un marziano», dico, «e avessi conosciuto prima Cofferati poi quest’uomo, e lei mi avesse chiesto quale dei due è il leader della sinistra e quale il presidente del Consiglio...» Mi interrompe: «So esattamente cosa sta per dire». Joe Klein (traduzione di Benedetta Guerrera)