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 2002  giugno 09 Domenica calendario

Una partita dell’Italia vista dal carcere, senza frigo né clacson, la Repubblica, domenica 9 giugno 2002 La partita finisce dieci minuti prima che si apra l’Aria

Una partita dell’Italia vista dal carcere, senza frigo né clacson, la Repubblica, domenica 9 giugno 2002 La partita finisce dieci minuti prima che si apra l’Aria. All’Aria c’è un’aria greve. Si racimolano a fatica due squadre, e non si trova uno disposto a fare l’arbitro neanche a pagarlo a peso d’oro. Guardie e ladri d’accordo: ce l’hanno rubata. Solo Adel, che peraltro è uno dei migliori dribblatori sul cemento armato del momento, sostiene che il fuorigioco sul primo gol di Vieri c’era. Ma nessuno ci crede: lo dice perché gli girano. Ce l’hanno tutti col guardalinee danese. Ci mancava pure questa, come se l’Italia non avesse già abbastanza guai con il Belgio e con la giustizia. Il segnalinee in genere poi è una mezza figura, risentita e vendicativa, particolarmente malvista: guardarsi dal giudice a latere. Ci mancava una vittoria mutilata, col fervore patriottico che c’è in giro. I prigionieri, ma anche le guardie, tendono a dare per certo che arbitro e giudici a latere siano stati comprati. Hai voglia a chiedergli chi glieli dà, alla Croazia, tutti questi soldi. Joseph, che è nigeriano ma dall’altroieri preferisce spacciarsi per senegalese, è un tipo filosofico. Sapete che questi africani sono belli e ballano, ma sono serissimi e non scherzano mai. Joseph pensa, poi dice: «La palla è rotonda». Sul serio. Dice: «Vince chi fa più gol». Gli rinfacciano che l’Italia ne ha fatti tre e un palo interno. Joseph, serio, ammonisce: «Anche l’arbitro fa parte del gioco». Doni si mangia un gol. «Io lo facevo», dice Giafar. Giafar è Saharaui, ma non sa niente del Fronte Polisario. Grandi resistenti non violenti: lui piccolo spaccio. Non ha fatto un gol in dieci anni. Totti prende un gran palo interno. Sconforto universale. «Il palo fa parte del gioco», dice convinto Joseph. Vieri segna un bellissimo gol di testa su una bellissima deviazione al volo di Zambrotta. Annullato. Vieri ammonito. Ferri sbattuti per protesta. Agenti solidali. Il tifo a volte è così ingenuo e commovente. il sintomo di una generosità dilapidata. L’altra mattina, per esempio, giocava la Tunisia, ed era orario di apertura delle celle. Così a un certo punto si è sentito un coro festoso e tutti i detenuti tunisini sono saltati fuori dalle celle nel corridoio abbracciandosi e cantando. Sono uscito anch’io e ho detto: «Ma non è gol: ha urtato la rete da fuori!» Ci sono rimasti male: se n’erano accorti anche loro che era quasi gol, ma avevano voglia di festeggiare un po’. «Come si fa a non far entrare Montella?» - dice Mario. «L’hanno addestrato a entrare alla fine e segnare quattro gol, e non lo mandano dentro?». In genere noi detenuti pensiamo che gli allenatori ce l’abbiano con Montella perchè ci ha la moglie bella. Ufficialmente si sta in galera per rifarsi una vita. In realtà la vita si disfa, a vista d’occhio. Ci sono due sole possibilità: il teatro e il calcio. A teatro si può essere un altro, sia pure per un paio d’ore - Agamennone, o Amleto, o l’Ispettore Generale. A pallone si può essere un altro: Ronaldo, Del Piero, Matusalem (’come mai Matusalem?”, direte voi; perché a uno è capitata, chissà come, una maglietta con su scritto Matusalem). Il tifo è una vita per interposta persona. Si capisce che in galera sia prezioso. In galera le metafore diventano reali. Per esempio, quando Berlusconi saluta i calciatori della Nazionale: «Se non vincete, vi metteremo in galera». Che razza di scherzi. Siccome sono secoli che amnistie e indulti non se ne vedono più, e anche il Giubileo se n’è andato, e le carceri straripano, qualcuno ci prova. «Se l’Italia vincesse i Mondiali, darebbero qualcosa?». Macché, dico, non danno niente. Tanto vale che vinca la Croazia: magari un’amnistia ai croati la danno. Maurizio si offende. Uno mica tiene per l’Italia per un’amnistia. Lui è idealista, in campo si fa chiamare come il soldatino Di Livio, e prende rincorse degne di altri spazi, andando a schiantarsi contro il cemento del muro. Ormai è quasi piatto. Era divertente, venerdì, leggere da qui la pagina di ”Repubblica” di Licia Granello sulla nuova moda lanciata dalla Nike: «Il calcio ora si gioca in gabbia...». Ehi, siamo noi. Non parliamo delle vecchie storielle, giocare da libero, da terzino, da secondino... Tommasi è molto ben visto, per via di quella volta che andò a giocare coi ragazzini a Sarajevo, e quell’altra che andò a visitare Regina Coeli; e anche Totti, che uscì e disse: «Se non fosse stato per il pallone, magari adesso starei dentro anch’io». E poi dicono che non è bravo di parola. Io l’avevo capito come andava a finire, quando i telecronisti, esattamente al 26’, dopo un doppio rischio Vugrinec, hanno pronunciato per la prima volta la fatale parola: soffrire. Giocano a pallone, sull’erba, li pagano, e la chiamano sofferenza. Poi l’hanno ripetuta una quantità di volte, al solito: «Bisogna soffrire». Buona Ugo. Com’è una partita fatidica guardata in galera? Come una guardata a piede libero, più o meno. Non si può andare al frigorifero per il nervoso, dato che non c’è il frigorifero. (Il nervoso sì). Se si vince, non si va in centro suonando il clacson. Non si va da nessuna parte. Se si perde anche: restare in cella dopo che si è perso è triste. Si sta sdraiati in branda, e si aspetta la dolce infermiera e la triste terapia. Oggi quaranta gocce in più, per favore. Per favore! In galera è successa la cosa che si paventa come un incubo fuori: che gli stranieri (’extracomunitari”) siano già maggioranza, o quasi. Questo non riduce il tifo per l’Italia: al contrario. Nessuno è più patriota dei nuovi arrivati: l’impero romano l’aveva capito, e affidava ai coloni i suoi confini. (Oggi non l’hanno capito, e vogliono solo buttarli fuori dai confini). Per desiderio di essere accolti, si votano a una squadra locale, e tanto più alla Nazionale. Si dividono senza tensioni fra diverse appartenenze. I magrebini, per esempio, che qui sono soprattutto tunisini: tifano per la Tunisia, per qualunque squadra africana, per Zidane, per l’Italia, e comunque tutti contro l’Arabia Saudita. Troppo ricchi, troppo razzisti - dicono i ragazzi arabi dei sauditi. C’è qualche bravo latinoamericano. L’altro giorno ho detto a Manuel: «Hai saputo, nel carcere di San Paolo durante la prima partita del Brasile sono evasi in venti». «E non hanno visto la partita?» - mi ha detto, allarmato. Ora c’è stato un geniale servizio di Totti, che ha trattenuto la palla in difesa a lungo, finché ha visto Vieri all’altro capo del campo, e gli ha messo davanti ai piedi un lancio fantastico, che Vieri ha mandato a remengo, e sulla rimessa i croati hanno segnato il primo gol, e subito dopo il secondo gol. («L’imperatore della Cina era triste perché aveva due mogli: la prima moglie, e la seconda moglie»). « la legge del calcio - dice con gravità Moncef - quando manchi un gol, gli altri te lo fanno loro». «Sai una cosa - dice Joseph - quando tiri in porta devi tirare con precisione». I primi anni pensavamo che Joseph ci prendesse per i fondelli. Adriano Sofri