Paolo Isotta Corriere della sera, 15/06/2002, 15 giugno 2002
Padre Pio celebrò l’ultima messa sorretto per le ascelle da due confratelli, Corriere della sera, sabato 15 giugno 2002 Domani avverrà un fatto che fino a pochi anni fa avresti detto non maturo per i nostri tempi, la proclamazione di padre Pio quale Santo da parte della stessa Chiesa che per decenni lo ha sentito come un corpo estraneo e duramente perseguitato
Padre Pio celebrò l’ultima messa sorretto per le ascelle da due confratelli, Corriere della sera, sabato 15 giugno 2002 Domani avverrà un fatto che fino a pochi anni fa avresti detto non maturo per i nostri tempi, la proclamazione di padre Pio quale Santo da parte della stessa Chiesa che per decenni lo ha sentito come un corpo estraneo e duramente perseguitato. Destino frequente ai Santi. Il fenomeno viene descritto dapprima negli aspetti accidentali anche da un quotidiano che amo e che dedica poi al Santo una pagina di riflessioni ”alte” di penne ”alte”. A San Giovanni Rotondo v’è mercimonio post-moderno d’immaginette e statuette e pinocchietti automobilistici? Abbiamo noi letto quel che avveniva attorno ai più celebrati santuari, luogo di pellegrinaggio nel Medio Evo? Abbiamo noi letto della vendita delle indulgenze che vi si praticava, sicché un’autorevolissima corrente storiografica parla addirittura d’’invenzione del Purgatorio” escogitata poco prima della Divina Commedia proprio per alimentare il commercio? E vogliamo ricordare il verminaio sviluppatosi intorno ai Santuari dell’Antico dedicati a divinità ”soteriche”, quali Orfeo, Mitra, Iside? Anche per padre Pio dobbiamo incominciare da queste umanissime miserie? Materialista, io ho sempre nutrito per padre Pio una fortissima devozione. Forse per me, anche aiutato da una comune origine etnica e da un da lui condiviso sentimento del mito, è più facile venerarlo che a un credente moderno. Vorrei tentare di spiegarlo senza ricorrere a demagogici estremismi. Incominciamo col mettere da banda gli aspetti ”soprannaturali” della santità di padre Pio. Mi limito a rilevare quanto di meraviglia debba esserci nell’osservatore se si pensa agli aspetti umani e religiosi che fanno il ritratto del Santo e li si paragona alla personalità dell’uomo contemporaneo. Padre Pio veniva da un’altra epoca, indicibilmente arcaica rispetto all’attuale ”visione del mondo”. Non condivideva i nostri valori. La ”felicità individuale” non era da lui concepita come un possibile fine, men che meno da implorarsi con la preghiera; in quanto ”diritto”, era per lui bestemmia. Verso l’essere umano, agiva con una severità, una bruschezza, una mancanza di unzione, tale che la nostra meraviglia è proprio nel fatto che fosse venerato da moltitudini. Dietro vi nascondeva un’infinita compassione, un’infinita tenerezza, ma queste erano da lui considerate attributi divini dei quali egli poteva disporre per delega. Egli provava pena per l’umana sofferenza perché Colui che l’aveva, una volta e irrevocabilmente, eletto, glielo permetteva; ma, si badi, a un prezzo carissimo. Secondo natura e fisiologia, quel fragilissimo arbustello sannita non avrebbe dovuto raggiungere nemmeno l’adolescenza, bacato com’era dalla malattia. Trascorse ogni giorno della vita in uno stato febbrile che non gli avrebbe concesso di giungere al successivo, tanto lo consumava; eppure si sottoponeva quotidianamente a fatiche, nella preghiera, nella veglia, nella Confessione, che avrebbero ucciso un Carnera. A prescindere dalle Stimmate, sulle quali forse fin troppo ci si è soffermati. Concentrato di patologie inguaribili, ch’è troppo comodo classificare di natura neuropatica, quest’uomo giunse alla vecchiezza attraversando ogni giorno un inconcepibile oceano di sofferenza fisica; al quale s’accompagna la sofferenza spirituale per la propria indegnità, tipica dei Santi. Il primo aspetto arcaico di contro al nostro tempo consiste nella natura ”contemplativa” della sua santità. Oggi tutti sono capaci di ammirare la carità ”attiva”, di piglio, semmai, vagamente manageriale, dimentichi della dantesca contrapposizione di Maria e Marta. Padre Pio riteneva il massimo dei privilegi concessigli la preghiera, suprema esperienza contemplativa per mezzo della quale, come i suoi simili, Santi barocchi e medioevali, quasi usciva di sé per entrare in contatto con qualcosa di a noi precluso. Solo che per colui formatosi sotto una durissima Regola, lo smarrimento nell’infinito non è solipsismo, è implorazione all’Altissimo perché la Grazia si spanda uniformemente su tutti. Oso un’interpretazione del Santo. Di certo si sentì eletto, ché vicende siffatte non sono casuali. All’elezione, che per l’Eletto è innanzitutto fonte di terrore, egli dovette rispondere con una preghiera. «Signore», così me l’immagino, «fate che questo Vostro servo possa diventare una spugna dell’universale sofferenza attirandola a sé con la preghiera e alleviandone un po’ gli altri». V’è in quest’implorazione un tratto di volontà di potenza, terribile, che non sfugge. Viene corretto dalla humilitas di base: a lui la sofferenza, agli altri la guarigione o un po’ di sollievo, sempre che la loro preghiera fosse indirizzata a lui in quanto mero intercessore. Su tal punto il Santo fu sempre implacabile, giungendo a scacciare dal confessionale o dal colloquio chi giudicasse indegno. L’anelito alla somma sofferenza attraverso la contemplazione è, ripeto, il tratto oggi più incomprensibile di padre Pio. Ma prima di proseguire il discorso mi si permetterà una disgressione sulla ricca umanità, che, altro e men conosciuto miracolo, pur sempre lo impregnava. Uomo né illetterato né semplice, aveva conservato rapporti familiari con numerosi ceppi dell’Irpinia e del Sannio, ov’era nato e s’era formato. Era abituale al popolo, specie le donne, e fra queste le vedove, rivolgersi al ”monaco”, prima ancora che al confessore, per tenerlo a giorno anche di minuti episodi della vita quotidiana e, inermi, giovarsi del suo consiglio. Un intimo amico originario delle stesse zone del Santo mi raccontò un episodio che ben diversamente lo dipinge rispetto allo stereotipo. Una benestante vedova senza figli, proprietaria terriera, essendosi affezionata a un nipote che intendeva nominare erede, voleva intanto intestargli un fondo: per alleggerire la successione. Edotto del proposito, il Santo sentenziò: «Sora mia, ’e galline se spennano soltanto doppo muorte». Delicatezza e soccorso verso una creatura fragile e insicura, degne d’un Santo; e saggezza finissima. Al centro di dispute durate lunghi decenni, i ”miracoli” di padre Pio e le sue Stimmate. Da materialista, mi sorprendo ogni qual volta la scienza tende a negare un fatto sol perché non può, al momento, materialisticamente spiegarlo. Le patologie fisiche di padre Pio sono state più volentieri considerate frode che fenomeno, ad oggi, per la scienza inclassificabile. Che cosa impedisce vi giunga essa un domani? E perché negare a priori l’eccezionalità d’un’esperienza prima spirituale che fisica? La Rai ha più volte trasmesso un documentario su padre Pio realizzato da Giovanni Minoli. Assistervi fu per me un’esperienza sconvolgente. Si raccoglievano testimonianze dei confratelli sull’ultima sua notte, sul profumo intensissimo emanante dalla salma; le piaghe sulle mani e sui piedi, che incominciarono dal mattino a chiudersi e poi non lasciarono traccia, posero fine al processo su di un cadavere. Più di tutto turba uno spezzone girato da un cineamatore durante l’ultima Messa celebrata dal Santo, a circa venti ore dalla morte. Ricoperto dai paramenti, sull’altare a muro e recitando in latino, egli è sorretto sotto le ascelle da due confratelli: non ha nemmeno le forze per tenersi all’impiedi: ma deve celebrare. Hai l’impressione, grazie anche al ”sonoro” della ripresa, che un’agonia fortissima già lo attragga per dargli finalmente pace e ch’egli concentri, minuto dopo minuto, le residue forze per respingerla. Lotta per rievocare dall’oblio ogni parola liturgica: e ciascuna lentissimamente scandisce. Tra l’una e l’altra, pause spaventosamente lunghe, documento del desiderio di arrendersi e dello sforzo della volontà. Come negare che per lui la celebrazione della Messa fosse ogni volta la reale ripetizione del Calvario? Paolo Isotta