Filippo Ceccarelli La Stampa, 19/06/2002, 19 giugno 2002
Lo stregone che regala pampers e pupazzi di zucchero, La Stampa, mercoledì 19 giugno 2002 Oggi pomeriggio, al Senato, il senatore a vita Francesco Cossiga si dimette, oppure no
Lo stregone che regala pampers e pupazzi di zucchero, La Stampa, mercoledì 19 giugno 2002 Oggi pomeriggio, al Senato, il senatore a vita Francesco Cossiga si dimette, oppure no. Eppure, qualunque sia l’esito, egli resta un mistero, il più incredibile e duraturo mistero della politica italiana. «Quando scendo dall’automobile - ha riconosciuto lui stesso non molto tempo fa - è come se uscisse un animale esotico, la gente sgrana gli occhi». L’ha battezzato: «Effetto canguro». Gli animali rientrano sempre più spesso nel suo frasario, pubblico e privato. L’altro giorno ha definito il presidente della Commissione Giustizia della Camera Pecorella «un gufo», uccello magico. Si è anche personalmente assegnato un animale totemico, di riferimento, nel quale identificarsi: il Gatto Mammone. I suoi seguaci, del resto, quel che restava del partitino cossighiano dell’Udr, furono da lui a lungo chiamati «i quattro gatti», con tanto di cravatte natalizie e logo felino. Durante l’ultima campagna elettorale, davanti ai fotografi che lo seguivano in un giro al mercato del quartiere Trionfale, l’ex presidente della Repubblica ha voluto lasciare un segno di sé a un banco di pescivendoli e ha firmato il suo autografo sul dorso di una sogliola. Cossiga fa e dice cose che nessun altro politico si sogna di dire o fare. Cossiga sogna, ad esempio, e dai propri sogni trae pubbliche indicazioni per il presente e per il futuro. Giovedì 6 giugno si è presentato a sorpresa all’assemblea degli eletti delle regioni al teatro Argentina. Come era opportuno, gli hanno dato la parola e lui ha esordito nel seguente modo: «Stanotte ho fatto un sogno: tutti noi, che stamattina siamo qui riuniti, finivamo in galera». Spesso si presenta là dove non è atteso; indica colpevoli e vie d’uscita. Si direbbe che gli piace sempre più sorprendere. Ma più che a un calcolo, o una strategia, questo suo atteggiamento di eccezionale imprevedibilità sembra ispirato da un’energia profonda e spontanea, dal desiderio di veder rispecchiata nello sguardo degli altri la meraviglia naturale generata dai suoi paradossi e ribaltamenti. Ultimamente ha ricevuto dei giornalisti a letto, con eleganti pantaloncini a coscetta; si è fatto servire un whisky durante una conferenza stampa; sui telefoni di casa e dell’ufficio, anche prima dell’inchiesta di Potenza, si poteva leggere: ”Questo apparecchio potrebbe essere intercettato”; mentre su un tavolinetto all’ingresso di casa un’altra targhetta raccomandava di ”non lasciare pistole incustodite”. La scrivania a Palazzo Giustiniani ha ospitato a lungo, ben prima del film, un pupazzo dell’Uomo Ragno che, debitamente pigiato, diceva: ”Ciao amico, sono l’uomo Ragno! E’ ora di entrare in azione! La mia ragnatela è invisibile!”. Lo stesso ex presidente, in occasione del suo compleanno, si è lasciato raffigurare con un enorme pupazzone di Snoopy in braccio. Ora Cossiga, figura di politico colto e assai poliedrico, si è sempre divertito con i gadget elettronici, i soldatini, le bandiere; a suo tempo teorizzò anche la necessità di restare un homo ludens. E tuttavia quel «di più» che si nota in lui, insieme alla disinvoltura con la quale gli capita di maneggiare anche la materia più bassa, corporale, di esprimersi con un linguaggio disinibito, l’insistenza con cui spesso e volentieri scherza sulla malattia sua (appena operato volle sapere come stava il gatto cui avrebbero dato un pezzetto del suo colon) e degli altri (’il club K”), ecco tutto questo sembra trasmettere qualcosa che va al di là delle parole. In altre parole: sembra che Cossiga si sia assegnato un ruolo, per certi versi inconfessabile, di intermediario tra questo mondo e un altro, tra le forze che maneggiano gli uomini e i simboli che, più o meno reconditi, da sempre accendono la loro fantasia. E’ come se si sentisse attore di se stesso, ma anche autore, regista, impresario. Il mese scorso s’è saputo che reciterà la parte di Francesco Cossiga in un film di Barbareschi, Il Trasformista. Intanto cambia spesso d’abito, appare attratto dai travestimenti, t-shirt, berretti di piume da capo indiano, come chi sa benissimo di partecipare al Gran Palcoscenico dell’immaginario. Ospite a ”Porta a porta”, dove gli hanno organizzato un ballo sardo, ha preso in mano una antica maschera di scena, nera, abbastanza spaventosa, che lui si è subito calata sul volto. E il suo enigma prosegue anche sulle questioni più direttamente pubbliche che investono il ruolo e i limiti di un ex Capo dello Stato. La sua indubbia curiosità pone Cossiga in una dimensione più che incognita, arcana. Inesplicabile è la sua personalissima politica estera: è senz’altro un benemerito dell’atlantismo, tiene corsi nelle università più prestigiose della Gran Bretagna, ma vola da Gheddafi e aiuta i baschi con un tale impeto da sfiorare, anzi quasi da cercare l’incidente diplomatico con Aznar. Del tutto inclassificabili i suoi movimenti qui in Italia, da un decennio a questa parte. Il momento più alto quando ha fondato un partitino e l’ha portato al governo rivoluzionando gli equilibri, anche se poi - attenzione qui - la fine di quell’esperienza gli è parsa determinata da un destino misterioso, una specie di sortilegio predisposto dalle vittime. Ora Cossiga sostiene di svegliarsi al grido di: «Viva la gloriosa Prima Repubblica!». Ha nostalgia del Pci, ma è stato l’ultimo ad abbracciare Craxi; rivendica con orgoglio l’organizzazione di Gladio, però ha proposto pensioni e onorificenze per le eventuali spie nominate nel dossier Mitrokhin; detesta la lobby di Lotta continua, eppure interviene alle presentazione dei libri di Toni Negri e ha fatto da testimone di nozze a un ex terrorista. Mistero nel mistero è quel che pensa in via assoluta e definitiva di Prodi - il «vindice» - Di Pietro, D’Alema, Berlusconi, quest’ultimo gratificato di ”Grande Puffo», «Silviotto ciucciotto e ninna nanna», «Anticristo». E tuttavia il presidente emerito della Repubblica - nuova figura protocollare che ha caldeggiato fino a ottenerla certificata con tanto di onori e benefit in una circolare di Palazzo Chigi - non gli ha impedito che suo figlio, suo nipote e diversi amici suoi, già autorevoli «quattro gatti», finissero in Parlamento, generosamente eletti dal Cavaliere nelle liste di Forza Italia. Pur alieno da facili opportunismi, sembra stia lì a sfidare ogni fervida ed esclusiva linearità, ogni convenzionale spiegazione del suo operato, perché a ben vedere Cossiga si muove semmai a labirinto, a serpentina, a rosa dei venti, a vortice ritmico, non di rado in crescendo. Troppo difficile è classificarlo secondo i normali codici politici di destra, centro o sinistra; troppo comodo d’altra parte liquidarlo come ”caso clinico”, nel senso ovviamente psichiatrico. Da più di dieci anni va avanti questa storia, e il tempo gioca per lui. «Io forse per paura di diventare matto - ha scritto una volta - mi lascio trasportare dalla mia innocente follia a sperare in un’Italia diversa». E allora? Ecco, allora: l’ipotesi interpretativa che si è fin qui cautamente imbastita, e che rispettosamente - per Cossiga e per il lettore - si vorrebbe proporre, o forse soltanto azzardare, muove dall’ipotesi che Cossiga non sia né pazzo, né ormai catalogabile come politico tradizionale. Ma che abbia scelto per sé un ruolo molto particolare che nella sua terra d’origine, in lingua logodurese, è quel del ”majarzu”, da ”maja”, che vuol dire magia, e quindi si senta un mago, uno stregone o meglio ancora, dal punto di vista antropologico, uno sciamano. Che cos’è infatti uno sciamano? un individuo dotato di facoltà speciali, un po’ guaritore, un po’ veggente, qualcuno che segnala i pericoli, individua i colpevoli, fa ritrovare gli oggetti smarriti, non disdegna gli stati di trance durante i quali si mostra consapevole di cose molto lontane, ai più indecifrabili. Bene, Cossiga fa un po’ tutte queste cose. Coltiva l’arte sacra della beffa, regala tricicli, pampers, slip, bambini di zucchero. Certo non guarisce le malattie, come Berlusconi, ma se si estende la valenza taumaturgica sul piano della vita pubblica appare evidente che fin dai tempi del piccone il personaggio si propone come medicine-man del sistema politico italiano. Allo stesso modo ama rappresentarsi come il Vecchio della Montagna, rispetto al quale tutti gli altri sono «ragazzi», «ragazzotti», «ragazzini», anche se hanno più di 60 anni. Così, secondo Elemire Zolla, si delinea l’ideale di vita sciamanico: «Un trascorrere di vertigini, un’esistenza intensa e trasognata, guidata da visioni, a passo di danza». Sembra un po’ il manifesto del cossighismo, se esistesse come accademia politica. Zolla in realtà ne scriveva a proposito della Corea (!), ma la cultura e la lingua sarda - vedi il dizionario universale Rubattu - contemplano una sintomatica abbondanza di sinonimi di stregone: ”brusciu”, ”istroligo”, ”cogu”, ”ecciseri”, ”mazineri”, ”mainargiu” e appunto ”majarzu”. Lo stesso Cossiga, nei giorni scorsi, andando alla carica del Procuratore generale di Genova Meloni, ha minacciosamente rivendicato di aver avuto rinomate ”majarzas” nella sua famiglia. E poco dopo ha raccontato di aver fatto una sorta di fattura a Jospin, con spillone e tutto. Per scherzo. Più si va avanti insomma e più si torna indietro. Dopo i pubblicitari, gli esperti di marketing e gli psichiatri arrivano in politica gli sciamani. O forse ci sono sempre stati. Come al solito, basta non agitarsi troppo, anche a Palazzo Madama. Filippo Ceccarelli