Varie, 8 marzo 2006
SARZANINI Fiorenza
SARZANINI Fiorenza Roma 27 settembre 1965. Giornalista. Del “Corriere della Sera”. «[...] è figlia d’arte. Fabrizio, il padre, è stato supercronista giudiziario dell’Ansa e demone tentatore della figlia. Quando gli annunciò che si era iscritta a Legge, lui fece: “Ma intanto vieni con me alle udienze in tribunale. Questa è la vera università”. A sette anni, Sarzaninetta aveva già deciso per il giornalismo. Al tempo del rapimento Moro, scriveva degli articoli sul caso e il babbo che lo seguiva sul campo li trovava sullo scrittoio al rientro. Vedendola così agitata, la mamma decise di metterla al Marymount dalle suore, per di più inglesi. Le sante donne fecero il dovuto per la lingua, ma rinunciarono al resto. A 20 anni, Fiorenza fa l’apprendistato al Dea, lo schedario elettronico dell’Ansa. Impara a riassumere in cinque righe le 500 del testo originario. Sempre via papà, entra di straforo al “Messaggero”, giornale romanissimo che spia la vita cittadina, quartiere per quartiere, Spulciando i mattinali di questura, l’astuta precarietà pubblica succulente liti condominiali e corna illustri, dai Parioli a Tor Tre Teste. Regola dei giornali è che i colalboratori saltuari non stiano in redazione, ma mandino gli articoli da casa. Lei se ne impipa e scrive nascosta da un armadio dell’archivio come la segregata di un lager. Si becca il soprannome di Anna Frank. Quattro anni nella tana, poi “Il Messaggero” la piglia in pianta stabile. In dieci anni si fa un nome. A Natale 2000, “Corsera” l’assume. Lo scoop lo fa al G8 di Genova. getta il cartellino stampa e si mescola agli antiglobal. La polizia la picchia e lei ci gode: “Ho visto da dentro, non per sentito dire. Non mi capiterà più, se non in guerra”, dice estatica tre mesi dopo. Il “Corsera” fa un titolone alla sua cronaca. “Il mestiere mi piace un sacco. [...] Farò sempre giudiziaria perché con la giustizia hanno a che fare tutti, sportivi, politici, mostri”. Divora libri sui serial killer per capire “come lavorano gli anatomopatologi sui corpi degli uccisi” [...]» (Giancarlo Perna, “Capital” dicembre 2001).