Varie, 8 marzo 2006
PADELLARO
PADELLARO Antonio Roma 29 giugno 1946. Giornalista. Direttore de Il Fatto (già direttore dell’Unità). In passato cronista parlamentare del ”Corriere della Sera”, poi a ”L’espresso”. Il padre era direttore della proprietà letteraria alla presidenza del Consiglio. «[...] ”Io ho scelto il giornalismo perché, come diceva quel tale, sempre meglio di lavorare è. Ero un perdigiorno. Mi piaceva poco studiare e tanto andare in giro, divertirmi, stare con le ragazze. Mio padre era molto severo, diceva che ero un pelandrone e voleva che impiegassi meglio il mio tempo. Così chiese a Sergio Lepri, allora direttore dell’Ansa, di prendermi in prova. Però una laurea in legge l’ho presa. [...] Nasco a Roma da una famiglia di alti funzionari dello Stato. Ho fatto le scuole dai gesuiti, al Massimo, come Rutelli, De Gennaro, Sansonetti [...] Mio padre è stato fascista convinto. Zio Nazareno, uno dei discepoli di Bottai. Altri due zii furono antifascisti [...] il mio sinistrismo è arrivato dopo, al ”Corriere della Sera’ [...] Leggevo molto e andavo spesso al cinema. I miei miti erano i grandi scrittori americani. Ma la bella stagione è durata poco. Sono stato immesso subito in questo meccanismo mostruoso che è il giornalismo. Poi scoprii che nutriva il mio narcisismo. Era bello quando riuscivi a dare la notizia prima degli altri. Girava questa battuta allora: sai qual è la differenza tra l’Agi e l’Ansa? L’Agi dà notizie false, l’Ansa non dà notizie”. Poi [...] al Corriere della Sera. ”Ricordo il grande salone della redazione. Se qualcuno alzava un po’ la voce c’era un capo servizio che sbatteva un righello sul tavolo e diceva: ”Signori, per cortesia!”. Altri tempi”. Il [...] primo grande scoop? ”Fanfani ai tempi del referendum sul divorzio. Fui io che lo beccai il giorno in cui teneva un comizio al cinema Moderno di Caltanissetta e diceva a una moltitudine di uomini con coppole e baffi: ”Se passerà il divorzio ci sarà la dissoluzione dei costumi e le vostre mogli scapperanno con le cameriere’. Fu un lapsus, voleva dire che gli uomini sarebbero scappati con le cameriere ma aveva una platea di uomini e quindi si confuse. Fantastico” [...] all’’Espresso”? ”Ero rimasto diciannove anni al Corriere dove ero diventato capo della redazione romana. Alla fine la situazione era pesantissima. Era il momento di maggior successo del craxismo e i craxiani dicevano che il capo dell’ufficio romano non poteva essere un comunista [...] Non ho mai votato Pci in vita mia. Anzi votai Craxi quando diventò segretario. Ma venivo visto come uno strano giornalista non rassicurante in un posto importante. Ero molto logorato. Quando Giovanni Valentini, direttore dell’Espresso, mi offrì il posto di vicedirettore, decisi di fare il salto nel vuoto. Lasciare dopo diciannove anni il ”Corriere’ è stato un trauma spaventoso. E a volte penso ancora che sia stata la più grande cazzata della mia vita [...]”» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Corriere della Sera - Magazine” 22/12/2005).