Corriere della Sera 07/03/2006, pag.37 Sergio Romano, 7 marzo 2006
Come e quando nacque la nazionalità palestinese. Corriere della Sera 7 marzo 2006. Perché non riesco a farmi un’opinione precisa sulle ragioni che hanno portato gli israeliani e i palestinesi a farsi la guerra? Gradirei approfondire l’argomento, caro Romano, mi aiuti a raccontarlo ai nostri figli
Come e quando nacque la nazionalità palestinese. Corriere della Sera 7 marzo 2006. Perché non riesco a farmi un’opinione precisa sulle ragioni che hanno portato gli israeliani e i palestinesi a farsi la guerra? Gradirei approfondire l’argomento, caro Romano, mi aiuti a raccontarlo ai nostri figli. Roberto Boi Caro Boi, proverò a darle qualche spunto, ma toccherà a lei approfondire l’argomento con alcune letture e trasmettere poi ai suoi figli un racconto degli eventi che li incoraggi ad approfondire l’argomento. In tutte le grandi questioni internazionali esistono almeno due verità. Ma le questioni più intricate sono quelle in cui accanto alle verità politiche esistono anche verità religiose, vale a dire convinzioni rocciose e impermeabili contro le quali il buon senso della politica corre sempre il rischio di naufragare. Lei potrà cominciare osservando che Palestina è un termine antico, noto ai greci e ai romani, ma poco usato dai turchi ottomani che dominarono la regione dall’anno (1517) in cui la sottrassero ai Mamelucchi d’Egitto. Il nome riappare sulla carta geografica per definire il mandato britannico, dopo il crollo dell’impero Ottomano. Era impossibile parlare allora di un popolo palestinese. I 590.890 arabi che vi abitavano secondo il censimento del 1922 (insieme a 83.794 ebrei e a 73.024 cristiani) non erano facilmente distinguibili né dai siriani né dai beduini al di là del Giordano. Fu questo uno dei motivi per cui gli Stati arabi della regione (soprattutto l’Egitto, la Siria e la Transgiordania) non accettarono la spartizione decisa dall’Onu: il 56,5 per cento a 608.000 ebrei e il 43,5 per cento a 1.300.000 arabi. Scoppiò così la prima guerra palestinese che si concluse con la vittoria degli israeliani e l’occupazione di territori che erano stati assegnati dalle Nazioni Unite alla popolazione araba. Se tutti i vecchi abitanti fossero rimasti nelle loro case, gli ebrei, paradossalmente, sarebbero divenuti, nel loro Stato, una minoranza. Ma i vincitori incoraggiarono e talora provocarono l’esodo arabo. Si calcola che i profughi furono circa 800.000 e che 200.000 si rifugiarono nella striscia di Gaza, 465.000 in Giordania, 107.000 in Libano, 80.000 in Siria, quasi tutti alloggiati in campi che divennero da quel momento la loro casa e la loro patria. I Paesi «fratelli» li ospitarono, ma non fecero quasi nulla per integrarli nella loro società. Due di essi, in particolare, Siria e Giordania, aspiravano al possesso della Palestina e avevano interesse a coltivare nei rifugiati la rabbia per la terra perduta e la speranza del ritorno. La situazione peggiorò naturalmente nel 1967, quando gli israeliani, durante la guerra dei Sei giorni, occuparono la striscia di Gaza, la città araba di Gerusalemme, la Cisgiordania e una parte di territorio siriano sino alle alture del Golan. Sono questi gli anni in cui nasce la nazionalità palestinese. I campi sono il laboratorio in cui si concepiscono progetti di riscossa, sorgono movimenti politici, si formano i quadri di una militanza radicale. I territori occupati sono il vivaio di una nuova identità nazionale. E’ accaduto in Palestina, insomma, ciò che è spesso accaduto nel corso della storia. Le nazionalità non sono realtà naturali, definite «ab aeterno». Sono il vincolo che unisce uomini e donne accomunati dalle stesse esperienze, da guerre e tragedie che essi percepiscono, a torto o a ragione, come una intollerabile ingiustizia. Agli inizi dello Stato israeliano la nazionalità palestinese non esisteva. Oggi, esiste. Il generale Sharon, anche se il suo programma era per molti aspetti incompleto, ebbe il merito di esserne consapevole. Sergio Romano