Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  marzo 09 Giovedì calendario

Un taxi chiamato desiderio. L’Espresso 9 marzo 2006. I più li ritengono una corporazione abbarbicata ai propri privilegi

Un taxi chiamato desiderio. L’Espresso 9 marzo 2006. I più li ritengono una corporazione abbarbicata ai propri privilegi. I meno, i diretti interessati, si descrivono invece come dei poveracci che campano a stento, facendo un mestiere altamente nocivo e pericoloso. Sui tassisti l’Italia si divide. Da una parte l’Antitrust, la generalità degli utenti e alcuni amministratori locali. Dall’altra i conducenti e qualcun altro: pochi ma con un potere d’interdizione altissimo. Che esercitano senza mezze misure non appena qualche autorità si sveglia e propone di aumentare le licenze: il sindaco di Milano Gabriele Albertini, ad esempio, ne sa qualcosa. Qualcuno si era illuso: fra poco arriva la Bolkestein (la direttiva sulla liberalizzazione dei servizi nell’Unione europea) e anche queste incrostazioni feudali verranno spazzate via. La Bolkestein è arrivata, annacquatissima, e i taxi sono stati fra i primi a esserne esentati (segno che hanno lavorato bene anche le lobby dei tassisti d’oltralpe). possibile per il futuro trovare una soluzione di compromesso che riconosca le ragioni degli uni e degli altri? possibile che il disservizio taxi da molti lamentato si trasformi in un servizio soddisfacente per la collettività? "L’espresso" ha fatto una ricognizione dei principali temi dell’infinita diatriba. Licenze col contagocce 17 dicembre 1992: da allora, più di 13 anni fa, a Roma non sono stati concessi nuovi permessi per condurre taxi. Nove anni dopo il Campidoglio raggiunse un accordo con i "tassinari" per distribuire nuove licenze. Intesa rimasta lettera morta. A luglio scorso, finalmente, un nuovo accordo: 450 taxi in più in cambio di corsie preferenziali, nuove colonnine per la chiamata, nuovi parcheggi e altro. Proprio in queste settimane una commissione sta esaminando le domande degli aspiranti conducenti di auto bianche. Ci metterà il suo tempo: sono circa 2.700 i candidati alle 300 licenze riservate ai familiari dei tassisti e a quanti hanno comunque già svolto quest’attività come sostituti; sono addirittura 5 mila quelli che affronteranno il concorso per i 150 permessi a disposizione di chi è solo un patentato iscritto alla Camera di commercio. Misteri italici: perché tanta ressa per accedere a un mestiere che, sostengono gli addetti, garantisce redditi molto vicini alla soglia della povertà? Per un pugno di euro Dice ad esempio Raffaele Serpico, portavoce di Unimpresa (tassisti napoletani): "Spesso si torna a casa alla sera con una quarantina di euro in tasca". Persino il presidente di Assoutenti Lombardia, Roberto Brunelli, "nemico" giurato della corporazione, riconosce: "I tassisti milanesi su un punto hanno ragione: guadagnano poco". Alcune stime parlano di cifre comprese tra i 1.200 e i 1.500 euro mensili, con punte di 2 mila nei mesi migliori. E tutti lamentano i costi crescenti: della benzina, delle vetture, delle riparazioni. Morte alle liberalizzazioni Sono proprio questi redditi esigui l’argomento più forte che i tassisti oppongono a chiunque si lasci sfuggire la parola più odiata: liberalizzazione. Dicono gli autisti: il numero dei clienti è dato, se dovessimo ripartire il guadagno su più licenze sarebbe la fine, già ora ce la facciamo a stento. Piuttosto, propongono, le amministrazioni si diano da fare per elevare la velocità media commerciale, ora tra i 12 e i 20 chilometri all’ora nelle città più grandi e nelle ore di punta. A Napoli, per far rispettare il divieto di accesso a una corsia preferenziale, i tassisti partenopei si sono travestiti da vigili. Risultato: solo due minuti per coprire in taxi la distanza tra piazza Vittoria e piazza Municipio, contro i 10-15 abituali. Rimane il fatto che se la domanda di corse è rigida, il reddito complessivo dei conducenti non dovrebbe crescere. Se invece aumenta in seguito a una maggiore reperibilità di vetture, allora più taxi e più velocità potrebbero generare nuovi redditi. Alieni da tali sofismi, gli autisti continuamente chiedono, e spesso ottengono, nuove barriere alla concorrenza. A Roma il Comune ha dovuto limitare l’attività delle auto a noleggio con conducenti provenienti da altri comuni nella "zona a traffico limitato" - in sostanza il centro storico, dove c’è la "polpa" del lavoro dei tassisti. A Milano c’è stata lotta dura contro la "conurbazione", neologismo per dire che i taxi di un comune dell’hinterland milanese potevano operare anche in altri comuni, e in particolare potevano caricare passeggeri di ritorno dagli aeroporti. Sempre a Milano, Albertini è partito in quarta negli anni scorsi, promettendo migliaia di nuove licenze. Poi si è accontentato di 270 e nei giorni scorsi, a un soffio dalla fine del suo quinquennio, ha dovuto ammettere: "Con i taxi, ho fallito". Il suo collega capitolino, Walter Veltroni, raggiunta l’intesa del luglio 2005, ha dichiarato: "L’accordo prevede la conferma del fatto che non siamo a favore della liberalizzazione". Ci mancherebbe altro. Al primo punto del testo sottoscritto si sottolinea infatti che "l’amministrazione comunale in merito alle ipotesi di riforma avanzate dall’Antitrust e dall’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici del Comune di Roma, ribadisce la propria contrarietà alle proposte di liberalizzazione". Insomma, il Comune ha dovuto smentire se stesso, "formalizzando tale contrarietà con apposito atto di giunta". Quando si tratta di nuove licenze non ci sono tassisti di destra e di sinistra. Sono tutti contro. Né conta il colore politico delle amministrazioni. di questi giorni la vibrata protesta dei 600 tassisti fiorentini, cuore a sinistra in una regione da sempre rossa: hanno scoperto che nel programma dell’Unione si parla di liberalizzare i taxi. E sono subito insorti contro Prodi & C. Viva le liberalizzazioni Licenze illimitate sulla base di alcuni requisiti essenziali (fedina penale pulita, niente incidenti gravi, patente conseguita da un minimo di anni). il sogno proibito di molti. A cominciare dall’Autorità Antitrust che, inascoltata, già due anni fa denunziava l’"insufficiente apertura alla concorrenza" del settore taxi "che si manifesta in una domanda da parte dei consumatori non pienamente soddisfatta" ed è causata da "una forte resistenza da parte degli operatori del settore, favorevoli al mantenimento delle restrizioni quantitative". Fan della liberalizzazione, ovviamente, i milioni di clienti esasperati per le tariffe che crescono a tutta birra e per la difficoltà di trovare vetture di piazza disponibili nel momento del bisogno. A Roma, ad esempio, ci sono 2,1 taxi per mille abitanti, e a Milano ancor meno, contro i 9,9 di Barcellona, gli 8,3 di Londra, i 2,4 di Parigi. Senza contare le diverse rigidità dei turni orari (intoccabili in Italia) e il diverso sviluppo delle metropolitane nelle varie città. Che i taxi siano spesso introvabili lo conferma una ricerca di qualche tempo fa dell’Agenzia del Comune di Roma. Circa il 20 per cento delle richieste di una vettura libera rimangono insoddisfatte, quota che aumenta nei mesi di novembre e dicembre e che può arrivare al 40 per cento nelle ore di punta. L’attesa media, inoltre, è molto elevata: è stato calcolato che a Roma solo il 19 per cento dei taxi chiamati per telefono arriva prima di dieci minuti. Sindrome del padroncino Chi dispone di una licenza può trasmetterla in eredità o venderla. I prezzi di mercato, a Roma e Milano, oscillano tra i 120 e i 160 mila euro (paradossalmente, quando c’è crisi dell’economia il prezzo aumenta assieme agli aspiranti conducenti). uno dei motivi per cui in Italia alla guida dei taxi non si vedono extracomunitari: non hanno i quattrini per comprarsela (conducente e titolare della licenza debbono essere la stessa persona, salvo temporanee sostituzioni). Una liberalizzazione significherebbe l’azzeramento di quel capitale. Naturale quindi che i tassisti siano disposti a battersi come leoni. D’altra parte bisogna riconoscere che a suo tempo molti di loro hanno sborsato cifre notevoli per acquistare l’ambito pezzo di carta. Per tener conto di ciò, l’Antitrust ha proposto forme di liberalizzazione "morbide". Ad esempio, mettendo all’asta le nuove licenze e distribuendo una tantum il ricavato ai vecchi titolari, oppure concedendo a ognuno di loro una licenza aggiuntiva da vendere entro un tempo determinato. Finora nessuno ha seguito i consigli dell’Authority. Le mele marce Ogni tanto le cronache giudiziarie riportano di piccoli e grandi imbrogli di cui sarebbero protagonisti i tassisti. Saranno pure casi isolati, ma non contribuiscono certo a elevare l’indice di popolarità della categoria. Qualche esempio? All’aeroporto di Fiumicino esiste notoriamente una mafia, composta da abusivi e non, che piazza le sue vetture in un’area-polmone e quando adocchia un "pollo" pretende che i taxi in fila regolare lascino il posto ai suoi accoliti. Il "pollo" è normalmente un asiatico (alla faccia dell’aviaria) che dovrà sborsare 200 euro per il tragitto fino in città. Se qualche conducente ligio accenna una resistenza, minacce, botte, pneumatici bucati non si fanno attendere. Al Comune di Roma dicono: "Ci vorrebbero carabinieri ed esercito per fare piazza pulita". I vigili urbani non bastano, tanto più che Fiumicino fa Comune a sé e non ha le forze che il Campidoglio potrebbe invece schierare e talvolta schiera: ad esempio contro gli abusivi della stazione Termini. Ma anni fa, quando i carabinieri denunciarono 28 "vampiri del tassametro" operanti a Fiumicino, questi rimasero tranquillamente in servizio. Qualche mese orsono, a Milano, furono beccati nove tassisti con i tachimetri manomessi, assieme a un elettrauto che aveva messo a punto la tecnica di taroccamento. Quelli che hanno patteggiato se la sono cavata con meno di 5 mila euro di sanzione. Al novero delle piccole truffe appartiene l’usanza, a quanto pare piuttosto diffusa, di mantenere nei tragitti da Roma agli scali aeroportuali la tariffa 2, quella più costosa, anche quando la vettura cammina dentro il Grande raccordo anulare dove si dovrebbe applicare la più economica tariffa 1. Consuetudine diffusa, e non solo italiana, è poi quella di scegliere come percorso la via più lunga, quella che i francesi chiamano "la route de Shanghai" e i romani "il giro di Peppe": un peccato veniale. Un anno fa l’Agenzia milanese delle entrate ha spedito un avviso di accertamento fiscale a più di mille ex concessionari che hanno ceduto la loro licenza dal ’99 in poi. Nessuno aveva dichiarato al fisco il ricavato della vendita. L’Erario reclamava un’imposta del 40 per cento. Prevedibile ribellione degli interessati che ottengono dapprima che la base imponibile sia ridotta alla differenza tra prezzo di vendita e prezzo d’acquisto della licenza (quest’ultimo spesso difficile da determinare), poi che tale differenza non sia più cumulabile con il reddito ma venga tassata al 23 per cento. Ma in molti continuano a opporsi anche a questa soluzione. Paolo Forcellini ha collaborato Mario Fabbroni