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 2006  marzo 01 Mercoledì calendario

Questione di Stile (Amicizia e Veti). Corriere della Sera 1 marzo 2006. Roma-Washington. Vi sono stati altri momenti, nel corso degli ultimi sessant’ anni, in cui gli Stati Uniti hanno scelto un «cavallo» italiano e lo hanno aiutato a correre

Questione di Stile (Amicizia e Veti). Corriere della Sera 1 marzo 2006. Roma-Washington. Vi sono stati altri momenti, nel corso degli ultimi sessant’ anni, in cui gli Stati Uniti hanno scelto un «cavallo» italiano e lo hanno aiutato a correre. Ma Bush è stato più sfacciato dei predecessori. Proverò a individuare le possibili ragioni di questo nuovo stile degli Stati Uniti, nonostante il consueto, successivo passo indietro della Casa Bianca. Credo, però, che occorra anzitutto rifare brevemente la storia dei modi con cui, dopo la Seconda guerra mondiale, l’ America ha tentato d’ influire sulla politica italiana. Nel 1947, dopo la firma del trattato di pace, gli Stati Uniti puntarono su Alcide De Gasperi. Henry Truman lo invitò a Washington e riabilitò l’ Italia di fronte al mondo, permettendo al suo premier di parlare al Congresso. Ma approvò, qualche mese dopo, gli scenari disegnati dal Consiglio nazionale per la sicurezza e le «azioni coperte» con cui la Cia sarebbe intervenuta in Italia se le elezioni del 18 aprile avessero dato la vittoria al fronte social-comunista. L’ America, non vi è dubbio, avrebbe pesantemente interferito nella situazione politica italiana e rovesciato, per quanto possibile, il verdetto delle urne. Ma i sovietici, due mesi prima, avevano lanciato il partito cecoslovacco alla conquista del potere e teleguidato da Mosca il «colpo di Praga». Che cosa sarebbe accaduto in Europa se l’ Italia fosse passata dall’ altra parte? Il 1948 fu uno degli anni più caldi della guerra fredda, quello in cui fummo tre volte (a Praga, a Roma e a Berlino) sull’ orlo del precipizio. Gli americani si comportarono come se dalle elezioni italiane dipendessero le sorti del mondo libero. Negli anni seguenti i rapporti divennero più normali e distesi. Eletto alla presidenza nel 1952, il generale Dwight D. Eisenhower mandò a Roma, come ambasciatore, una signora convertita al cattolicesimo, Clare Booth Luce, che cercò di comportarsi, in molte occasioni, come una specie di proconsole e trovò qualche volenteroso collaboratore nei ranghi della politica e dell’ amministrazione italiane. Voleva che il governo italiano agisse con maggiore energia verso i comunisti e che il presidente della Fiat, Vittorio Valletta, ad esempio, si sbarazzasse di certi sindacalisti. Ma bisogna riconoscere che la Democrazia cristiana, pur accettando i finanziamenti americani, riuscì a spegnere gli ardori della signora Luce e a limitare le sue interferenze. Di lì a qualche anno la situazione cambiò. Quando terminò la presidenza di Luigi Einaudi, nel 1955, gli americani scoprirono rapidamente che il nuovo capo dello Stato italiano, Giovanni Gronchi, non amava la Nato e lavorava dal Quirinale a disegnare le grandi linee di una politica estera «terzaforzista». Alla vigilia di un suo viaggio negli Stati Uniti, un grande giornale americano scrisse maliziosamente che il presidente italiano veniva da Pisa, una città in cui la torre «pende a sinistra». In quegli anni l’ America, nei suoi rapporti con l’ Italia, giocò in difesa appoggiandosi agli uomini più «atlantici» della Democrazia cristiana e dei suoi alleati: Scelba, Pella, Segni, Martino, Saragat. Ancora qualche anno e i rapporti fra i due Paesi prendono una nuova piega. Sono gli italiani, ora, che chiedono alla Casa Bianca di «interferire» nella loro politica. Non appena decidono che è giunto finalmente il momento di «aprire a sinistra», i giovani turchi della Dc, guidati da Amintore Fanfani, vogliono essere certi che l’ operazione non provocherà il veto degli Stati Uniti e cominciano a sondare le intenzioni di Washington. Il presidente è John F. Kennedy, e il Paese che maggiormente lo preoccupa non è l’ Italia, ma la Francia, dove il generale de Gaulle, tornato al potere nel 1958, sembra deciso a rimettere in discussione le naturali gerarchie dell’ Alleanza Atlantica. Consigliato da Arthur Schlesinger, Kennedy decise che una moderata svolta a sinistra, soprattutto se fatta con la benedizione di Washington, sarebbe stata accettabile. Le interferenze dei suoi successori, Lyndon Johnson e Richard Nixon, furono tutto sommato marginali. L’ America era afflitta dalla guerra del Vietnam e l’ Italia da una crisi sociale che sfociò di lì a poco nella lunga stagione del terrorismo. L’ una e l’ altra avevano troppe gatte da pelare a casa propria per preoccuparsi eccessivamente dei loro reciproci rapporti. Le visite di Johnson a Castel Porziano e di Nixon a Roma, durante la presidenza Saragat, furono brevi e irrilevanti. Quando descrisse i suoi soporiferi incontri con Aldo Moro, Henry Kissinger lasciò intravedere le sue frustrazioni. L’ Italia era diventata inafferrabile e incorreggibile. Agli Stati Uniti non restava che portare pazienza e accettare l’ alleato con tutti i suoi difetti. Non portò pazienza, invece. il presidente Jimmy Carter, eletto alla Casa Bianca nel 1976. Quando i comunisti, nel gennaio 1978, posero il problema del loro ingresso nel governo di solidarietà nazionale presieduto da Giulio Andreotti, il Dipartimento di Stato e Richard Gardner, ambasciatore degli Stati Uniti a Roma, rilasciarono una brusca dichiarazione in cui era facile leggere il veto del governo americano. L’ Italia si prese una rivincita nel 1985. Sull’ aeroporto di Sigonella, nell’ ottobre di quell’ anno, gli americani cercarono di catturare il commando palestinese che si era impadronito della nave «Achille Lauro» in acque internazionali al largo di Alessandria. Bettino Craxi si oppose e dette ordine ai carabinieri di circondare il commando americano. Roma e Washington negoziarono per un’ intera notte e si scambiarono in alcuni momenti parole dure, ma Craxi, infine, vinse la partita. Qualche giorno dopo, a New York, Ronald Reagan si riconciliò con lui, e i suoi collaboratori spiegarono che l’ America, in quel momento, aveva più fiducia in Craxi di quanta ne avesse negli uomini politici democristiani. Terminata la guerra fredda, sembrò che il periodo delle interferenze americane nella politica italiana fosse ormai definitivamente concluso. Massimo D’ Alema fece la guerra del Kosovo anche per dimostrare che un ex comunista poteva essere amico dell’ America quanto un democristiano o un socialista. Ma era finita ormai l’ epoca in cui un veto di Washington poteva condizionare la formazione di un governo italiano. Oggi, tuttavia, il presidente degli Stati Uniti indica con chiarezza il nome del presidente del Consiglio con cui vorrebbe continuare a parlare nel corso dei prossimi anni. E’ preoccupato dalla vittoria di Romano Prodi e dalla possibilità che il nuovo governo italiano decida, nello stile dello spagnolo José Luis Rodriguez Zapatero, l’ immediato ritiro dell’ Iraq? Vuole sdebitarsi con un amico che è stato al suo fianco in un momento in cui altri Paesi europei manifestavano il loro dissenso? Pensa che la presidenza imperiale degli Stati Uniti possa trattare l’ Italia alla stregua di uno Stato vassallo? O pensa, più semplicemente, che un effimero gesto di amicizia, in un mondo in cui la televisione di oggi cancella quella di ieri, non si nega a nessuno? Sergio Romano LE VISITE UFFICIALI Il presidente Usa Henry Truman invitò a Washington Alcide De Gasperi e riabilitò l’ Italia di fronte al mondo Lyndon Johnson con Saragat, la moglie e i figli nel ’ 67 a Roma. Dietro, c’ è Aldo Moro Il presidente Usa Ronald Reagan con il premier Bettino Craxi a Tokyo il 3 maggio 1986, in un incontro bilaterale prima del G7 Il presidente Ciampi in visita da Clinton alla Casa Bianca il 17 settembre 1993 Sergio Romano