Corriere della Sera 06/03/2006, pag.23 Sergio Romano, 6 marzo 2006
Che cosa fare perché un ministro si dimetta. Corriere della Sera 6 marzo 2006. Presidente della Repubblica, governo, maggioranza, opposizione: tutti hanno espresso riprovazione e sfiducia per un ministro in carica sollecitandone le dimissioni
Che cosa fare perché un ministro si dimetta. Corriere della Sera 6 marzo 2006. Presidente della Repubblica, governo, maggioranza, opposizione: tutti hanno espresso riprovazione e sfiducia per un ministro in carica sollecitandone le dimissioni. Non si capisce perché si debba sottostare all’ iniziativa del «reprobo». Se la Costituzione stabilisce «ancora» che i ministri sono nominati dal presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio, chi ha detto che non possano essere revocati con lo stesso «iter»? Che cosa dicono i costituzionalisti? Lucio Fontana Milano Caro Fontana, nel sistema costituzionale italiano il presidente del Consiglio non ha il potere di revoca e non può sbarazzarsi di un ministro. Esiste del resto un precedente che merita di essere ricordato, anche per altre ragioni: il caso di Filippo Mancuso, guardasigilli del governo Dini, colpito da una mozione di sfiducia del Senato e della Camera dopo un lungo braccio di ferro con Palazzo Chigi e con il Quirinale. Mancuso era un anziano magistrato di Cassazione, molto forbito, noto per i suoi periodi ampollosi e, tra l’ altro, per essere stato presidente di una commissione d’ indagine sull’ uso dei fondi riservati forniti dal Sisde al ministro degli Interni negli anni in cui anche Oscar Luigi Scalfaro aveva ricoperto quell’ incarico. Dopo le dimissioni di Berlusconi nel dicembre 1994, Scalfaro, eletto due anni prima alla presidenza della Repubblica, incaricò Lamberto Dini di formare un governo prevalentemente tecnico e indicò Mancuso, probabilmente, come persona adatta a ricoprire l’ incarico di ministro della Giustizia. Ma non appena mise piede nel vecchio palazzo di via Arenula, l’ anziano magistrato dette l’ impressione di voler prendere di mira i procuratori milanesi di Mani pulite. La sua iniziativa più clamorosa fu quella del maggio 1995 quando li deferì al Consiglio superiore della Magistratura con l’ accusa di avere «intimidito» gli ispettori ministeriali che il governo Berlusconi aveva inviato a Milano l’ anno precedente. L’ accusa venne archiviata, ma il Guardasigilli continuò a manovrare la clava delle misure disciplinari e a «esternare» nel suo stile involuto, barocco, pieno di metafore, allusioni e sottintesi, non sempre facilmente decifrabili. I suoi bersagli erano i magistrati dell’ ultima generazione, che definiva «idolatri del potere», e la Lega di Umberto Bossi, che considerava una minaccia all’ unità nazionale. Non aveva sempre necessariamente torto, ma le sue verità erano dette male e per di più in un momento in cui i partiti che si erano coalizzati per abbattere il governo Berlusconi (centrosinistra e Lega) non avevano alcun interesse ad ascoltarle. La crisi scoppiò dopo l’ estate quando la maggioranza decise che Mancuso era divenuto troppo ingombrante e che occorreva sostituirlo. Per raggiungere lo scopo, tuttavia, non fu possibile affidare il compito all’ impotente presidente del Consiglio e fu necessario presentare al Senato una mozione di sfiducia ad personam. Mancuso si difese con un discorso che ebbe l’ effetto di aggravare la sua situazione. Fece distribuire un testo a stampa, ma evitò di leggere quattro pagine e disse che la versione ufficiale era quella orale. Tutti però conoscevano ormai la versione scritta e sapevano che Mancuso aveva mosso due pesanti accuse contro il presidente della Repubblica. Sosteneva, anzitutto, che egli avesse fatto pressioni affinché il Guardasigilli concedesse l’ autorizzazione a procedere contro Berlusconi e Fini per oltraggio al Capo dello Stato. E lasciava intendere, in secondo luogo, che Scalfaro, nel corso di un incontro privato, gli aveva chiesto di rendere ancora più «assolutorie» le conclusioni della Commissione d’ inchiesta sui fondi del Sisde. Dopo il voto della mozione di sfiducia, il presidente della Repubblica conferì l’ incarico di Guardasigilli allo stesso presidente del Consiglio e il passaggio delle funzioni ebbe luogo tra Dini e Mancuso, il giorno dopo, in un’ atmosfera glaciale. Questo, caro Fontana, è ciò che può succedere nel sistema politico italiano quando il presidente del Consiglio e la maggioranza che lo sostiene non vanno più d’ accordo con un ministro; e che sarebbe accaduto, forse, se Bossi non avesse consigliato a Calderoli di dimettersi. vero che la riforma costituzionale recentemente approvata dal Parlamento conferisce al presidente del Consiglio il diritto di revocare un ministro. Ma la legge dovrà essere sottoposta a un referendum popolare in giugno e la sua sorte è incerta. Sergio Romano