Corriere della Sera 07/03/2006, pag.9 Paolo Conti, 7 marzo 2006
«Un errore sottovalutare il leader libico: solo Andreotti l’ha capito». Corriere della Sera 7 marzo 2006
«Un errore sottovalutare il leader libico: solo Andreotti l’ha capito». Corriere della Sera 7 marzo 2006. Roma. Valentino Parlato ha la Libia nel Dna. nato a Tripoli nel 1931, suo padre emigrò in cerca di lavoro nel 1926 e poi diventò procuratore del registro all’ufficio delle imposte. Se ne andò nel 1951 contro la sua volontà: «Mi arrestarono una mattina come "comunista" e mi spedirono in Italia con la prima nave. Con me c’erano tre operai, il notaio più ricco di Tripoli e un ufficiale postale. Erano i tempi in cui l’amministrazione britannica stava "ripulendo" la Libia per restituirla a re Idris in vista dell’indipendenza». Prima domanda. Lei ha firmato una prefazione per la Manifestolibri a una raccolta di scritti di Gheddafi («Fuga dall’inferno e altre storie»). Lo ha mai conosciuto, Parlato? «Sì. L’ho intervistato nel novembre 1998. E ho proprio l’impressione che noi occidentali lo sottovalutiamo, sappiamo poco di lui. Parlò molto di ecologia, di buco dell’ozono, della donna "oppressa in Oriente e anche in Occidente". Disse: "L’ambiente e la donna sono le grandi questioni dell’avvenire, se vogliamo averne uno". Gli chiesi a un certo punto: "qual è il vostro debito con l’Occidente?". Lui cominciò a parlare di tecnologie, di industrie. Io lo fermai e gli dissi: "Non è questo che voglio sapere". Lui capì e disse una sola parola: "Aristotele". In Italia lo chiamano beduino. Lo è, vive sotto le sue amate tende. Ma è un beduino assai colto». Ma secondo lei Gheddafi è attendibile o inattendibile? « un uomo molto intelligente. Ha studiato Rousseau, per esempio: il famoso Libro Verde, a rileggerlo con attenzione, ha quella radice culturale. Ama molto Dickens. un grande uomo di teatro. Che gran colpo di scena, quando ha accolto Berlusconi a Tripoli con quella camicia piena di fotografie dei capi di stato africani. Il volto più visibile era quello di Nelson Mandela: un messaggio molto chiaro». «LIBICO» Valentino Parlato, fondatore del Manifesto, è nato a Tripoli nel 1931 Arriviamo alle sue richieste. Gheddafi ha ragione o torto? «Dal suo punto di vista ha totalmente ragione. L’Italia coloniale si è macchiata di massacri barbari non solo sotto il fascismo ma anche con quel democratico di Giolitti. A differenza del colonialismo francese, il vero obiettivo dell’Italia era far scomparire i libici e sostituirli con gli emigrati italiani, assegnando a loro tutte le terre». Morale: il «grande gesto» dell’autostrada va fatto? «Penso di sì. Bisognerebbe rispondere subito così: "intanto cominciamo". Rasserenerebbe gli animi e porterebbe una congrua presenza di industrie italiane in Libia. E la spesa rientrerebbe in qualche modo nell’economia italiana. Gheddafi vuole la ricostruzione in grande della vecchia via Balbia. L’Italia si è comportata comunque da fessa. Nel 1969 se la poteva cavare con il famoso ospedale da mille posti. Gli unici ad aver capito la situazione sono stati Andreotti, D’Alema e Dini, ma soprattutto Andreotti... Nulla è stato fatto. Ed eccoci qui, con una richiesta da miliardi di euro». Perché l’Italia dovrebbe «inchinarsi a Gheddafi»? «Almeno per quattro motivi, tutti validissimi. Primo: per non mettere in pericolo il gasdotto italo-libico. Secondo: ora l’Eni opera in Libia che è in continuo riavvicinamento con gli Usa, se non stiamo attenti il suo posto potrà essere preso dalla Esso. Terzo: parliamo di una terra strapiena di immigrati dal cuore dell’Africa, se Gheddafi decidesse una ritorsione potrebbe permettere l’approdo incontrollato sulle nostre coste di chissà quante migliaia di disperati. Quarto: Gheddafi è stato il primo dal mondo arabo a denunciare Bin Laden, lo spiega un autorevole studioso come Angelo Del Boca». Se il centrosinistra vincesse le elezioni cosa dovrebbe fare? «Prodi ha un’occasione d’oro per un gran debutto sulla scena internazionale. Chiudere i conti con la Libia, aprire una pagina sul Nordafrica e il Mediterraneo tutta da scrivere». Paolo Conti