Varie, 7 marzo 2006
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Cottur Giordano
• Trieste 24 maggio 1914, Trieste 8 marzo 2006. Ex ciclista. Pro’ dal ’38 al ’49, al Giro d’Italia è arrivato 3 volte terzo (’40, ’48 e ’49), ha vinto5 tappe (più quella storica ma simbolica di Trieste il 30 giugno 1946, quando i corridori furono presi a sassate dai ”titini” a Pieris) e indossato per 14volte la maglia rosa • «[...] ”Mio padre, Giovanni, era corridore: corridore podista, lo stesso anno fu campione italiano e austroungarico di maratona, e corridore ciclista, campione giuliano fra i dilettanti. Pedalava anche nei cinema: tre corridori, sui rulli, dietro ogni corridore una specie di gigantesco orologio che segnava la distanza effettuata”. Giovanni allestì un’officina, saldava tubi, componeva cambi, aggiungeva freni, creava telai, regalava sogni. Così la prima bici di Giordano fu una piccola Cottur. ”Quando uscivo di casa, l’unica strada era in salita. E la salita è diventata il mio forte. Quando mi dissero che prima un certo Bartali, e poi un certo Coppi andavano più forte di me in salita, non ci potevo credere. Poi capii che con quei due ’pellegrini’ ci voleva pazienza”. Pro’ dal 1938, ”mi stupii quando grandi corridori, forse un po’ vecchi e stanchi, comeNegrini, Pesenti e Cimatti, in salita mi si attaccavano ai pantaloncin”. Ma il ”muleto” scalpitava: il primocalcio lo tirò al Giro d’Italia del 1938, primo nella tappadi Lanciano. Per vincere doveva arrivare da solo, la volata non era il suo forte. ”Mondiali di Varese nel1939. Ultimo allenamento. Il c.t. era Binda: ’Quando mancano 60 km, liberi tutti, vediamo chi arriva primo in albergo’. Li staccai tutti, e ricevetti i complimenti di Binda e Bartali, secondo in albergo. Il giorno prima della corsa arrivò un telegramma: Mondiale sospeso per la guerra”. La guerra gli rubò gli anni migliori. ”Ma neanche lì mollai la bici: per uncerto periodo feci il portaordini. Solo che, vestito da militare e su un cancello a pedali, diventavo un bersaglio troppo facile. Dissi: ’O con la bici mia e la maglia mia, o niente’. Accettarono”. E quando scoppiò la pace, la vita, il ciclismo, Cottur non si fece trovare impreparato: ”Giro 1946, prima tappa, Milano-Torino. Vittoria e maglia rosa”. Cottur è sempre stato controil doping [...] ”Giro1949, prima tappa, Palermo-Catania. Il medico-ce n’erano due: uno per Coppi, l’altro per il resto del gruppo-mi disse: ’Prendi questa pasticca a 60 km dall’arrivo, ti aiuterà’. Andai in fuga da solo: ripreso. Poi ci andai con Fazio, siciliano, e Carrea,gregario di Coppi. Fuga buona. A 60 km dall’arrivo mandai giù la pasticca. Sul primo cavalcavia non sentii più legambe. Inchiodato, e staccato. Bevvi un po’ d’acqua, mangiai un panino, piano piano sentii di nuovo le gambe, evitai cheil gruppo mi riprendesse, giunsi terzo. Da allora, mai più niente di niente”. Cottur ama il ciclismo perché ”mostra le qualità, fisiche e spirituali”; sostiene che ”campioni si nasce, gregari si diventa, ma per diventare gregari bisogna essere dei campioncini”; ricorda che ”alla Milano-Sanremo, quando sbucavi dal Turchino, ti sentivi la primavera addosso, e al Lombardia, in cima al Ghisallo,vedevi già l’inverno”; giura che ”la bici andrà sempre, guai se non siamo ottimisti noi che le vendiamo”. Dei corridori di oggi ”mi piace Bettini perché dà sempre battaglia, da Cunego mi aspettavo di più, Simoni c’è e non c’è, Basso è un po’ come me che andavo forte in salita e a cronometro, con la differenzac he lui ha una squadra organizzata e io, se foravo, ero perduto [...]”» (Marco Pastonesi, ”La Gazzetta dello Sport” 7/3/2006).