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 2006  marzo 07 Martedì calendario

Babic Milan

• Nato a Kukar (Croazia) il 26 febbraio 1956, morto a Scheveningen (Olanda) il 5 marzo 2006 (suicida in carcere). Politico. «L’artigiano della pulizia etnica [...] ex dentista che Slobodan Milosevic aveva voluto a capo dei serbi di Croazia, doveva scontare tredici anni per crimini di guerra e delitti contro l’umanità. Non è riuscito a scontarli fino in fondo [...] ha preferito impiccarsi in cella piuttosto che continuare ad affrontare, notte dopo notte, i fantasmi del suo passato. [...] da sindaco di Knin era diventato presidente della sedicente repubblica serba di Krajina e dunque simbolo della Grande Serbia, aveva finito per mordere la mano che l’aveva nutrito. Le parole di Babic sono nei verbali del processo contro Milosevic: proprio a lui toccava dimostrare con i suoi racconti il collegamento diretto fra Belgrado e le enclave entro i confini croati. Ma la rottura fra i due protagonisti della mattanza nell’ex Jugoslavia era avvenuta ben prima. L’uomo forte di Belgrado aveva allevato un leviatano che poi era sfuggito al suo controllo, come scrisse Misha Glenny, corrispondente della Bbc e decano dei Balcani. Dopo essersi consegnato nel novembre 2003, Babic aveva puntato il dito anche contro Milan Martic, collega-rivale della Krajina, accusandolo di aver voluto il bombardamento di Zagabria nel maggio 1995. Il suo ”pentimento” gli aveva procurato minacce sia da parte croata, da chi non aveva dimenticato le decine di migliaia di persone espulse nella campagna di pulizia etnica, che da parte serba, da chi aveva preso molto male l’ammissione di responsabilità e, peggio, la decisione di testimoniare contro gli altri macellai. Babic si era proclamato colpevole, ammettendo di aver ”ceduto alle passioni della politica e della superiorità etnica”. In cambio l’accusa si era impegnata a chiedere 11 anni di carcere: ma alla fine i magistrati avevano usato una mano più pesante, aggiungendo due anni nel conto finale. [...]» (Giampaolo Cadalanu, ”la Repubblica” 7/3/2006). «[...] Con l’inizio della dissoluzione jugoslava quella strana entità piazzata in territorio croato fra Slavonia e coste dalmate riuscì a inseguire per quattro anni il folle sogno di resuscitare il mito fondando tutto su una primitiva comunità di eguali e la forza bruta delle armi pesanti. Solo combattenti e contadini, nient’altro: in quegli anni la ”Sao Krajna” rappresentava nello stesso tempo qualcosa di assurdo e di terribilmente efficace, una società castrense fondata sui diseredati e se all’epoca qualcuno avesse voluto considerarla come nazione sarebbe stata la più povera nazione del mondo. Nello stesso tempo però quell’improbabile entità riconosciuta solo da Belgrado intratteneva rapporti diplomatici, vagheggiava un’economia fondata su una serie di casinò lungo le coste dalmate e proponeva all’Italia di riprendersi l’Istria. Quella banda di pazzi ogni tanto concedeva ”visti d’entrata” [...] Milan Babic all’epoca era presidente della repubblichetta e aveva eletto come capitale Knjn, la città nel cui ospedale aveva lavorato come dentista. Era stato prima membro della Lega dei comunisti in Croazia poi, giovane ed entusiasta, aveva aderito alla svolta socialista di Milosevic divenendo esponente di spicco dell’Sds, partito socialista serbo. Mentre Zagabria si preparava a secedere dalla Federazione Jugoslava lui come sindaco di Knjn aveva preparato la secessione da Zagabria attraverso un’’Alleanza dei serbi di Croazia”, e quando nel ’91 era scoppiata la guerra gran parte dei cannoni e dei carri dell’Armata federale stanziata nelle Krajne erano rimasti a lui.’Krajna” significa zona di frontiera (i friulani l’hanno tradotto come ”Carnia”) e per i serbi questa è la terra del sacrificio. Tra quei monti si concluse nel diciassettesimo secolo la grande migrazione degli ortodossi guidati dal vescovo Arsenje, che dal Kosovo sfuggivano al turco per porsi come baluardo della cristianità. L’Austria Ungheria aveva fatto di quei serbi dei contadini-soldati posti a difesa dell’Impero e pronti a immolarsi in una sanguinosa epopea durata secoli. Milan Babic era riuscito a collocarsi all’esatta intersezione fra storia, politica e tattiche militari: sfruttando il terrore dei suoi per il rinascente movimento ”ustascia” (quello dei nazisti croati di Pavelic) con molta retorica, qualche cannonata e un po’ di stragi era riuscito a impadronisti di mezza Croazia, della Slavonia orientale e delle alture che si affacciano su Zara. La popolazione consisteva in tre o quattrocentomila contadini asserragliati in paesini di montagna, praticamente privi di mezzi di trasporto, riforniti di armi ma non di danaro nè di cibo. Primo presidente era stato Jovan Raskovic, psichiatra di Sebenico e autore di Luda Zemlja, Il Paese folle, ”pamphlet” che definiva i croati affetti dal complesso di Edipo e i musulmani in preda a sindrome sadico-anale a fronte della mentalità serba, vincente perchè ribelle e coraggiosa. Quando Raskovic era morto per tumore Babic aveva assunto la presidenza riuscendo a far passare il predecessore come un moderato. In politica estera, colpi di cannone e missili su Zagabria, all’interno una gigantesca caserma organizzata sul principio della ”Zàdruga”, la famiglia allargata o comunità tribale che è nucleo della storia serba. In Croazia o Serbia il dinaro era carta straccia, nelle Krajne con una banconota da dieci si poteva fare ancora un pasto decente, benchè contadino. Se si circolava in auto bisognava offrire un passaggio a chiunque lo chiedesse, ed erano decine. La parabola di Babic durò quanto l’alleanza con Slobodan Milosevic: quando ritenendolo troppo squilibrato il padrone di Belgrado dirottò i suoi favori verso Martic la carriera del dentista finì rapidamente com’era cominciata. Babic si era già spostato a Belgrado quando nell’estate del ’95 l’esercito croato riarmato da Usa e Germania con l’operazione ”Oluja” spazzò via in poche ore la repubblichetta e i suoi contadini. Oggi per via di quell’azione il generale croato Ante Gotovina si trova anch’egli nel carcere di Scheveningen. Qualcuno adesso sostiene che Babic sia stato terrorizzato dai serbi preoccupati per le sue future testimonianze, oppure ansiosi di vendicarsi per quelle passate: in aula non solo aveva ammesso le proprie colpe in ”crimini contro l’umanità”, confessando di provare ”vergogna e rimorso”, ma aveva anche esplicitamente coinvolto nelle sue deposizioni Milosevic. In realtà era soltanto un dentista che per i misteriosi giochi della storia per cinque anni era riuscito a vivere molto al di sopra delle proprie qualità. Convinto com’era che la storia potesse ingranare la marcia indietro aveva distribuito titoli a strani uomini d’affari e vecchi fascisti triestini. Uno di costoro, davvero impresentabile, una volta andò dal nostro ambasciatore a Zagabria esibendo un biglietto da visita con tanto di stemmi e aquile. C’era scritto: ”Tizio e Caio, delegato dalla Repubblica delle Krajne per la restituzione dei territori all’Italia”» (Giuseppe Zaccaria, ”La Stampa” 7/3/2006). «Mezz’ora di tempo, per inscenare la morte. La guardia a Scheveningen passa ogni trenta minuti. Alle 18.30, domenica sera, quando il carceriere dell’Onu ha guardato nella cella, Milan Babicera già morto. Il secondo suicidaall’Aja. Il primo pentito delle guerre balcaniche ad ammazzarsi in prigione.Babic, per i serbi della Krajina, è stato ciò che Karadzic è stato per i serbi della Bosnia. Il presidente della secessionista, autoproclamata Repubblica serba, il pretoriano investito da Milosevic a promuovere il sogno della Grande Serbia. Solo, non pazzo, meno violento e, alla fine, costretto al rimorso e a coltivare funghi nell’azienda di un cugino di Belgrado. Di quell’avventura paranoicamente nazionalista, costata 25mila morti, ha rinnegato quasi tutto. L’egoismo etnico, i massacri, le persecuzioni di ”tutti quelli che non erano serbi”. [...] Dentista, nel 1990 diventa il sindaco di Knin. Eletto anche con i voti dei croati moderati, che nella scelta di un sindaco serbo volevano mandare un segnale di dispetto al montante nazionalismo croato di Tudjman. Tempo un anno, e Babic proclama la secessionista Repubblica serba della Krajina. Knin capitale. Milosevic a sostenerlo - come ricostruirà lo stesso Babic all’Aja del 2002 -con soldi e agenti che ”rimuovono” intere comunità croate. Babic crede, come a un piano, alla retorica di Milosevic: ”Gdje Srbin, tamoSrbija” (dove c’è un serbo, lì è Serbia). Invece, Slobo non pensa tanto a unire la Croazia serba a Belgrado: la Krajina gli serve da staterello cuscinetto per bloccare le truppe di Tudjman in Bosnia. Babic e Milosevic litigano, Slobo lo rimuove, Babic ritorna nel ’94. In tempo, per assistere all’offensiva croata (con l’aiuto Usa) su Knin.Milosevic, cinico, non muove un uomo. Babic fugge, alla testa di 250 mila profughi, dalla contropulizia croata, colonne di chilometri verso Belgrado. Esule. Nel 2003 incriminato all’Aja per crimini contro l’umanità, poi condannato a 13 anni, che scontava in una località segreta. Aveva patteggiato, accettando di rivelare ciò che sapeva contro i gerarchi serbi: era a Scheveningen per questo, per testimoniare contro l’ex sodale Milan Martic. Eppure, nel 2002, aveva deciso di andare all’Aja da solo. Contro Milosevic. Parlò prima dietro uno schermo, teste C-061, poi sfidò Slobo a viso aperto. ”Lei ha spinto il popolo serbo in guerra. Lei ha portato la vergogna sui serbi”. Nel 2004 si dichiarò colpevole. ”Sto davanti a questo tribunale conun profondo senso di vergogna. Ho permesso a me stesso di partecipare alla più aberrante persecuzione contro civili, solo perché erano croati”» (Mara Gergolet, ”Corriere della Sera” 7/3/2006).