Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2006  marzo 06 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 26 AGOSTO 2002

Al calcio servono più manager e meno giocatori.
L’incubo delle notti italiane di mezza estate «è il ritorno all’età della pietra. Quando né la tv né la radio propagavano le emozioni del rito calcistico che rende palpitanti i fine settimana. Una domenica senza i brividi di Tutto il calcio minuto per minuto, le vertigini di Novantesimo, e le sanguigne moviole della Domenica sportiva è come regredire a un’era premoderna. Priva di scosse di adrenalina, inaridita dal vuoto di informazione, scandita dall’assenza di spettacolo» (Gianni Perrelli). [1]
L’inizio del campionato di calcio (A e B) è stato spostato dal primo al 15 settembre. La Lega calcio ha chiesto al governo lo stato di crisi, ovvero esenzioni e sgravi fiscali. «Né terremoti né alluvioni né altre calamità hanno sconvolto i campi di calcio. Non c’è stato neppure un vistoso calo nella commercializzazione del prodotto, come è capitato alle auto e alla Fiat. Eppure il calcio chiede lo stato di crisi: il governo, ohibò, se ne faccia carico. Non si sa se ridere o piangere» (Giorgio Tosatti). [2]
Il rinvio del campionato non c’entra con la trattativa Lega-Rai. Nasce piuttosto dal fatto che otto squadre di serie A (Atalanta, Brescia, Como, Chievo, Empoli, Modena, Perugia, Piacenza) non si sono messe d’accordo con le pay tv Tele+ e Stream: avevano chiesto 10 milioni di euro, hanno ricevuto un’offerta di 4. Ora vogliono farsi una loro piattaforma e per questo hanno preteso un rinvio di un paio di settimane necessarie per oganizzarsi. Basteranno? Il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri: «Agli esperti che ho sentito pare una follia». [3]
Le otto società di serie A e le tre di B rimaste senza contratto con le pay tv hanno dato vita a Pmt (Plus Media Trading). Enrico Bendoni, fondatore del consorzio: «Il progetto sta in piedi su una base numerica: con una certezza di due milioni di abbonati e di una migliore difesa dalla pirateria questo diventa un business sportivo. L’avvio sarà piuttosto morbido, ma non serve molto: il format richiede un solo canale e una sola banda per trasmettere il pomeriggio e la sera del sabato, la domenica alle 18 e la sera di domenica». [4]
Le società di Pmt produrranno in proprio le immagini delle partite casalinghe per rivenderle di volta in volta alle emittenti, private e non, che garantiranno la migliore offerta (sarebbero già stati avviati contatti con La 7). La federazione delle radio e televisioni private è disponibile ad offrire 5-6 milioni di euro, in attesa che nasca la terza piattaforma pay. L’offerta è relativa alla trasmissione in chiaro delle partite: l’ipotesi, infatti, sarebbe quella di far coprire alla emittenza locale la prima parte del campionato, fino a quando la terza piattaforma non sarà operativa. [4]. L’idea sarebbe di vendere le 136 partite che si giocheranno sui ”campi Pmt”, quattro per week-end, a 25 euro al mese. [5]
Costi e ricavi. Nella stagione 2001-2002 Telepiù ha versato alla Juventus campione d’Italia 49 milioni di euro per assicurarsi sul territorio nazionale le immagini live degli incontri allo stadio delle Alpi. In tutto il Paese sono stati 90mila i fan bianconeri che hanno sottoscritto l’abbonamento. La tv digitale controllata da Canal Plus, dunque, ha pagato al club piemontese 544 euro per ciascun abbonamento. Per contro, il Piacenza ha incassato 6 milioni di euro rispetto ad appena 770 abbonamenti sottoscritti dai tifosi. Costo per Telepiù: 7.792 euro per abbonato. Ecco perché quest’anno le società più piccole si sono viste offrire molti meno soldi che in passato [6]. «Il campionato non è fatto solo da Milan-Perugia, ma anche da Perugia-Milan. Se si vuole che i tifosi rossoneri vedano la partita criptata del Milan quando gioca a Perugia, i diritti le due squadre devono trattarli assieme. La Lega deve tornare a trattare per tutte le squadre tanto con la Rai quanto con le pay tv» (Giuliano Urbani, ministro dei Beni culturali con delega per lo sport). [7]
Anche la Rai non ha trovato l’accordo con la Lega, che chiede per i diritti del calcio in chiaro la somma pagata la scorsa stagione: 65 milioni di euro per il campionato, 15,5 per la coppa Italia, 4 per i diritti esteri (in tutto 84,5 milioni di euro). La televisione di Stato non è invece disposta ad offrire più di 165 milioni di euro per tre anni [8]. Gasparri: «Il problema è il nuovo calendario della Lega Calcio, che fa disputare due partite il sabato, una la domenica alle 18 e un’altra alle 22 e 30. La serie A è fatta di nove partite settimanali e, quando quattro vengono dislocate in orari non convenienti per le trasmissioni Rai, la tv pubblica si ritrova con solo cinque partite utili, per di più le meno importanti» [9]. Curzio Maltese: « ovvio sostenere che la cifra chiesta dalle società di calcio alla Rai è assurda e fuori mercato. Ma è la stessa pagata finora senza battere ciglio. Ed è curioso che il direttore generale della tv di Stato, Agostino Saccà, nominato dalla nuova maggioranza, scopra lo scandalo soltanto adesso e offra la metà del compenso, tirando la volata a Mediaset e offrendo un buon argomento ai ”ricchi scemi” del pallone. Possibile che con l’euro tutto debba aumentare e soltanto il calcio sia chiamato a dimezzare i prezzi?». [10]
Il calcio in chiaro ha un valore reale attorno ai 25 milioni di euro. «Siamo disposti ad aggiungere a questi 25 altri 30 milioni di euro, visto che c’è il canone e vista la funzione sociale che viene attribuita al calcio» dicono a viale Mazzini. Ma come è ripartita la stima del valore reale del calcio in chiaro? «La Coppa Italia è considerata di scarso appeal. Solo tre partite superano il 24 per cento di share (l’ascolto di una buona prima serata) e solo quattordici sono considerate interessanti. Al pacchetto viene attribuito un valore globale di 7 milioni di euro (un miliardo di vecchie lire a partita). Dieci milioni la stima di Quelli che il calcio e della Domenica sportiva. Resta Novantesimo minuto: quei quarantacinque minuti di trasmissione con il vecchio contratto venivano pagati dalla Rai un milione e 150 mila euro a puntata, una cifra considerata folle, che arriva, per le sue trentasei puntate, a un prezzo assai vicino a quello dell’intero palinsesto di Raitre. E poi, il programma ha un ascolto medio del 30 per cento, solo cinque punti in più dell’ultima parte di Domenica in (che costa 85 mila euro). Spesa e risultato non vanno d’accordo, specie se si fanno raffronti (l’ultima serata di Miss Italia fa il 45 per cento di ascolto e costa 450 mila euro per tre ore di programma). L’offerta Rai per Novantesimo minuto è così scesa drasticamente a 225 mila euro a puntata» (Marco Molendini). [11]
Perché il calcio criptato in Italia non ha sfondato? Tullio Camiglieri, direttore della comunicazione di Stream: «L’imputato numero uno è la pirateria. è un problema che si trascina da troppo tempo. In misura maggiore da quando è stato unificato il sistema di trasmissione. Ora con la nuova scheda di Tele+ il problema pare risolto. Ma ad oggi è ancora un fenomeno troppo diffuso. Basti pensare che qualche mese fa, ad un convegno, lo stesso Galliani ha raccontato di aver visto la partita a casa di un presidente di società professionistica che si vantava delle sue schede taroccate». [12]
Come è stato possibile arrivare in pochi anni al crac? Marco Brunelli (Centro Studi della Lega Calcio): «Negli ultimi tre anni il calcio ha aumentato enormemente il fatturato: da 650 a 1.500 milioni di euro. E tutto, o quasi, per merito dei diritti tv. Sarebbe un dato positivo se non fosse che il calcio quei soldi li ha girati tutti nelle tasche dei procuratori e dei calciatori. La spesa per i salari è cresciuta infatti in maniera spaventosa: nel 1997-1998, ad esempio, i club di serie A spendevano 545 milioni di euro per i compensi dei calciatori, nel 2001-2002 sono arrivati a 1.479». [13]
Ci sono stati due eventi epocali negli ultimi anni. Jorge Valdano, direttore generale del Real Madrid: «Dapprima il caso Bosman che ha aperto nuove frontiere ma anche un vuoto legislativo enorme, intaccando la solidità patrimoniale delle società. Dall’altro l’esplosione dei contratti televisivi che hanno fatto affluire fiumi di denaro liquido. Una trasfusione che ha avuto molti effetti collaterali... Quali? Sono aumentate le partite, si è moltiplicato in modo esponenziale il numero dei giocatori in ogni organico, si è scatenata una febbre consumistica che ha accecato tutti. Nessuno ha pensato più al futuro. Ma il futuro prima o poi diventa presente (...). Oggi la realtà è che le società ci rimettono, le tv ci rimettono, mentre gli unici a guadagnare sono giocatori e procuratori. Ora però la festa è finita per tutti». [14]
Perché il governo dovrebbe riconoscere alle società di calcio lo stato di crisi? «Il calcio merita aiuto sia per quanto versa all’Erario (2.600 miliardi di lire circa nell’ultima stagione), sia per la funzione economica e sociale che svolge. Non è giusto, per esempio, che sia tassato il 25 per cento in più che negli altri Paesi europei né che Coni e Federazioni aspettino ancora le risorse promesse. Non è irragionevole chiedere una rateizzazione dei debiti fiscali. Né voler ripianare i debiti nel tempo con l’aiuto di banche e del credito sportivo, disponibile a studiare il problema. Ciò ha un senso, lo stato di crisi no: è una barzelletta di cattivo gusto. Lo si applica a chi non ha più margini operativi, deve tagliare posti di lavoro, non può andare avanti senza nuove risorse» (Giorgio Tosatti) [15]. Adriano Galliani, presidente della Lega calcio: «Lo stato di crisi non serve mica soltanto in caso di terremoti e alluvioni, va bene anche per le aziende come le nostre che hanno versato miliardi di tasse. Ne parlerei con Maroni, è al Lavoro che si va per queste cose». [16]
I club sono convinti di dare troppo allo Stato. Luciano Gaucci, presidente del Perugia: «Il calcio non può essere trattato così. Passiamo per nababbi ridotti a fare la questua, quando siamo tra i principali contribuenti dello Stato, se non i primi in assoluto. Le cifre? Ogni anno versiamo, sotto voci diverse, tra i 7 e gli 8 mila miliardi di vecchie lire alle casse dell’Erario. E ora lo Stato che fa? Ce ne nega 180, attraverso la Rai?» (17)
L’idea guida che la malattia del pallone sia imputabile agli alti stipendi dei giocatori, «alla Ferrari nel garage di Nesta, ai lussi erotici nelle alcove di Torino, al conto in banca di Del Piero o alla sofisticata filosofia buddista di Baggio è, come si vede, il peggior residuo dell’ideologia, colta e incolta, del Paese, dell’Italia dell’astio, del riflesso pauperistico, ma è purtroppo la sola certezza trasversale che mette d’accordo gli irriducibili delle opposte fazioni, il ministro Gasparri e il presidente della Lega Galliani, la Rai e Mediaset, l’’Unità” e ”il Giornale”, il polista Saccà e l’ulivista Donzelli, lo Stato etico e quello sociale. Persino qualche calciatore se l’è presa con se stesso e si è ridotto (simbolicamente) lo stipendio» (Francesco Merlo). [18]
Invece i soldi non infiacchiscono. «La Juve, che ha vinto lo scudetto e non è in crisi, ha adeguato i salari al rendimento in campo: più soldi e più gol, più gol e più soldi. La Ferrari stravince perché ha i migliori ingegneri, meccanici e piloti del mondo, tutti con stipendi ”mondiali”. La dimensione di eccezionalità è consacrata dal riconoscimento economico. Per curare il talento di Cipollini e fargli sputare l’anima, per alimentare la straordinaria forza e bellezza nera di Serena e Venus Williams, non c’è cibo più adeguato dei soldi» (Merlo). [18]
Ma è lecito, in un mondo come questo, guadagnare decine di miliardi per giocare al calcio? «Se me lo chiedete pensando alle mie idee, vi rispondo subito che gli illeciti che vedo, in questo mondo, sono ben altri. Il calcio, in quanto spettacolo, ha bisogno degli assi quanto dei comprimari. E gli assi di cui oggi si parla tanto - soprattutto per i guadagni - sono solo la punta dell’iceberg del nostro movimento. Una punta comunque indispensabile [...] Con i campioni si crea entusiasmo, passione e di conseguenza incassi. è la regola del gioco, piaccia o no. Il vero scandalo, semmai, è constatare che certi ingaggi non sono consentiti dai bilanci» (Damiano Tommasi). [19]
Il sistema calcio in Italia non si è mai impegnato a cercare nuove entrate, «sfruttando davvero le potenzialità economiche che sono grandi. Da noi tutto si è ridotto agli incassi al botteghino, agli abbonamenti e ai soldi delle tv. I club hanno puntato tutto su questo. Intanto in Inghilterra, Spagna o Olanda hanno trovato altre strade, altre entrate. L’esempio del Manchester che incassa 200 miliardi di vecchie lire dal merchandising non ha insegnato nulla ai nostri club» (Alessandro Del Piero) [20]. Camiglieri: «La svolta deve essere culturale. Non si può pensare solo alla partita. L’incontro deve essere l’evento centrale attorno al quale costruire un business più maturo. Televisioni e società potrebbero cogestire il merchandising, tutelare le interviste durante la settimana, valorizzare le squadre giovanili. Insomma cogestire il calcio a 360 gradi. è inammissibile che in Italia gli stadi vengano utilizzati per 90 minuti alla settimana. In questo modo si può solo perdere». [12]
Il calcio partecipa della crisi economica internazionale. Massimo Moratti, presidente dell’Inter: « vero. Tutto questo alla gente può sembrare strano, persino ridicolo, ma così stanno le cose. Basta guardarsi attorno. L’economia e la finanza internazionale sono scosse da una crisi profonda. Il calcio non fa eccezione, è lo specchio di un mondo ricco che è diventato meno ricco [...] siamo stati abbagliati da un’illusione. Due anni fa ci sembrava di stare dentro un’economia in crescita, poi non è andata così. Sponsor meno generosi, mercato delle tv in recessione, brusca frenata persino del totocalcio...». [21]
Il film è già visto, «solo i colori sono un po’ più accesi. Poi si sa che provvede Letta, come l’anno scorso: la Rai alzerà un poco l’offerta, la Lega (Calcio) abbasserà un poco le richieste, le 8 squadre di A senza contratto con le pay tv si vedranno servito un vassoietto di briciolone e dovranno accontentarsi. [...] Accetterei con entusiasmo uno slittamento di due o tre mesi, se servisse a togliere di mezzo per manifesta incapacità un quarto dei presidenti di serie A, ma non mi faccio illusioni. Gonfia e gonfia, si sono resi insostituibili. Il prezzo della scomparsa è il fallimento, com’è avvenuto per la povera (anche perché lasciata sola) Fiorentina. Il prezzo della sopravvivenza lo vedremo nei prossimi giorni. Il Chievo ha dimostrato che si può fare bel calcio con mezzi limitati. La Juve ha dimostrato che si può vincere avendo il bilancio a posto. Sono esempi italiani, non finlandesi. Forse converrebbe studiarli meglio e battersi il petto invece di batter cassa» (Gianni Mura). [22]
Se invece prevalesse la rissosità di queste ultime ore, «si potrebbe arrivare a questa domenica calcistica buia, nel senso televisivo, che ci riporterebbe indietro di molti anni, ai tempi in cui il pallone volava con la fantasia. Non è detto che sia una disgrazia: il calcio, per chi lo ama, è come una bella donna che con il passare del tempo ha preso a indossare abiti sempre più discinti e volgari. Rivestirsi con sobrietà, lasciando intravedere solo ciò che concede uno spacco, potrebbe tornare a renderlo seducente» (Enrico Maida). [23]