Ranieri Polese, Corriere della Sera, 02/03/2006, 2 marzo 2006
Dieci modi di stroncare (en passant), Corriere della Sera, 2 marzo 2006 Non è vero che la peggior stroncatura è il silenzio
Dieci modi di stroncare (en passant), Corriere della Sera, 2 marzo 2006 Non è vero che la peggior stroncatura è il silenzio. Ce ne sono anche di più cattive. Come quelle che Alessandro Baricco denunciava ieri sulla Repubblica; colpevole, nel caso specifico, la coppia Citati&Ferroni, entrambi rei di un’aggressione subdola nei confronti dell’autore di Seta. Il primo, descrivendo l’estasi prodotta dal pattinaggio olimpico, diceva che si dimenticava «perfino dell’Iliade di Baricco»; l’altro, recensendo sull’Unità un libro di Vassalli, sottolineava in una parentesi la «distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell’ultimo Baricco», alludendo al romanzo Questa storia (che peraltro Ferroni aveva stroncato già sulla rivista Giudizio universale). Vittima di questa «gomitata assestata a tradimento», Baricco richiamava alle loro responsabilità i Critici: fate il vostro mestiere, ma non ricorrete «a queste battutine trasversali messe lì per raccogliere l’applauso dei fedelissimi». L’appassionato Baricco, però, non tiene conto di un fatto: che cioè noi viviamo in tempi davvero trasversali. A cui, forse, anche la critica - se esiste ancora - si sta rapidamente adeguando. Perciò, a uso dei critici vogliosi di essere all’altezza dei tempi, e ad ammaestramento di autori che potrebbero incappare in battutine e battutacce, proviamo a fornire un decalogo di «gomitate». Magari ricorrendo a esempi di un passato che tutti hanno dimenticato e che perciò oggi è molto cool. 1) Non parlare di libro/film/opera musicale dicendo che porta male (Oreste del Buono non vide Lili Marleen di Fassbinder per le qualità iettatorie della canzone). 2) Fare paragoni tremendi, che mentre discreditano l’autore in questione liberano il recensore dalla necessità di entrare nel merito dell’opera. (I neo-avanguardisti del Gruppo 63 liquidarono Cassola accostandolo a Liala). 3) Viceversa, rifarsi a una categoria alta per distruggere un onesto produttore di cultura bassa (Enrico Manca accusò Pippo Baudo chiamando in causa la categoria gramsciana del «nazional-popolare»). 4) Adoperare giudizi di valore ideologico, dando per scontato tutto il resto (negli Anni ’50 Pratolini e il suo Metello furono crocifissi dall’accusa di «populismo»; negli Anni ’90 Susanna Tamaro e Anima mundi, con il loro sapore di foiba, finirono all’indice). 5) Usare il plurale per l’esecuzione sommaria: come quando si dice «i Nove, i Labranca, gli Scarpa» per far fuori tutti i Cannibali. 6) Usare la locuzione «dei poveri», facendo attenzione a scegliere un modello piuttosto basso (Anna Tatangelo è la Pausini dei poveri?). 7) Giudicare libro (o disco) dalla copertina, o un film dalle foto pubblicitarie (precedente illustre, ancora Oreste del Buono, che raccontò Kramer contro Kramer parlando dei manifesti e della gente che, nonostante quelli, entrava in sala). 8) Dire che è inutile parlare di qualcuno che ha già vinto la gara a cui sta per partecipare (quest’anno prima si è detto che Sandro Veronesi vincerà il premio Strega, ma ora rischia di essere scalzato da Rossana Rossanda). 9) Rifarsi al classico Manganelli: «Non l’ho letto e non mi piace» (con la variazione di Franco Cordelli, che nella sua rubrica teatrale di anni fa esercitava la «critica presuppositiva»: spettacoli non visti e stroncati, come ben sa Memè Perlini). 10) Aggredire, massacrare, annichilire qualcuno senza nemmeno dirne il nome. (l’ha fatto ieri Gabriele Ferraris sulla Stampa, che scomoda Brecht - «beato il paese che non ha bisogno di eroi» - per infierire contro Panariello, «comico modesto» e senza nome). Ranieri Polese