Mattia Feltri, ཿLa Stampa 2/3/2006;, 2 marzo 2006
ROMA. La Stampa, 2 marzo. «Noi per farci coraggio comperavamo il vino alla Gs, quello nei cartoni, e ce lo bevevamo ai giardinetti
ROMA. La Stampa, 2 marzo. «Noi per farci coraggio comperavamo il vino alla Gs, quello nei cartoni, e ce lo bevevamo ai giardinetti. Poi andavamo a bruciare le moto», dice Massimo. Ora è maggiorenne, ma quando lo presero, l’estate scorsa, era sotto i diciotto e i giornali stamparono: «Acciuffato Joe Tanica». Ma altri Joe Tanica erano stati arrestati e altri sarebbero stati arrestati più avanti. Un Joe Tanica è stato arrestato anche l’altra notte: ha addirittura trentanove anni. Lo hanno individuato grazie alla telecamera di una farmacia e sono andati a prenderlo a casa, mentre dormiva dopo aver incenerito un paio di macchine. Ma non è finita lì. Il Joe Tanica quarantenne è in galera, e dalle 20 di martedì alle 5 di mattina di mercoledì tutti gli altri Joe Tanica di Roma si sono messi di lena, e hanno bruciato una cinquantina fra auto e ciclomotori. Questo andazzo, nella capitale, prosegue dai primi di luglio e per il consuntivo ci si deve accontentare di stime: ma siamo quasi a trecento mezzi distrutti. «Io ho cominciato andando appresso a due amici che si divertivano così. Non so neanche i loro cognomi. Ci vedevamo qualche volta la sera. Sono andato con loro. Ho messo dei fogli di giornale accartocciati fra la ruota posteriore e il serbatorio di uno scooter e ho dato fuoco con l’accendino. Ricordo che era un Ovetto, bruciò alla svelta. Intanto loro versarono benzina sul cofano di una Opel e...», dice Massimo. Naturalmente non si chiama così, ma non è il nome che conta. Conta la storia di questo ragazzo che la sera doveva rincasare puntuale entro mezzanotte e puntualmente rincasava. Magari un po’ bevuto, ma chi ci faceva caso? «Mi infilavo a letto, e bonanotte». Bonanotte, sì. Perché non ci si deve immaginare un erede dei ragazzi di strada dell’epica pasoliniana. Massimo abita poco fuori dal centro, ma non in borgata. Va a scuola e in palestra. Ha genitori qualsiasi, né separati né alcolizzati e dietro sé non ha altre vicende classiche nella casistica del disagio. «Una volta, con le tecnica del giornale, ho bruciato un motorino, e poi le fiamme hanno preso le macchine e se ne sono bruciate tre», continua Massimo. «Qualche volta alla sera ci vedevamo ai giardini con il gruppo. Io e un amico mio magari bevevamo il vino prima, oppure ai giardini, e poi andavamo. Lui mi guardava e basta». Lo faceva, dice oggi, «per divertimento e per sfregio». Divertimento? «Sì, l’avventura, il pericolo, la novità, tutte quelle robe lì». Sfregio? Spiega che dopo le prodezze si divertiva a chiamare il 113 (polizia), il 112 (carabinieri) e pure i Vigili del Fuoco. «Una sera li abbiamo sentiti arrivare, e allora siamo tornati ai giardinetti e siamo rimasti a guardare mentre spegnevano gli incendi nostri. Poi, prima di andare a letto, ne abbiamo appiccato un altro». Massimo dice, in qualche modo, che era un gioco eccitante. Che c’era dell’emulazione, perché altri Joe Tanica circolavano prima di loro (come hanno continuato a circolare dopo), e c’era della simulazione, come essere serial killer a rischio ridotto, che si prendono gioco di quelli che gli danno la caccia. «Sono anche diventato un esperto. Imparai con l’accendino a dare fuoco al sottotarga: si incendia subito e in pochi minuti la moto è andata». Non sa più quante ne ha carbonizzate. Sa che, se non fosse stato preso dalla polizia, sarebbe andato avanti. «Una sera io e il mio amico, quello dei giardinetti, stavamo armeggiando in un parcheggio e un uomo, che stava al balcone, ci ha visti. Noi no, così è sceso, ma siccome noi non avevamo ancora fatto niente non era sicuro che fossimo piromani. E allora a me ha mollato uno sberlone e mi ha lasciato andare dicendomi di non farmi più vedere». La tecnica del quarantenne arrestato lunedì a Casal Bruciato è incredibilmente elementare. Si applicava con un accendino sul paraurti che, essendo di plastica, si scioglie in qualche secondo. Poi appoggiava l’accendino a terra di modo che la plastica del paraurti, incandescente, gli gocciolasse sopra, lo bucasse e raggiungesse il liquido infiammabile. Esplosione, incendio eccetera. Massimo no. «Con le auto non mi ci sono mai messo. Soltanto motorini. Più che altro vicino a casa, perché era più rischioso, ma anche più facile scappare in qualche viuzza in caso di pericolo. Poi, il giorno dopo, andavamo a prendere Leggo (quotidiano gratuito, ndr) e una volta c’era un articolo sulle moto che avevo bruciato io. L’ho fatto vedere al parco, e mi sono sentito fico. Lo so che è una scemenza, ma è così. Anche un’altra volta che ci fu un servizio al tigì regionale: lo vidi a casa e non dissi niente, ma caspita, non mi era mai capitato di fare una cosa che andasse in tv, anche se era una cosa da imbecille...». Ha preso dieci mesi di reclusione. Alla prossima che fa, va in galera. «Lo so, lo so... E mi hanno anche detto che ho avuto fortuna. Se si fosse fatto male qualcuno, altro che dieci mesi...». Mattia Feltri