Varie, 2 marzo 2006
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FACCIO Adele Pontebba (Udine) 13 novembre 1920, Roma 8 febbraio 2007. Politico • «Storica esponente radicale fonda a Roma e Milano il 20 settembre 1973 il Cisa, Centro italiano sterilizzazione e aborto che si prefigge di praticare la disobbedienza civile e, come risposta all’aborto clandestino, di aiutare le donne a interrompere la gravidanza nelle due cliniche di Milano e Firenze
FACCIO Adele Pontebba (Udine) 13 novembre 1920, Roma 8 febbraio 2007. Politico • «Storica esponente radicale fonda a Roma e Milano il 20 settembre 1973 il Cisa, Centro italiano sterilizzazione e aborto che si prefigge di praticare la disobbedienza civile e, come risposta all’aborto clandestino, di aiutare le donne a interrompere la gravidanza nelle due cliniche di Milano e Firenze. Il Cisa è federato al Partito radicale. Nel 1975, il 10 gennaio, l’arresto a Firenze del ginecologo Giorgio Conciani e l’incriminazione di 40 donne presenti nella clinica in quel momento segnano una svolta nella lotta per la legalizzazione dell’aborto in Italia [...] Dopo l’arresto di Spadaccia, segretario del Partito radicale, che si autodenuncia e di Emma Bonino, Faccio, tornata dalla Francia il 26 gennaio per intervenire al convegno del Movimento di Liberazione della donna, viene platealmente arrestata durante i lavori. imputata di procurato aborto pluriaggravato e associazione a delinquere aggravata. [...] continua la sua militanza e le sue battaglie sull’aborto fino all’approvazione della legge 194 avvenuta nel 1978 e sui diritti civili, l’antimilitarismo e i temi radicalianche dagli scranni parlamentari e poi dal Parlamento europeo. Negli anni Novanta lascia la politica per fare la pittrice» (’diario” 5/12/2003 - La meglio gioventù - Accadde in Italia 1965-1975) • «[...] c’è stato un tempo in cui tutto si poteva dire di lei, tranne che amasse starsene tranquilla in disparte. C’è stato un tempo in cui Adele Faccio era una donna di trincea, anzi il simbolo numero uno del fronte ”abortista”, nella rocambolesca stagione delle lotte libertarie. C’è stato un tempo in cui il suo nome era sulla lista dei ricercati della polizia, una pacifica signora dai capelli grigi inseguita da un mandato di cattura per il reato di ”procurato aborto”.
Ma la storia di Adele Faccio va raccontata dal principio. Nasce a Pontebbe, in provincia di Udine, nel 1920. La sua è una famiglia borghese che ama la cultura, la cugina è la scrittrice Sibilla Aleramo (14 agosto 1876-13 gennaio 1960). Lei va a studiare a Genova, si laurea in Lettere e filosofia e diventa assistente di Filologia romanza all’università. Sono anni difficili, gli anni del dopoguerra, e la ventottenne Adele - che ha scoperto la passione politica facendo la staffetta partigiana - decide di partire per la Spagna. Per amore di un pittore, certo, ma anche perché ha voglia di battersi, a modo suo, contro un’altra dittatura: quella franchista. a Barcellona - dove resta per quattro anni, fino al 1952 - che impara le tecniche della disobbedienza civile e della resistenza non violenta. Tecniche che metterà nel cassetto per vent’anni, al suo ritorno in Italia come redattrice editoriale e animatrice di giornali underground, ma che le tornano assai utili nel 1973, quando fonda a Milano il Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto). Nell’Italia che punisce l’aborto con il carcere, ma chiude un occhio sulle cliniche di lusso che lo praticano di nascosto, il Cisa diventa un punto di riferimento per le donne milanesi che non possono permettersi né la clinica né il viaggio all’estero. La Faccio ha trovato un medico fiorentino, Giorgio Conciani, disposto come lei a rischiare la galera pur di aiutare chi ha deciso di abortire. ”Una volta - racconterà poi Conciani - Adele portò da Milano un centinaio di donne tutte in una volta. Aveva persino affittato un pullman”. Perché lo faceva? ”Io sapevo di non aver mai dovuto abortire grazie al fatto di essere una privilegiata - spiegherà lei stessa tanti anni dopo - perché potei andare a Parigi e scoprire che c’era una cosa chiamata diaframma, fatta apposta per evitare gravidanze indesiderate. Ma tante altre donne non avevano la mia stessa possibilità, e io sentivo il dovere di aiutarle. Tutte”. Finisce che una mattina del gennaio 1975 il settimanale Candido denuncia la clinica fiorentina, e un giudice che si chiama Carlo Casini (futuro leader del Movimento per la vita) fa arrestare il dottor Conciani e il segretario radicale Gianfranco Spadaccia e firma un mandato di cattura per Adele Faccio ed Emma Bonino. Le due donne si dileguano, vanno a Parigi di nascosto e poi tornano. Il 26 gennaio Adele Faccio si consegna clamorosamente alla polizia durante la ”conferenza nazionale sull’aborto” indetta al teatro Adriano di Roma dal Movimento per la Liberazione della Donna. Dopo 33 giorni di carcere, questa signora libertaria e un po’ anarchica che vuole trasformare la protesta in un’attività costruttiva diventa il simbolo delle donne che vogliono la legge sull’aborto. Approda persino in Parlamento - è una dei quattro radicali che vi mettono piede, per la prima volta, nel 1976 - e lì partecipa all’elaborazione della 194. Il prezzo che bisogna pagare, però, quel compromesso sulla casistica e sull’approvazione del medico, non le piace. E lei, delusa, sente spegnersi la passione per la politica. Sarà rieletta ancora, ma a poco a poco - discretamente, in silenzio - uscirà di scena. Dedicandosi, lei che conosce nove lingue, alle traduzioni delle poesie di Che Guevara, al nipotino, alla pittura, persino all’astronomia, pur di allontanarsi da Montecitorio e dall’eterno leader di tutte le battaglie radicali, Marco Pannella. Gli vuole un gran bene, ma non lo capisce più: ”Il problema grosso - confiderà nella sua ultima intervista - è che Marco è convinto di quello che fa, mentre noi non siamo più tanto convinti di quello che fa lui...”. Vorrebbe dirglielo pure, ma non lo fa: per discrezione. [...]» (Sebastiano Messina. ”la Repubblica” 10/2/2007) • «Era, per chi la conosceva, ”la buonissima Adele Faccio”. Una signora non giovanissima già negli anni Settanta; per niente curata alla maniera delle politiche di oggi; pesantemente presa in giro perché non era una pinup, oggetto di continue battute per il suo nasone. Era, non c’è che dire, coraggiosa. Nel gennaio 1975, aveva già 54 anni, parlando a una manifestazione dei radicali al teatro Adriano di Roma raccontò di aver abortito. Allora l’aborto in Italia era un reato. Lei fu subito arrestata. Marco Pannella digiunò per la sua scarcerazione. L’aborto fu dichiarato parzialmente non incostituzionale dalla Corte l’anno dopo. La legge sull’interruzione volontaria di gravidanza fu approvata nel 1978. [...] un personaggio italiano anomalo; una donna di fondo quieta, parecchio avanti per i suoi tempi. Coltissima, determinata, indipendente e protestataria dalla nascita. ”Tutti i bambini nascono facendo uè uè, ma tu sei nata gridando no!” scriveva in un suo libro, e parlava di sé stessa. Nata a Pontebba, in provincia di Udine, nel 1920, da madre piemontese e padre genovese anarchico, si era laureata a Genova in lettere, era stata staffetta partigiana, era andata a stare a Barcellona, vivendo con un pittore, partecipando alla vita culturale e alla resistenza contro Franco; appassionandosi alle forme di resistenza non violenta.
Tornata a Genova nel 1953, si era messa a insegnare. E, raccontò poi un ex allievo ”ha conquistato gli studenti. Ha parlato il linguaggio delle fabbriche. Ha parlato di antifascismo e di resistenza, di lotte per l’avvenire”. Argomenti oggi demodé, da lei illustrati in perfetto francese. A pensarci, tutta la sua storia oggi è fuori moda, anche troppo. Salutati gli studenti, era andata a Milano, da prof militante a certificata bohémienne di sinistra. Bohémienne vera, non benestante curiosa: viveva in una sgarrupata casa di ringhiera, traduceva Che Guevara e gli scrittori sudamericani, scriveva su riviste culturali con nomi espliciti come Il disincanto o surreali come Il canguro. Alla fine degli anni Cinquanta – non un periodo ideale per le madri singole - fece un figlio da sola. Non aveva voluto che il padre lo riconoscesse, e diceva: ”Eravamo liberi tutti e due ma non ci sentivamo di sposarci, tutto qui”. Tutto qui, o forse no; comunque tirò su il figlio da sola e quando arrivò il femminismo diventò femminista, anzi lo era sempre stata. Nel collettivo di Brera, nell’Aied, che propagandava la contraccezione, nella lega per il divorzio; e poi nel Cisa, centro italiano sterilizzazione e aborto, fondato nel 1973. In quegli anni molte ragazze di sinistra e non che avevano bisogno di abortire andavano a Londra se abbienti o ”dai radicali” se meno abbienti o se non potevano dirlo ai genitori. Ma la fondatrice e presidente non faceva aborti, si faceva arrestare. Arrivò apposta dalla Francia a Roma; passò trentaquattro giorni nel carcere di Santa Verdiana a Firenze, faceva propaganda tra le detenute, protestava perché al compagno di partito Gianfranco Spadaccia era permesso leggere i giornali e usare la macchina per scrivere mentre a lei era stato detto che essendo donna, l’unica macchina consentita era quella per cucire. Un anno e mezzo dopo era deputata radicale, insieme a Pannella e ad Emma Bonino. Seguirono alcuni anni di grande casino, proteste clamorose, imbavagliamenti in aula; per lei, erano soprattutto anni di battaglia per la legge sull’aborto. Rilasciava educate interviste in cui spiegava che era favorevole proprio perché non entusiasta della pratica, cercava di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli aborti clandestini, fu delusa dalla versione finale della 194. La considerava poco rispettosa delle esigenze delle donne. Rimase in Parlamento senza troppo entusiasmo fino all’87. Ne uscì dopo anni di battutacce sul suo aspetto, e con l’artrite. ”Colpa della funesta aria di Montecitorio”, raccontava anni dopo in un’intervista. Funesta politicamente e umanamente, e pessima per la salute, ”è tarata per seicento deputati mentre se va bene si è in sessanta e si gela”. Era silenziosamente delusa, lasciata l’aria funesta non sentiva più gli amici radicali. Negli anni Novanta scriveva come sempre poesie (nel 1980, da innamorata, compose ”Farfalla spaurita/le ali vibrano/come il cuore quando/fa qualcosa che incombe”); aveva ripreso a dipingere, aveva fatto delle mostre, diceva di non avere nostalgia della politica, anzi. E chi ha fatto politica con lei la ricorda appassionata e per niente astuta: ”Era di un candore totale, non potevi volergliene anche se pensavi stesse dicendo una gran fesseria”. E ora la ricorda con affetto anche chi, come Francesco Rutelli, col tempo ha cambiato idea. Lei fu benevola anche con lui, in un’intervista di qualche anno fa, spiegando che se ne era andato perché ”spesso i giovani si scocciavano di Pannella”. Era la buonissima Faccio, lei, la combattente non violenta per l’aborto, e ci aveva messo molto più tempo a scocciarsi» (Maria Laura Rodotà, ”Corriere della Sera” 10/2/2007) • «Il volto scavato di Adele Faccio [...] resterà uno di simboli iconici degli Anni 70, indissolubilmente legato alla stagione delle battaglie per i diritti civili. stata una leader fra le più amate e naturalmente odiate nella lunga stagione che ha visto l’Italia scegliere prima il divorzio e poi, con la legge 194, la regolamentazione delle interruzioni di maternità. E le immagini del suo arresto al cinema Adriano, nel ”75, inseguita da un mandato di cattura per procurato aborto e associazione per delinquere, riviste ora, rappresentano qualcosa di più che una semplice pagina sull’album di famiglia della Prima Repubblica: tempi lontani, ma forse non così lontani come potrebbero sembrare. Adele Faccio si teneva ormai lontana dalla politica attiva, ma non è stata dimenticata, anche se nel frattempo il suo storico partito radicale ne aveva perso le tracce [...] Emma Bonino sottolinea che con lei iniziò la sua militanza. Entrarono insieme a Montecitorio nel ”76, con Pannella e Mellini, quattro deputati radicali nella stagione del compromesso storico. Di origini biellesi, famiglia borghese, nata per caso in Friuli (il padre girava molto l’Italia per lavoro), laurea in filologia romanza, Adele Faccio aveva già un passato importante, anche se non ne parlava mai. Studentessa, aveva partecipato alla Resistenza in Liguria, e dopo il ”48 si era impegnata nella lotta antifranchista, trasferendosi a Barcellona. Rientrata in Italia, si era poi stabilita a Milano, in un mitico appartamento di ringhiera dove pare non ci fosse nemmeno il telefono, a far traduzioni, organizzare riviste, e soprattutto dedicarsi ai problemi delle donne. Sua è una frase celebre all’indomani del ”68: ”Avete rifiutato il ruolo di angelo del focolare. Smettete ora quello di angelo del ciclostile”. Fondò il Mld (movimento liberazione delle donne) e fece nascere, nel ”73, il Cisa, centro informazioni sterilizzazione e aborto. Quando il 10 gennaio ”75 scattò l’arresto di Giorgio Canciani, responsabile del Cisa toscano, e di Gianfranco Spadaccia, segretario pr, irruppe in scena da grande protagonista. C’era un mandato di cattura anche per lei (e per la Bonino). Radicali e Mld stavano già raccogliendo firme per la depenalizzazione dell’aborto. Adele Faccio rimase ”latitante” in attesa del 24, giorno in cui era stata indetta a Roma, nel Teatro Adriano, una manifestazione: e lì si presentò per farsi ammanettare. Sarebbe restata lunghi mesi in carcere, ma intanto la raccolta delle firme ebbe un impulso straordinario, mentre 2700 donne si autodenunciavano per lo stesso reato. La valanga era inarrestabile: cadde il governo, si tornò alle urne e, nel ”78, venne approvata la legge 194. La Faccio, come gli altri deputati radicali, votò contro, ma questa è un’altra storia. Aveva vinto comunque. Di lì in poi, la vita politica sarebbe stata ancora lunga, segnata anche dalla dolorosa vicenda del figlio Dario inquisito per terrorismo e riparato in Francia; e da un progressivo allontanamento dal Partito Radicale, fino alla fondazione dei ”verdi arcobaleno”. Si defilò a poco a poco, con discrezione e ironia. Come disse in una delle sue ultime interviste, ”ho abbracciato il precariato anche in Parlamento”» (Mario Baudino, ”La Stampa” 10/2/2007).