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 2006  marzo 02 Giovedì calendario

Roberto Benigni «Non sopravvalutate Berlusconi, è commedia dell’arte». La Stampa 2 marzo 2006. Berlino

Roberto Benigni «Non sopravvalutate Berlusconi, è commedia dell’arte». La Stampa 2 marzo 2006. Berlino. C’è stato un tempo in cui nelle interviste con gli italiani si cadeva sempre sul latin lover. Adesso si cade sempre su Berlusconi. «Mio Dio, sì! Purtroppo. Ha la scena tutta per sé. Già solo per questo sarei contento che in Italia arrivasse una svolta politica. Il tema Berlusconi comincia ad annoiare. La gente è stufa». In una trasmissione tv lei disse che Berlusconi vuole sempre per sé il ruolo del protagonista: nella Chiesa il Papa, a un matrimonio la sposa, a un funerale il defunto. «E il famoso giornalista Enzo Biagi, dopo quell’intervista con me, è stato licenziato dalla Rai. A me non potevano fare niente, perché in quel momento ero troppo popolare, avevo appena vinto l’Oscar. E’ dovere del comico attaccare il governo. Ma non è dovere del governo attaccare i comici. E’ innaturale. E il comico si cerca l’uscita che gli piace. E’ come l’amore. Non si può costringere qualcuno a farsi beffe di una certa persona. O ci si innamora, o non ci si innamora. E io amo Berlusconi. Mi piace. All’estero però viene spesso sopravvalutato. Berlusconi è un pagliaccio, una figura della Commedia dell’Arte, una farsa. Non è Citizen Kane. In Italia basta che io dica: Silvio Berlusconi! e tutti scoppiano a ridere. Ogni volta che vado in televisione approfitto dell’occasione per prenderlo in giro: Silviuccio, dove ti nascondi? Ti amo!». Quando lei andò alla trasmissione di Celentano Rockpolitik propose a Berlusconi di fare il comico. Gli ascolti ebbero un picco oltre il 60 per cento. Come comico, lei dovrebbe essere grato che esiste Silviuccio! «Sì, ho avuto ascolti da partita di calcio, per questo la mia entrata in scena ha suscitato tanta irritazione. Berlusconi ha poi fatto molti raduni contro quell’episodio». La sua presa in giro di Berlusconi insieme a Celentano dava l’impressione di essere improvvisata. «Il pezzo naturalmente era stato scritto. Abbiamo però provato solo due ore. Era come nella Commedia dell’Arte: la struttura è preparata in precedenza, il resto viene improvvisato. La notte prima ho ancora riscritto il pezzo, in Rai nessuno sapeva che cosa avrei detto». Nell’opposizioni ci sono politici che la ispirano quanto Berlusconi? «Naturalmente ogni tanto prendo in giro anche Prodi e Fassino. Ma Prodi ... Non ci si innamora abbastanza di lui da poterci giocare. O uno ha una figura ridicola, oppure deve avere davvero tanto potere. Mussolini. Già il nome di Berlusconi preannuncia un clown». Un clown che si fa le sue leggi. «Non ho nulla contro Berlusconi come persona. E’ il suo stile a essere spaventoso. Nei cinque anni del suo governo ha fatto solo le cose che voleva fare. Adesso basta. Pietà!». Alla fine del suo spettacolo con Celentano lei, alludendo alla coalizione di Berlusconi, gridò: spogliati, questa è la Casa della Libertà! Poi si spogliò fino alle mutande e ballò con Celentano. «Sì, ed è stato meraviglioso». Anche nel suo ultimo film, "La tigre e la neve" la si vede con un paio di enormi mutande. Sono il suo marchio di fabbrica? «Quelle bianche? Naturalmente sono un po’ troppo grandi. In privato ne porto di più piccole. Vuole che gliele faccia vedere?» No, non è necessario. «Quelle del film sono ovviamente un paio speciale. Mutande di sicurezza. Che non possono cadere». I suoi film sono molto pudichi. C’è sempre l’amore sublime che tutto vince. Non il sesso. «Sicuro che c’è, il sesso! Senza sesso non c’è storia. Sì, il sesso! I miei eroi hanno sempre uno spaventoso desiderio di amore! Non vogliono solo parlare l’uno con l’altro, non vogliono l’amore platonico ma l’amore nel senso che ci si spoglia e si ama con il corpo. Tre volte al giorno! Questa è la grandezza del vero amore. Un amore biblico, un erotismo che diventa religione. Santo e meraviglioso. E vero. Molto sesso! Non esiste commedia senza sesso. Anche in questo film si sente il desiderio. Il film ne è pieno». E’ però anche un film ambientato nella guerra in Iraq. Lei voleva fare un film contro la guerra? «Innanzitutto volevo fare un film sull’amore. Su di un uomo che ama una donna, che per lui è tutta la vita. Ma lei non lo sa». Il tema della sua vita. «Conquistarsi l’amore! Diventare degno dell’amore della donna!». Il suo protagonista viene piuttosto maltrattato dalla donna. «Sì, ma questo dipende dal fatto che c’era stata una storia con un’altra. E la donna non riesce a dimenticare. Nel mio film si vede come occorre superare molte prove per essere degni dell’amore. Come nelle fiabe. Come in tutti i grandi romanzi. Oggi purtroppo lo si è un po’ dimenticato». Lei avrebbe potuto ambientare questa storia anche in un’altra realtà. Perché proprio la guerra in Iraq? «Perché è presente nella nostra quotidianità, nei nostri sogni, alla radio, nel subconscio, nelle conversazioni. Occorre coraggio per sciogliere la realtà, per rendere tollerabile l’intollerabile. Nulla d’altro fa l’artista: guardare in faccia la realtà e andare oltre l’intollerabile. Il comico non è solo uno che fa ridere, è anche uno che corre un rischio. Occorre una certa intrepidezza per farlo. Trasferire un corpo comico in una situazione tragica». Per un pelo l’eroe non è stato ucciso da un’enorme bandiera della pace. «Sì, il movimento per la pace è certamente meritorio, ma ogni tanto occorre potersi fare beffe anche del pacifismo incondizionato, della tolleranza dell’intolleranza». In "La tigre e la neve" ci sono continue citazioni di poesie. In Italia, da quando ha letto in televisione la Divina Commedia, lei è famoso anche come specialista di Dante. E da qualche parte ho letto che lei apprezza il poeta barocco tedesco Angelus Silesius. Tranne lei, probabilmente lo conoscono solo gli studenti di germanistica. «Ah! Angelus Silesius! Già solo il nome è un verso! Angelo della Slesia! Uno splendido poeta mistico! (Benigni recita a memoria alcuni versi in tedesco: la rosa non ha spiegazione/fiorisce perché fiorisce). Silesius ha scritto anche splendide prose. Riflessioni su Dio. Meravigliose». Come l’ha trovato? «Leggo liriche da quando in Toscana improvvisavo stornelli. Tasso e Ariosto - una bellissima metrica - poi Dante. Più tardi a Roma, quando diventai amico della famiglia Bertolucci, con Giuseppe, Bernardo e il loro padre Attilio, fu Attilio ad avvicinarmi ancora di più alla poesia. Era uno dei maggiori poeti italiani e io avevo una paura terribile di lui. Paura che vedesse subito quanto poco conoscevo la poesia. Mi ha molto aiutato». Lei in televisione ha recitato non solo Dante, anche la Bibbia. «Poco tempo fa a Cinecittà ci fu un incontro di vescovi. Ero stato invitato a parlare della Madonna. Il vescovo di Cinecittà è meraviglioso. Mi aveva chiesto: passa un momento e parla dell’amore. Così ho raccontato l’amore ai vescovi. Naturalmente ho anche parlato di Berlusconi, perché pensa di essere come Gesù Cristo. Così ho detto: Sono venuto a parlare della Vergine Maria, la madre di Berlusconi». Che cosa ha detto ai vescovi sull’amore? «Naturalmente era l’amore di cui si parla nel Vangelo». Ah! «La concezione cristiana dell’amore. Il Cantico dei Cantici. Salomone». Lei è un prete mancato. «E’ vero. Ma in seminario ci sono stato solo due mesi». E per di più è nato in un paese che si chiama La Misericordia. Non era destino che si facesse prete? «I gesuiti vennero a casa nostra e mi chiesero se sentivo qualcosa. Una vocazione. Io risposi: sì, sento qualcosa. I gesuiti dissero: vieni da noi domani. I miei genitori erano poveri e ovviamente mi mandarono subito a Firenze nel seminario. Poco dopo ci fu la grande alluvione, quella del 1966, e io me la svignai. Per due mesi girai la Toscana con un circo. Poi un prete mi piazzò in una scuola femminile. Una scuola per segretarie. Nella mia classe c’erano 33 ragazze e 3 maschi». E a casa tre sorelle. «E dormivano tutti insieme nello stesso letto». Non è nociva, una tale overdose di donne? «Per me le donne sono la corona della creazione! E’ grazie a voi donne che siamo qua!». Per fortuna lei non si è fatto prete. «Anche come prete avrei pensato così. E avrei amato le stesse donne». Lei è cresciuto in Toscana in un’epoca in cui più della metà degli elettori votavano comunista. Sarebbe potuto diventare anche segretario locale del Pci. «Non sono mai stato in un partito. La vera impronta me l’hanno data i vecchi partigiani, nel paese e a casa. Per me erano eroi omerici. Hanno rischiato la vita per la nostra libertà! Tutti erano di sinistra, in un modo molto romantico. E tutti erano contro i russi. Non si voleva l’uguaglianza. Si voleva solo un po’ meno disuguaglianza. Mi ricordo ancora che una volta, nel mio paese, il Pci prese il 53 per cento dei voti. Ed ecco tutti a dire: compagni, siamo troppi! Avevano paura di essere troppi! Attribuivano un grande valore alla democrazia. Mio padre amava i vecchi partigiani: Pertini, Nenni, Berlinguer. ”Le gente perbene”, come si diceva. Comunque non sono mai andato a una dimostrazione o una riunione di partito». Petra Reski