La Repubblica 01/03/2006, pag.1-44 Alessandro Baricco, 1 marzo 2006
Cari critici ho diritto a una vera stroncatura. La Repubblica 1 marzo 2006. Questo è un articolo che non dovrei scrivere
Cari critici ho diritto a una vera stroncatura. La Repubblica 1 marzo 2006. Questo è un articolo che non dovrei scrivere. Lo so. Me lo dico da me. E lo scrivo. Dunque. La scorsa settimana, su queste pagine, esce un articolo di Pietro Citati. Racconta quanto lo ha deliziato mettersi davanti al televisore e vedere i pattinatori-ballerini delle Olimpiadi. Lo deliziava a tal punto – scrive – che «dimenticavo tutto: le noie, le mediocrità, gli errori della mia vita; dimenticavo perfino l´Iliade di Baricco, e la vasta e incomprensibile ottusità dei volti di Roberto Calderoli e di Alfonso Pecoraro Scanio». Io ero lì, innocente, che mi leggevo con piacere l´esercizio di stile sull´argomento del giorno e, trac, mi arriva la coltellata. Va be´, dico. E, giusto per mite rivalsa, lascio l´articolo e vado a leggermi l´Audisio. Qualche giorno dopo, però, vedo sull´Unità un lungo articolo di Giulio Ferroni sull´ultimo libro di Vassalli. Bene, mi dico. Perché mi interessa sapere cosa fa Vassalli. Malauguratamente, alcuni dei racconti che ha scritto sono sul rapporto tra gli uomini e l´automobile. Mentre leggevo la recensione sentivo che finivamo pericolosamente in area Questa storia (il mio ultimo romanzo, che parla anche di automobili). Con lo stato d´animo dell´agnello a Pasqua vado avanti temendo il peggio. E infatti, puntuale, quel che mi aspettavo arriva. Al termine di una lunghissima frase in cui si tessono (credo giustamente) elogi a Vassalli, arriva una bella parentesi. Neanche una frase, giusto una parentesi. Dice così: «Che distanza abissale dalla stucchevole e ammiccante epica automobilistica dell´ultimo Baricco!». E voilà. Con tanto di punto esclamativo. Ora, nessuno è tenuto a saperlo, ma Citati e Ferroni sono, per il loro curriculum e per altre ragioni per me più imperscrutabili, due dei più alti e autorevoli critici letterari del nostro paese. Sono due mandarini della nostra cultura. Per la cronaca, Citati non ha mai recensito la mia Iliade, e Ferroni non ha mai recensito Questa storia. Il loro alto contributo critico sui miei due ultimi libri è racchiuso nelle due frasette che avete appena letto, seminate a infarcire articoli che non hanno niente a che vedere con me. un modo di fare che conosco bene, e che è piuttosto diffuso, tra i mandarini. Si aggirano nel salotto letterario, incantando il loro uditorio con la raffinatezza delle loro chiacchiere, e poi, con un´aria un po´ infastidita, lasciano cadere lì che lo champagne che stanno bevendo sa di piedi. Risatine complici dell´uditorio, deliziato. Io sarei lo champagne. Potrei dire che non me ne frega niente. Ma non è vero. Mi ferisce poco la gomitata assestata a tradimento, ma mi offende molto il fatto che sia tutto ciò di cui sono capaci. Mi sorprende il loro sistematico sottrarsi al confronto aperto. La critica è il loro mestiere, santo iddio, che la facciano. Cosa sono queste battutine trasversali messe lì per raccogliere l´applauso ottuso dei fedelissimi? Vi fa schifo che uno adatti l´Iliade per una lettura pubblica e lo faccia in quel modo? Forse è il caso di dirlo in maniera un po´ più argomentata e profonda, chissà che ci scappi una riflessione utile sul nostro rapporto con il passato, chissà che non vi balugini l´idea che una nuova civiltà sta arrivando, in cui l´uso del passato non avrà niente a che fare con il vostro collezionismo raffinato e inutile. E se trovate così stucchevole un libro che centinaia di migliaia di italiani si affrettano a leggere, e decine di paesi nel mondo si prendono la briga di tradurre, forse è il caso di darsi da fare per spiegare a tutta questa massa di fessi che si stanno sbagliando, e che la letteratura è un´altra cosa, e che a forza di dare ascolto a gente come me si finirà tutti in un mondo di illetterati dominati dal cinema e dalla televisione, un mondo in cui intelligenze come quelle di Citati e Ferroni faranno fatica a trovare uno stipendio per campare. Si dirà che è un diritto dei critici scegliersi i libri di cui scrivere. E che anche il silenzio è un giudizio. E´ vero. Ma non è completamente vero. Lo so che per persone intelligenti e colte come Citati e Ferroni i miei libri stanno alla letteratura come il fast-food alla cucina francese, o come la pornografia all´erotismo. Per usare una frase di Vonnegut che mi fa sempre tanto ridere, mi sa che per loro i miei libri, nel loro piccolo, stanno facendo alla letteratura quello che l´Unione Sovietica ha fatto alla democrazia (non si riferiva a me, Vonnegut, che purtroppo non sa nemmeno che esisto). Ma quale arroganza intellettuale può indurre a pensare che non sia utile capire una degenerazione del genere, e magari spiegarla a chi non ha gli strumenti per comprenderla? Come si fa a non intuire che magari i miei libri sono poca cosa, ma lì i lettori ci trovano qualcosa che allude a un´idea differente di libro, di narrazione scritta, di emozione della lettura? Perché non provate a pensare che esattamente quello - una nuova, sgradevole, discutibile idea di piacere letterario - è il virus che è già in circolo nel sistema sanguigno dei lettori, e che magari molta gente avrebbe bisogno da voi che gli spiegaste cos´è questo impensabile che sta arrivando, e questa apparente apocalisse che li sta seducendo? Non sarà per caso che la riflessione nel campo aperto del futuro vi impaurisce, e che preferite raccogliere consensi declinando da maestri mappe di un vecchio mondo che ormai conosciamo a memoria, rifiutandovi di prendere atto che altri mondi sono stati scoperti, e la gente già ci sta vivendo? Se quei mondi vi fanno ribrezzo, e la migrazione massiccia verso di loro vi scandalizza, non sarebbe esattamente vostro degnissimo compito il dirlo? Ma dirlo con l´intelligenza e la sapienza che la gente vi riconosce, non con quelle battutine, please. Per quello che ne capisco, i miei libri saranno presto dimenticati, e andrà già bene se rimarrà qualche memoria di loro per i film che ci avranno girato su. Così va il mondo. E comunque, lo so, i grandi scrittori, oggi, sono altri. Ma ho abbastanza libri e lettori alle spalle per poter pretendere dalla critica la semplice osservanza di comportamenti civili. Lo dico nel modo più semplice e mite possibile: o avete il coraggio e la capacità di occuparvi seriamente dei miei libri o lasciateli perdere e tacete. Le battute da applauso non fanno fare una bella figura a me, ma neanche a voi. Ecco fatto. Quel che avevo da dire l´ho detto. Adesso vi dico cosa avrei dovuto fare, secondo il galateo perverso del mio mondo, invece che scrivere questo articolo. Avrei dovuto stare zitto (magari distraendomi un po´ ripassando il mio estratto conto, come sempre mi suggerisce, in occasioni come queste, qualche giovane scrittore meno fortunato di me), e lasciar passare un po´ di tempo. Poi un giorno, magari facendo un reportage su, che ne so, il Kansas, staccare lì una frasetta tipo «questi rettilinei nella pianura, interminabili e pallosi come un articolo di Citati». Il mio pubblico avrebbe gradito. Poi, un mesetto dopo, che so, andavo a vedere la finale di baseball negli Stati Uniti, e avrei sicuramente trovato il modo di chiosare, in margine, che lì si beve solo birra analcolica, «triste e inutile come una recensione di Ferroni». Risatine compiacenti. Pari e patta. E´ così che si fa da noi. Pensate che animali siamo, noi intellettuali, e che raffinata lotta per la vita affrontiamo ogni giorno nella dorata giungla delle lettere... Purtroppo però non è andata così. Il fatto è che l´altro giorno ho visto il film su Truman Capote. Si impara sempre qualcosa spiando i veri grandi. Lui in quel film è così orrendo, spregevole, sbagliato, megalomane, imprudente, indifendibile. Mi ha ricordato una cosa, che talvolta insegno perfino a scuola, e che però mi ostino a dimenticare. Che il nostro mestiere è, innanzitutto, un fatto di passione, cieca, maleducata, aggressiva e vergognosa. Posa su una autostima delirante, e su un´incondizionata prevalenza del talento sulla ragionevolezza e sulle belle maniere. Se perdi quella prossimità al nocciolo sporco del tuo gesto, hai perso tutto. Scriverai solo cosette buone per una recensione di Ferroni (no, scherzo, davvero, è uno scherzo). Scriverai solo cosette che non faranno male a nessuno. Insomma è tutta colpa di quel film su Truman Capote. D´improvviso mi è sembrato così falso starmene lì, come una bella statuina, a prendere sberle dal primo che passa. E´ una cosa che non c´entra niente col mestiere che è il mio. Vedi, se me ne stavo a casa a vedere Lazio-Roma, oggi eravamo tutti più sereni e tranquilli. E penosi, of course. Alessandro Baricco