La Stampa 22/02/2006, pag.8 Francesco La Licata, 22 febbraio 2006
Sempre inseguito dal fantasma di Calvi. La Stampa 22 febbraio 2006. Roma. Paul Casimir Marcinkus è morto in un’anonima parrocchia dell’Arizona, senza aver mai voluto aprire il lungo libro dei misteri che hanno fatto di lui uno dei protagonisti del «giallo» infinito sul finto suicidio del banchiere Roberto Calvi, ultimo atto di una vicenda politico-finanziaria che affonda le proprie radici nel crack del Banco Ambrosiano dell’inizio degli Ottanta
Sempre inseguito dal fantasma di Calvi. La Stampa 22 febbraio 2006. Roma. Paul Casimir Marcinkus è morto in un’anonima parrocchia dell’Arizona, senza aver mai voluto aprire il lungo libro dei misteri che hanno fatto di lui uno dei protagonisti del «giallo» infinito sul finto suicidio del banchiere Roberto Calvi, ultimo atto di una vicenda politico-finanziaria che affonda le proprie radici nel crack del Banco Ambrosiano dell’inizio degli Ottanta. Uno scandalo popolato da una umanità variegata - finanzieri, mafiosi, camorristi, massoni, affaristi e spioni - che nulla avrebbe dovuto avere a che fare con lui, presidente dello Ior (la Banca Vaticana) ed organizzatore dei viaggi papali. E invece no, nessuno si ricorderebbe ora di Marcinkus se non avesse avuto alle spalle quel macigno dell’intreccio economico con il «peggio» della finanza italiana: da Sindona a Calvi, a Ortolani. Da qualche anno era uscito di scena e vedremo con quanta fatica e quali accadimenti. Ma non si era ancora lasciato alle spalle l’abbraccio mortale del fantasma di Calvi. Marcinkus figurava nella lista dei testi da sentire al processo attualmente in corso a Roma sulla messinscena del Ponte dei Frati Neri di Londra, dove fu rappresentato il falso suicidio del «Banchiere di Dio», così chiamato proprio per la sua vicinanza con Marcinkus e con i soldi del Vaticano. Il pm, Luca Tescaroli (che ha ereditato il lavoro investigativo degli anni passati, soprattutto quello del giudice Mario Almerighi) ora si chiede «se non si sia persa l’ennesima occasione per tentare di strappare a Marcinkus i suoi segreti». C’è il ragionevole sospetto, e la storia del vescovo finanziere ne è testimonianza, che difficilmente avrebbe aperto bocca. Se, infatti, una dote - anche post mortem (quindi senza nessun intento di ”captatio benevolentiae) - viene riconosciuta a Marcinkus negli ambienti del Vaticano di oggi, è la «sobrietà e la riservatezza» con cui l’«ex potente» ha subìto la «sovraesposizione del proprio ruolo» senza perdere l’attitudine al silenzio. Dote, ovviamente, «non disgiunta» dall’altra - l’umiltà - per aver saputo ubbidire accettando di entrare nel cono d’ombra. Eppure non deve essere stato facile, il suo ruolo. Non deve essere stato agevole navigare tra i gorghi vorticosi della finanza. Specialmente se, come è accaduto spesso a Marcinkus, da «presidente di un Ente centrale della Chiesa», qual era lo Ior, si è imbattuto in personaggi discutibili. Accadeva già all’inizio degli Anni Settanta, quando il prete americano vendette la Banca cattolica del Veneto proprio a Roberto Calvi, suscitando il risentimento dell’allora Patriarca di Venezia, Luciani, poi divenuto Papa Giovanni Paolo I. Già, Luciani, Papa per poche settimane, stroncato da una morte improvvisa, incredibilmente improvvisa. Si dirà che tra i progetti di Giovanni Paolo c’era quello di ridimensionare Marcinkus. A quel Papa si era rivolto il settimanale «Il Mondo» chiedendo: «E’ giusto che il Vaticano operi sui mercati come un agente speculatore?». Era la gestione dello Ior sott’accusa, con tutto quello che conteneva il processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano che coinvolgeva la finanza del Vaticano in seguito sospettata di complicità nelle «disinvolte operazioni» di Roberto Calvi (riciclaggio?) e, quindi, costretta al peggio per recuperare le perdite dell’Ambrosiano. Ma il feeling col «banchiere di Dio» durava da troppo tempo. Era il 1971 quando i due, insieme con un Michele Sindona in fase di espansione, fondavano la Cisalpine Overseas Bank con un notevole «aiuto» dell’Ambrosiano: 240 milioni di dollari, poi divenuti (nel 1977) 465,9 milioni. Gli ispettori della Banca d’Italia, chiamati ad indagare, non riusciranno ad individuare l’origine dell’enorme cifra movimentata dall’Ambrosiano e dalle consociate: rimarranno sconosciuti gli «elargitori» di ben 211,9 milioni di dollari. Poi Sindona cadrà in disgrazia con tutto quello che sappiamo: il finto sequestro, le indagini e la scoperta di Licio Gelli e della P2. Il «bancarottiere di Patti» travolto, braccato persino dagli «amici» di Cosa nostra, il tentativo di salvarsi affidato all’invocato intervento di Giulio Andreotti e al minacciato ricorso all’uso della famosa «lista dei 500». Lista che, secondo il generale Delfino, teste al processo di oggi, era contenuta nella borsa che Calvi aveva con sè a Londra, insieme coi documenti di garanzia di Marcinkus, quelle «lettere di patronage» firmate dal vescovo in cambio della dichiarazione con cui Calvi - scrivono i giudici - «libera la Banca vaticana dall’impegno in qualsiasi affare precedentemente trattato entro il giugno 1982». Nessuno, nè Calvi nè Marcinkus, riuscirà a mantenere le promesse e il presidente dello Ior sarà costretto a «mollare» Calvi, forse accelerandone la fine. Il sospetto dei magistrati, oggi, è infatti che il «banchiere di Dio» muore perché - è la tesi dei magistrati - rimasto solo a fronteggiare l’offensiva degli amici malavitosi che gli chiedevano «il conto» dei soldi affidatigli. Eppure chi «assolve» Marcinkus è portato a credere, forse troppo sbrigativamente, che il vero errore del presidente dello Ior fu proprio quello di aver firmato le garanzie a Calvi. Di diverso avviso i magistrati che hanno indagato sulla bancarotta dell’Ambrosiano. Per i vertici dello Ior fu chiesto l’arresto ma una sentenza della Cassazione (1987) salvò Marcinkus, Luigi Mennini e Pellegrino de Stroebel con la motivazione che «gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza dello Stato italiano». Si chiudeva così l’incredibile storia del coinvoglimento dello Ior nello scandalo della bancarotta dell’Ambrosiano di Roberto Calvi. In modo molto più cruento si concludeva la vicenda del «banchiere di Dio», trovato appeso al ponte dei Frati Neri di Londra, alle 7,30 del 18 giugno del 1982. Di quella fine atroce, in qualche modo Marcinkus ha portato il fardello di una sorta di responsabilità morale. Già all’epoca del primo arresto, quel 20 maggio 1981 coincidente con la retata per la P2, Roberto Calvi cerca aiuto in Vaticano e affida ad un funzionario dello Ior un bigliettino per il presidente: «Questo processo si chiama Ior». Gelida la risposta: «Questo nome non deve essere pronunciato nemmeno in confessionale». Ci sono già i primi sintomi di un tentativo di ricatto verso le «alte sfere di San Pietro». Gli altri saranno tentativi espliciti, sotto forma di missive a cardinali e persino a Papa Giovanni Paolo II. Il 30 maggio 1982 scrive al cardinal Palazzini lamentando che «Marcinkus e il dr. Mennini continuano a rifiutarmi ogni contatto...». Poi cerca di tirare dentro Casaroli e Mons. Silvestrini: «Eppure costoro sanno che io so». Ma cosa dovrebbe sapere, Calvi? Lo si intuisce dalla lunga lettera inviata al Papa il 5 giugno del 1982 (ritrovata tra le «cose vendute» da Carboni a mons. Hnilica, altri protagonisti dell’inchiesta sulla morte di Calvi). Il «banchiere di Dio» si rivolge al Santo Padre definendolo «mia ultima speranza». Calvi rivendica, mettendo Marcinkus in cattiva luce, di essere stato l’unico ad essersi «addossato il pesante fardello degli errori, nonchè delle colpe commessi dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora ne subisco le conseguenze...». Poi entra nel vivo: «Sono stato io che, su preciso incarico di Suoi autorevoli rappresentanti ha disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi ed associazioni politico-religiosi dell’Est e dell’Ovest...». Vale a dire il sostegno alla lotta antocomunista di Solidarnosc e dei sandinisti in Nicaragua. Tutto questo avrebbero voluto chiedere a Marcinkus, in magistrati di Roma. Ma la verità sarà seppellita con lui. Francesco La Licata