TuttoScienze La Stampa 23/02/2006, 23 febbraio 2006
1,2,3,5
TuttoScienze La Stampa 23 febbraio 2006. Il Faro di Alessandria era costituito da una base quadrata sulla quale appoggiava un secondo piano con pianta ottagonale alto la metà della base, che a sua volta sosteneva il terzo e ultimo piano, a pianta circolare, alto la metà del secondo.
Gli stessi rapporti si ritrovano nelle statue che decoravano la porta del faro. Queste erano di quattro misure. Le statue più piccole erano alte 2,1 metri - lo standard della rappresentazione umana presso gli Egizi. Quella immediatamente più grande - un unico esemplare che rappresentava una figura maschile - raggiungeva i 4,2 metri. Le seguenti (due coppie di statue) toccavano i 6,3 e le più alte (una coppia) i 10,5. Fatta uguale a uno l’altezza delle statue più piccole, l’altezza delle altre si ottiene moltiplicando questa misura-base per 2, per 3 e per 5.
Non sono numeri casuali. Sia la struttura del faro sia le altezze delle statue riproducono l’inizio della «serie di Fibonacci», nella quale ogni numero è la somma dei due precedenti: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55<sum> Superati i primi passi della sequenza, se si divide un qualsiasi numero della serie per quello che lo precede, si ottiene un rapporto intorno a 1,6. Salendo nella serie, si vede che questo numero ha infinite cifre decimali non periodiche e che corrisponde al rapporto della «sezione aurea».
Fibonacci (da «figlio dei Bonacci», ma il vero nome era Leonardo da Pisa), dopo aver accompagnato suo padre, funzionario delle dogane, nella città araba di Bugia (oggi in Algeria), con il suo «Liber abaci», pubblicato nel 1202, introdusse in Occidente i numeri arabo-indiani che ancora usiamo. Sempre nel «Liber abaci» Fibonacci applica la serie numerica che lo avrebbe reso celebre al calcolo della discendenza di una coppia di conigli.
In realtà il rapporto dei numeri di Fibonacci si ritrova in moltissimi aspetti della natura. Tanto per fare qualche esempio, in botanica seguono la serie di Fibonacci la disposizione dei petali delle rose, i «bottoni» del fiore di girasole, la distribuzione dei semi nel cuore delle mele, la struttura esterna dell’ananas. In zoologia il caso più noto di rappresentazione della sezione aurea è la spirale della conchiglia del Nautilus. Ma lo stesso rapporto si riconosce persino nelle spirali delle galassie e nella struttura dell’universo a grande scala.
Dove poi la serie di Fibonacci e la sezione aurea trionfano è nel mondo dell’arte, dalla musica alla pittura all’architettura.
Il primo artista ad applicare quel rapporto fu il celebre scultore greco Fidia, vissuto tra il 490 e il 430 avanti Cristo. Per questo all’inizio del secolo scorso il matematico americano Mark Barr propose di indicarlo con la lettera greca Fi. Il Partenone riflette approssimativamente il rapporto aureo, e così pure la Madonna in Gloria di Giotto e la Vergine delle Rocce di Leonardo. Non si salvano neppure i moderni: Mondrian imposta sulla sezione aurea il quadro Broadway Boogie-Woogie. Un cultore della sezione aurea fu Le Corbusier (1887-1965), forse il più famoso architetto del secolo scorso.
Con l’arrivo dei computer è diventato facile calcolare un gran numero di cifre decimali di Fi: già nel dicembre 1966, in mezz’ora, un computer che oggi ci apparirebbe estremamente rudimentale raggiunse i 10 milioni di cifre oltre la virgola. Fermandoci alle prime 10 cifre decimali, il suo valore è 1,6180339884. Questo è anche il rapporto tra le due parti di un segmento suddiviso in modo tale che la parte maggiore sta alla minore come la maggiore sta all’intero segmento. E’ la sezione aurea, già definita da Euclide. Ma per scoprire la stretta parentela tra il numero Fi e la sezione aurea bisognerà aspettare il 1611 e quello straordinario miscuglio di razionalità e superstizione che fu Keplero.
P.B.