Varie, 2 marzo 2006
Tags : Giulio Salierno
Salierno Giulio
• Roma 25 febbraio 1935, Roma 27 febbraio 2006. Sociologo • «[...] professore di sociologia presso l’Università di Teramo, autore di famosi libri sul sistema carcerario, come il celeberrimo Il carcere in Italia (in collaborazione con Aldo Ricci, Einaudi) [...] Fuori margine (Einaudi, 2001), ma anche di altri testi come La spirale della violenza (De Donato, 1969), La repressione sessuale nelle carceri italiane (Tattilo, 1973), Il sottoproletariato in Italia (Samonà e Savelli, 1977), è stato - a partire da un punto di svolta decisivo della sua vita, intensa, complessa e drammatica - un vero ”intellettuale organico”. Non solo, o non tanto, nel senso classicamente gramsciano del termine secondo cui un intellettuale si volge alla sua classe di appartenenza o di predilezione etico-politica e ne traduce in termini concettuali e sistematici i bisogni e le passioni, dando loro coerenza e forza di organizzazione. Ma nel senso [...] ben più autentico e attuale, di un intellettuale il cui pensiero è organico alla carnalità e all’esperienza corporea ed affettiva, diretta e immediata, della propria stessa vita. L’intellettualità di Salierno non è stata mai un riflettere, dall’esterno, sulla vita di altri, ma è sempre stata una sorta di autochiarificazione, che attingeva temi, problemi, progetti, dal travaglio delle sue passioni, dei suoi incontri, delle socialità in cui di volta in volta la sua vita incappava. stato un uomo di forza, Salierno, di forza fisica e passionale, a partire da tutto ciò che ha compiuto e attraversato nella prima fase della sua vita, descritta in un libro altrettanto celebre qual è stato Autobiografia di un picchiatore fascista (Einaudi, 1976). Il pugilato, le squadraccie fasciste della capitale del dopoguerra, il coinvolgimento in un omicidio, la fuga nella Legione straniera, il carcere prima in Francia e poi in Italia. Ma uomo di forza, che attraverso la durissima esperienza carceraria, è stato capace di elaborare e piegare il suo eccesso emotivo nel verso di una forza che si fa a un certo punto intelletto e parola: discorso che riesca a dire, su un piano di comunicazione quanto più vasto possibile, la propria vita e, insieme, quella di tutti gli altri esseri umani incontrati in un esperire comune, di sofferenze e talora anche di gioie. Così la seconda vita di Giulio Salierno, che ne fa un protagonista del ”68 e di quanto di meglio accade nell’Italia degli anni ”70 e ”80 sul piano dell’antiautoritarismo e della critica delle istituzioni repressive, è dedicata alla sociologia dell’universo carcerario. Le cui strutture e la cui funzione di fondo sono state così sintetizzate negli studi, nelle inchieste, nei libri, nelle piéces teatrali che hanno animato la sua sociologia ”in presa diretta”. Il carcere è un luogo di scissione e segregazione dalla vita sociale, il quale, per tale carattere astratto e separato, non può che essere esso, a sua volta, principio di violenza e di produzione di un’umanità patologica. La violenza, sotto forma di legge, è per Salierno il fondamento intrinseco dell’istituzione carceraria, riprodotta come tale tra le gerarchie, la diversità di ruolo e di comando tra gli stessi detenuti. Le proposte di riforma e di miglioramento della vita carceraria non possono intaccarne tale principio costituzionale, fondato sulla separatezza, e si fanno così partecipi della mistificazione del ceto politico in generale e delle diverse burocrazie che hanno a che fare con l’istituzione carceraria, che si coprono dietro la retorica del recupero, della redenzione e della risocializzazione. Anche il migliore e più avanzato dei carceri, per quanto costruito secondo parametri progressivi, dopo un po’ diventa necessariamente un inferno. invece sull’’altrove”, per Salierno, sulla società civile che bisogna intervenire, modificando la durata eterna dei processi e della carcerazione ad essi connessa, abolendo le leggi restrittive sugli stupefacenti, visto che le carceri sono piene di tossicodipendenti, regolamentare, diversamente dalla Turco-Napolitano e dalla Bossi-Fini, la legge sull’immigrazione, dato che il 30% dei reclusi oggi sono stranieri. E soprattutto incidere sulla disoccupazione e ristrutturare intere periferie urbane. In una sorta di singolare analogia con Michel Foucault, da cui lo hanno diviso origine di classe e formazione culturale, Salierno - da noi forse più in maggiore confidenza con l’opera di Franco Basaglia - ha inoltre ben percepito e definito la funzione simbolica che l’istituzione chiusa del carcere svolge a favore della vita cosiddetta civile e normale: una funzione di capro espiatorio, di espulsione-proiezione, attraverso la quale la società normale espelle da sé tutte le sue contraddizioni, il negativo, il male, facendone unici attori e testimoni i membri dell’universo segregazionario. Di tutto ciò, come si diceva, Giulio Salierno ha parlato e concettualizzato ”a viva voce”: da proletario a intellettuale. E proprio per questo tutti gli amici e i compagni che lo hanno conosciuto non potranno che ricordarlo, fissandone l’immagine nello sforzo sofferto, ma prezioso e generoso, casomai tra un bicchiere di vino e un piatto di bucatini all’amatriciana, di tradurre la vita ignota e invisibile di molti in rappresentazione e umanità visibile e accessibile ai più. [...]» (’il manifesto” 1/3/2006).