La Repubblica 22/02/2006, pag.18 Giampiero Martinotti, 22 febbraio 2006
Verdun, l’orgoglio della Francia. La Repubblica 22 febbraio 2006. Parigi. L’ immagine ha fatto il giro del mondo ed è in tutti i libri di storia: di fronte al monumento ai morti di Verdun, Francois Mitterrand tende la mano a Helmut Kohl
Verdun, l’orgoglio della Francia. La Repubblica 22 febbraio 2006. Parigi. L’ immagine ha fatto il giro del mondo ed è in tutti i libri di storia: di fronte al monumento ai morti di Verdun, Francois Mitterrand tende la mano a Helmut Kohl. Il presidente e il cancelliere restano a lungo impietriti, mano nella mano, a testimoniare l’ orrore comune davanti a uno dei più grandi massacri della storia europea. Era il 22 settembre 1984, e ancora oggi il nome di Verdun evoca Oltralpe la tragedia della Grande Guerra, costata al Paese un milione 350 mila morti e più di tre milioni e mezzo di feriti. Ieri, novantesimo anniversario dell’ inizio della battaglia, un concerto nella cattedrale ha dato il via alle commemorazioni, che dureranno dieci mesi, come i combattimenti del 1916. Ancora oggi, tutta la zona attorno a Verdun porta le stigmate di quella carneficina. Jacques Chirac verrà in giugno per inaugurare il monumento dedicato ai musulmani della Grande Guerra, i giovani delle colonie spediti al fronte per difendere un paese che non era il loro. Nei cinquecento metri quadrati di terreno su cui è stato costruito sono stati ritrovati ogni dieci centimetri quadrati tre o quattro schegge di ferro, provenienti da obici esplosi o no. L’ ossario di Douaumont, dove si trovano le spoglie di 130 mila soldati senza nome, continua senza soste a ricevere resti umani. Attorno a Verdun nove villaggi non hanno mai ritrovato i loro abitanti. Completamente distrutti, i terreni furono acquistati dallo Stato, che ha mantenuto i loro nomi e la loro esistenza amministrativa per ricordare il sacrificio degli abitanti, partiti in tutta fretta poco prima che cominciassero le ostilità. Dopo la guerra, lo sminamento sarebbe stato di gran lunga più caro del valore dei terreni. Oggi, nove sindaci nominati dai prefetti vegliano su quei paesi: «I nostri comuni non hanno abitanti, ma hanno almeno un’ anima, quella di chi ha versato il suo sangue per liberare la Francia», dice uno di loro. Verdun è uno dei simboli strutturali dell’ identità storica francese. In quella battaglia durata dieci mesi, nei racconti della carneficina fatti dai sopravvissuti, nell’ eroismo di chi era capace di battersi in condizioni inumane non c’ è soltanto la retorica di un’ epopea, ma il riassunto di un episodio chiave nella storia del Paese, la guerra del 14-18. Verdun è la Grande Guerra con i suoi orrori e i suoi eroismi: «Come Auschwitz nella seconda guerra mondiale, Verdun segna, nella Prima, una trasgressione dei limiti della condizione umana», ha scritto lo storico Antoine Prost. La sofferenza dei soldati diventa un simbolo: «L’ Ottocento morente non è ancora il secolo del comfort moderno, né degli svaghi per le masse. Ciò non toglie che una settimana a Verdun è un viaggio al termine della condizione umana, al di là di tutto ciò che si era potuto immaginare». «Chi non ha fatto Verdun non ha fatto la guerra», dicevano già i soldati e ciò spiega perché la battaglia sia diventata sinonimo della guerra intera. E quel conflitto, con i suoi costi umani enormi, è anche una rinascita per la Francia, che ritrova la sua integrità territoriale, strappando alla Germania l’ Alsazia e il dipartimento lorenese della Mosella, perduti dopo la guerra franco - prussiana del 1870. Ma secondo Prost un altro elemento è centrale: Verdun è una battaglia «pacifica», una vittoria difensiva che consiste nell’ esser battuti per impedire ai tedeschi di sfondare e di invadere il Paese. Non è insomma un simbolo di aggressione verso l’ esterno. E tutta la Grande Guerra è così giustificata: «Battersi era pienamente legittimo, poiché si trattava di difendere il suolo patrio; vincere la guerra non significava togliere qualcosa al nemico, ma soltanto restare se stessi.. In Verdun, la Francia trova di se stessa un’ immagine al contempo vittoriosa e pacifica, in cui la Nazione si afferma senza affermarsi contro altri». Ecco dove affondano le radici moderne di quel patriottismo, di quel viscerale attaccamento alla grandeur che tanto caratterizza i francesi quando li si vedono dall’ esterno. Verdun è l’ apogeo del patriottismo, spinto fino al sacrificio in condizioni inumane. Non a caso l’ 11 novembre, data dell’ armistizio del 1918, continua ad essere un giorno festivo, con celebrazioni in tutto il paese. E la Francia conta pazientemente e amorevolmente i decessi degli ultimi poilus, come vengono chiamati i soldati della Grande Guerra: sono rimasti in sei e hanno fra i 107 e i 111 anni. Giampiero Martinotti