Corriere della Sera 25/02/2006, pag.23 Arturo Carlo Quintavalle, 25 febbraio 2006
La vela di Cimabue? Ventimila «coriandoli» Assisi presenta l’affresco che non c’è più. Corriere della Sera 25 febbraio 2006
La vela di Cimabue? Ventimila «coriandoli» Assisi presenta l’affresco che non c’è più. Corriere della Sera 25 febbraio 2006. Cosa resta della vela dipinta da Cimabue nella crociera della Basilica Superiore di Assisi attorno al 1288-90 e crollata col terremoto del 26 settembre 1997? Il confronto fra la foto scattata appena prima del sisma e i pochi resti, in realtà circa 20.000 frammenti, pazientemente ricollocati al loro posto, dimostra che non vi è possibilità di ridisegnare l’immagine che è dunque perduta. Così ecco un problema, che fare di fronte a un dipinto in pratica scomparso ma inserito in un imponente, denso sistema di immagini? Lasciare un enorme triangolo bianco? Giuseppe Basile, cui si deve il complesso recupero delle pitture durato otto anni, ha condotto il più importante restauro del dopoguerra giorno per giorno e di questo lavoro sarà bene ricordare le tappe. Il 26 settembre 1997 il terremoto che colpisce Umbria e Marche danneggia gravemente la Basilica Superiore di Assisi. Crollano due vele nella crociera, quella dipinta da Cimabue con San Matteo e una seconda a stelle su sfondo azzurro; quindi una parte dell’arcone all’ingresso insieme a una vela con San Gerolamo. L’intero sistema della Basilica appare pericolante: le volte della navata sono dissestate e staccate in parte dai muri d’ambito, dunque l’intero edificio è pericolante. Chiunque vi sia entrato subito dopo il disastro ricorda lo spazio vuoto, il suolo della Basilica coperto di detriti spesso mischiati a frammenti di intonaco dipinto. Le operazioni sono complesse: consolidamento del campanile, fissaggio delle volte a parete, sistemazione delle coperture in modo da permettere i lavori di restauro alle parti dipinte. Fuori della Basilica, sul piazzale, in un primo tempo viene sistemato un grande capannone dove si dispongono, usando la tecnica dello scavo archeologico, i frammenti dipinti che vengono man mano recuperati fissandone la posizione, numerandoli e tentando di ricomporre quei pochi resti che in qualche raro caso subito disegnano una forma perduta. Prosegue il restauro e il 29 novembre 1999, appena prima del Giubileo del 2000, si riapre al culto la Basilica Superiore dopo avere consolidato le architetture e restaurati 5000 metri quadrati di affreschi. Resta da completare il lavoro sulle parti di volte crollate e, in particolare, la vela della crociera verso la facciata con il San Gerolamo dipinto da Giotto e la vela di Cimabue col San Matteo. Ma dei 180 metri quadrati di parti dipinte che sono crollate una parte è restituibile, un’altra pone enormi problemi. Il San Gerolamo e gli otto Santi dell’arcone verso la facciata (Rufino, Vittorino, Benedetto, Antonio da Padova, Francesco, Chiara, Domenico, Pietro Martire) possono essere ricollocati grazie all’applicazione di una complessa tecnica di ricomposizione dei frammenti, condotta su una immagine fotografica a colori in scala 1:1 dell’originale, che serve a stabilire la collocazione dei frammenti rimasti tenendo anche conto dei bordi di attacco, ove conservati. E’ il metodo usato da Cesare Brandi per la Cappella Ovetari agli Eremitani di Padova dipinta da Mantegna e altri artisti e distrutta dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale. Dunque il 26 settembre 2002 viene ricollocata la vela del San Gerolamo ricomposta con circa 80.000 frammenti che coprono la metà della superficie di 80 metri quadrati. Per il San Matteo di Cimabue i problemi appaiono subito molto diversi. Infatti del San Matteo resta solo il 20 per cento della pittura originale e per giunta i frammenti sono ai margini del sistema. Il lavoro di riassemblaggio dura dal 12 novembre 2004 al 27 maggio 2005: si discute se musealizzare i frammenti oppure ricostituire gli affreschi perduti ma, alla fine, dopo due seminari internazionali, la decisione assunta è di ricollocare quanto resta della vela onde non mettere in crisi il sistema degli affreschi, di non ricostituire alcuna figura ma abbassare semplicemente il bianco del supporto uniformandolo ai toni dominati delle altre tre vele cimabuesche. L’impresa, che si conclude con l’abbassamento dei toni della vela con San Matteo, durerà fino alla fine di marzo, quindi si toglieranno i ponteggi e la intera Basilica, dopo otto anni di restauri, verrà presentata al pubblico. Questa eccezionale opera di restauro suggerisce altre storie: l’impegno del ministero per i Beni culturali e dei suoi funzionari fin dal giorno dopo il terremoto; la dedizione di decine di studenti del seminario di Beni culturali coordinati da Maria Andaloro (Università di Viterbo) che passano mesi, anni, a ritrovare e ricomporre i frammenti dipinti; la passione dei frati francescani e quella dei restauratori, che agli inizi erano anche 70, poi alcune decine; in tutto circa 160.000 le ore totali di lavoro. Un restauro è anche una serie di conclusioni critiche. Mentre Basile prepara un importante volume di analisi e riflessioni sui restauri di Assisi, come era già accaduto per il restauro della cappella degli Scrovegni di Padova, si deve assumere adesso un’altra importante iniziativa: creare, negli spazi del Sacro Convento un museo dove conservare i frammenti non ricollocati e illustrare analiticamente il restauro compiuto. Fra le tante onorificenze che si distribuiscono nel nostro Paese una specifica si dovrebbe offrire a tutti coloro che hanno dato tanto perché il luogo da cui origina l’arte moderna dell’Occidente tornasse a essere spazio vissuto civilmente da tutti e non una amara rovina. E parlo proprio dei restauratori e dei soprintendenti, dei carabinieri del nucleo di tutela, dei frati del Sacro Convento e degli studenti che ho visto all’opera, appena dopo il terremoto e per tutti questi anni. Arturo Carlo Quintavalle