Corriere della Sera 28/02/2006, pag.37 Sergio Romano, 28 febbraio 2006
Chicago 1952: come fu eletto il generale Eisenhower. Corriere della Sera 28 febbraio 2006. Seguo con interesse l’attuale campagna elettorale, l’atteggiamento dei partiti, le contraddizioni dei partiti nelle coalizioni, i dibattiti, le reciproche denunce
Chicago 1952: come fu eletto il generale Eisenhower. Corriere della Sera 28 febbraio 2006. Seguo con interesse l’attuale campagna elettorale, l’atteggiamento dei partiti, le contraddizioni dei partiti nelle coalizioni, i dibattiti, le reciproche denunce. Approfittando della sua esperienza, posso permettermi di chiederle di raccontarci di una campagna elettorale a cui lei ha partecipato da spettatore estero? Renato Malgaroli Caro Malgaroli, la prima campagna elettorale a cui assistetti da spettatore fu quella per le elezioni presidenziali americane del 1952. E fu una «prima» in assoluto, non soltanto per me. Il presidente uscente era Harry Truman, chiamato improvvisamente al vertice dello Stato dopo l’improvvisa morte di Roosevelt nell’aprile del 1945 e confermato nella carica dal voto del 1948. Ma rispetto a quella precedente l’elezione del 1952 presentò una importante differenza. Fu la prima in cui apparve uno strumento nuovo, la televisione, che avrebbe rapidamente cambiato, in tutto il mondo, le regole dello spettacolo elettorale. Vi furono grandi comizi, naturalmente, come quello del generale Eisenhower, che andai ad ascoltare in uno stadio di Chicago. E vi furono, come nelle elezioni precedenti, i treni elettorali che attraversavano il territorio degli Stati Uniti per consentire ai candidati di stringere mani, baciare bambini e farsi vedere dal maggior numero possibile dei loro connazionali. Ma il clou della campagna, il suo momento più teso ed emozionante, fu un evento televisivo. Il protagonista di quell’evento fu Richard Nixon, in coppia con Eisenhower per il posto di vicepresidente. Di Nixon sapevo che era un senatore della California, molto meno fazioso e velenoso di Joseph McCarthy, presidente del Comitato per le attività antiamericane, ma non meno anticomunista. Era quindi una personalità controversa, poco amata dai liberal dell’università di Chicago dove ero approdato da qualche mese con una generosa borsa di studio. La campagna cominciò a diventare calda quando alcuni giornali accusarono Nixon di avere pagato le sue spese elettorali attingendo a un fondo segreto costituito da una influente lobby economica californiana. Il candidato annunciò che si sarebbe difeso e che lo avrebbe fatto di fronte alle telecamere. Ero in un salotto dell’International House, nel campus neogotico dell’università, insieme ad altri 58 milioni di spettatori, quando Richard Nixon apparve sullo schermo. La prima impressione non fu buona. Aveva il viso velato dall’ombra di una fitta barba nera e lineamenti irregolari in cui il naso, la mascella e gli zigomi sembravano «assemblati» un po’ disordinatamente. Ma il suo intervento, non appena cominciò a parlare, fu molto efficace. Rovesciò la difesa in accusa e conquistò la sua assoluzione dichiarando: «Qualsiasi cosa accada continuerò questa battaglia e farò campagna sino a quando saremo riusciti a cacciare da Washington i furfanti e i comunisti che li difendono». Quella elezione fu la prima anche per un’altra ragione. Nei seggi elettorali, spesso installati in abitazioni private, vennero usate grandi macchine elettriche, giganteschi registratori di cassa forniti di tante leve quanti erano i singoli duelli elettorali che si disputavano nella giornata. Poiché nelle elezioni precedenti vi erano stati parecchi brogli fu deciso che alle operazioni di voto avrebbe assistito un corpo di osservatori reclutati, tra l’altro, fra gli studenti delle università. Mi portai volontario e finii nel tinello di un famiglia afro-americana in uno dei quartieri meridionali della città. Rimasi lì per parecchie ore a tener d’occhio la macchina e le sue leve finché qualcuno decise che era ora di mangiare e portò nel tinello un «southern fried chicken», un pollo fritto del Sud, comprato alla rosticceria dell’angolo, che divorammo entusiasticamente. Dimenticavo, caro Malgaroli: le elezioni furono vinte dal generale Dwight D. Eisenhower, comandante supremo delle forze alleate nella Seconda guerra mondiale e primo comandante delle forze integrate della Nato dopo la firma del Patto Atlantico. Dopo il lungo regno di Roosevelt e del suo successore, l’America era ridiventata repubblicana. Sergio Romano