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 2006  febbraio 24 Venerdì calendario

Calvino, Pasolini, Fortini, Eco: il varietà, «vizietto» da intellettuali. Corriere della Sera 24 febbraio 2006

Calvino, Pasolini, Fortini, Eco: il varietà, «vizietto» da intellettuali. Corriere della Sera 24 febbraio 2006. Ci sono grandi autori anche classici che si sono trovati messi in mezzo nel teatro così detto leggero: sono finiti in ottimi musical, senza saper né cantare né ballare, Aristofane e Plauto, Shakespeare e Molière. In Francia non solo Prèvert ma anche Cocteau e Sartre hanno scritto testi di celebri canzoni per la Greco. E ci sono personaggi straordinari dello spettacolo che hanno iniziato proprio come battutari altrui: vedi la carriera radiofonica del primo Woody Allen (Radio days, appunto) e l’amore corrisposto per l’avanspettacolo di Fellini che portava fogliettini brevi manu ai comici in passerella, da Sordi a Fabrizi. Ci sono poi altri scrittori, intellettuali a tempo pieno, impegnati in raffinati dibattiti letterari, che non hanno resistito al richiamo ineffabile della frivolezza che è una categoria dell’essere e quindi anche dello show business. Longanesi, Soldati e Castellani, nella Roma occupata del ’43, al Valle, misero in scena il varietà «Il suo cavallo» (quello bianco di Mussolini) con Tofano, Stoppa e Campanini. Laggiù negli anni ’50 Luchino Visconti, il regista della «Terra trema» e di «Senso» volle provare l’ebbrezza di dirigere Wanda Osiris e le sue scale in «Festival»: non lo fece più. Sempre nello stesso periodo, Curzio Malaparte, lo scrittore chiacchierato della «Pelle», volle scrivere il copione della rivista «Sexophone» e fu sonoramente fischiato al Nuovo di Milano, tanto che venne al proscenio a battibeccare col pubblico, nello stile di una serata di Pirandello, di una querelle quasi futurista. Furono impietosi anche i critici. Forse è meglio, per chi opera nella zona seriosa, nel neo realismo o nel post realismo o nella narrativa o nella storia, concedersi il lusso del brillante in piccole dosi ben calibrate, su misura per gli interpreti. Così fecero molti intellettuali radical chic che negli anni 60 scrissero copioni per le loro dive divine, a cominciare dalla grande Franca Valeri – metti Patroni Griffi e Medioli, ed anche altri – ma soprattutto per la beniamina Laura Betti. Che, oltre ad aver inciso Brecht e Weill in un memorabile disco con De Sica e ad aver adottato Pasolini, mise in scena al Gerolamo i suoi recital («Giro a vuoto» e altri) cui collaborava la meglio gioventù letteraria di allora, da Bassani a Moravia, da Pasolini a Fortini, dal musicista Carpi ad Arbasino che scrisse l’indimenticabile refrain «Ossigenarsi a Taranto è stato il primo errore». Filippo Crivelli fu poi geniale nell’accostare la pratica bassa e quella alta del repertorio pop nell’indimenticabile «Milanin Milanon», mentre Italo Calvino scriveva testi per il Cantacronache di Liberovici e Straniero e nel «Can can degli italiani» con Cobelli, la Monti e Proietti, recitavano al Piccolo Teatro post Galileo del ’64 i testi di Ambrogi, Flaiano e perfino del giovane Umberto Eco. Maurizio Porro