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 2006  febbraio 27 Lunedì calendario

Fernandez Ilan

• Stlista. Imprenditore. «[...] un tizio che dovrebbe essere in carcere ma avendo ingaggiato i migliori avvocati su piazza è fuori. Un tipo molto seducente e piuttosto pericoloso, bella faccia, gran sorriso. Concepisce solo idee forse scorrette ma certamente di successo, idee che producono soldi: ha fatto in poco tempo, in Italia, una fortuna partendo da nulla. Ha una moglie stupenda, vecchi amici potenti, è un imprenditore. Il gioco si ferma qui: non è un politico.’No, no. La politica non mi interessa”. Bene, tranquilli dunque: Ilan Fernandez è uno stilista e lì vuole restare. Moda. Gli adolescenti sono pazzi per le sue felpe, le sue maglie che dicono ”bastardo latino”, ”gigolò: first night free”, ”mi coca es tu coca”. Lo slogan che ha lanciato il marchio, qualche anno fa, è stato ”Kill Barbie” intesa come la bambola: la Mattel ha fatto causa ma l’ha persa, non è un reato incitare all’omicidio di un pupazzo. ”Italian mafia” va forte all’estero ma ”sicilian killer” anche in patria. ”Pablo Escobar” è un evergreen. [...] ”Fuck the baby sitter”: ”Il sogno di ciascuno di noi”, commenta lui; mah, insomma, non tutti; ”Tutti, mi creda”. Il marchio si chiama De Puta Madre 69. Letteralmente: figlio di puttana, ma nella lingua della strada ”estar de puta madre” vuol dire anche stare benissimo, stare da dio. 69 è in più, per chiarezza. [...] Vive a Roma con Elisa Sabatino, splendida campionessa mondiale di moto acquatica, atleta Coni, figlia di un carabiniere [...] I soci della De Puta Madre sono due romani: in principio loro ci hanno messo i soldi, Ilan le idee. [...] colombiano di nascita, è stato condannato negli Usa a 18 anni di carcere per narcotraffico. Da ragazzino, a 17 anni, faceva questo: organizzava viaggi per esportare cocaina dalla Colombia a Miami. ”La mia famiglia si è trasferita a Miami dopo la morte di mio padre, che era un funzionario dell’ambasciata colombiana. Una morte oscura. Comunque io tornavo spesso a far visita ai miei zii e ho capito subito che un chilo di coca in Colombia costava 250 dollari, a Miami 50mila. Era facile. Due anni dopo, a 19, ero ricchissimo. Mi hanno preso a Barcellona”. Come mai era a Barcellona? ”Beh, è la centrale dello smistamento in Europa. Insomma mi hanno preso. Volevano che facessi i nomi dei capi dell´’rganizzazione ma non avevo capi. Mi hanno dato 18 anni. Due li ho fatti in Spagna, nel carcere di Quatre Camins. Sei a San Quintino: mi avevano estradato”. E gli altri dieci anni? ”I miei avvocati mi hanno fatto scendere la pena a dieci. Due me li hanno abbuonati per buona condotta”. Di San Quintino dice che ”è un posto normale”. Se tu ”paghi il caffè a quelli che non hanno soldi e poi gli chiedi di stare accanto a te in cortile dopo un po’ hai i tuoi uomini, e nessuno ti disturba: sanno chi sei, da dove vieni, ti rispettano”. Il ricordo più struggente però è quello di Quatre Camins: è lì che è nato il marchio. ”C’era un colombiano come me, condannato per omicidio. Esce nel 2011. Un giorno era morta sua sorella, gli ho chiesto come stai, e lui con un sorriso storto: de puta madre. Allora ci siamo messi a ridere e l’abbiamo scritto su una maglietta col pennarello. Un secondino ci ha chiesto di fargliene una uguale, poi l’ha data a suo nipote che c’è andato in discoteca. Abbiamo aggiunto 69 perché, sa, il primo pensiero dei carcerati è la libertà, il secondo il sesso. Il ragazzo è tornato dalla disco entusiasta: tutti volevano una maglia come la sua. nato un commercio: ci facevamo portare le t-shirt bianche dai parenti in visita e le decoravamo con le frasi dei carcerati. Facevamo dei concorsi di idee: le cose più pesanti si scartavano, ciascuno diceva le sue fantasie. Fuck Barbie e kill Barbie sono piaciute molto”. Poi gli anni di San Quintino, poi la libertà. ”Volevo ricominciare da capo, uscire dal giro. Non è stato facilissimo perché quelli non ti lasciano andare. Sono andato prima a San Diego, ho fatto il lavapiatti, poi quando ho avuto i soldi mi sono comprato un biglietto per la Spagna. Ho lavorato a Formentera, in un bar di Es Pujols. C’erano solo italiani. Ho ricominciato a fare le maglie, le vendevo ai negozietti dell’isola. Un giorno ho incontrato due ragazzi ebrei di Roma, imprenditori del tessile. Avevano preso in affitto un villone, facevano feste, li aiutavo a organizzarle. Mi hanno detto, se vieni a Roma chiama. Sono venuto, ho chiamato, ho esposto il progetto: non ci credevano molto, mi hanno detto ti diamo un po’ di tessuto e un cinese per lavorare, l’indirizzo di una stamperia. Ho cominciato così. Ho conosciuto un cameriere in pizzeria e gli ho detto: vai nei negozi a vendere maglie per me. In tre mesi ne abbiamo vendute 20mila. Poi un giorno è uscito Pappalardo dall’Isola dei Famosi e aveva la maglietta De Puta Madre 69. finito sui giornali. Io ho preso il giornale e ho detto ai soci romani: eccomi, io sono qui. Allora abbiamo fatto una società, un terzo per uno, 500mila euro l’investimento iniziale. Ora ho 50 dipendenti, 35 milioni di euro di fatturato, un locale a Roma che tutti i mercoledì fa De Puta Madre parties [...] Piace molto l’accappatoio DPM con scritto ’after sex’. Sa qual è il problema? Che queste maglie, queste scritte sono una maschera. I ragazzi vogliono essere protagonisti. Se tu entri in un locale con una maglia con scritto ’un gramo de coca es una puta vida loca’ tutti ti guardano. Sei qualcuno in quel momento, e io penso che basti. Penso che il travestimento di una sera possa prendere il posto della realtà. Nelle nostre etichette c’è scritto no drugs, no violence”. Sì, ci sono anche tre pasticche di acido in un blister. ”Finte. Io ho conosciuto il mondo vero della violenza e della droga. Penso che non siano i soldi il vero motore dei ragazzi che ci finiscono dentro, ma il desiderio di essere qualcuno. Di uscire da un mondo anonimo, di essere considerati. Una maglietta aiuta, mi creda. A volte basta. I ragazzi sono fragili. Esibire una scritta come ’idraulico per signora’ o ’manicomio criminal’ agli occhi del gruppo li fa diventare attraenti, acquisiscono una sicurezza che è un antidoto contro le droghe”. Dice che Elisa l’ha conosciuta a una festa a Rimini, che tutti gli amici di lei dicevano: lascialo perdere, è un narcotrafficante. ”Ma poi lei ha visto che ero il primo ad andare a letto la sera e che droga attorno a me non ne circolava. Mi piace stare a casa, sono una persona tranquilla, voglio una famiglia [...]”. Magari potrebbe addolcire gli slogan: la linea di intimo con Gesù e la Madonna e la frase ”non mi rompere le palle” sulle mutande non è esattamente quel che si intende come rieducativo. ” una posizione ipocrita. Detesto gli ipocriti, si lamentano sempre a vuoto. Se vuoi lamentarti vai dove la gente sta male davvero. Vai in un ospedale, vai a San Quintino. Poi parliamo”. [...]» (Concita De Gregorio, ”la Repubblica” 26/2/2006).