Note: [1] Jena, La Stampa 24/2; [2] Sergio Rizzo, Corriere della Sera 23/2; [3] Marco Mensurati, la Repubblica 24/2; [4] Luca Fazzo, la Repubblica 23/2; [5] Francesco Spini, La Stampa 24/2; [6] Marco Sodano, La Stampa 24/2; [7] l. f., la Repubblica, 24/2;, 25 febbraio 2006
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 27 FEBBRAIO 2006
«Fazio si è dimesso, Fiorani è in galera e anche Geronzi non si sente tanto bene» (Jena). [1] Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, è stato interdetto per 60 giorni dall’esercizio di ogni carica. Fino al 22 aprile non potrà presiedere le riunioni del consiglio di amministrazione, né partecipare a quelli di Mediobanca, Rcs ecc. [2] Motivo: l’accusano di aver costretto nel 2002 Calisto Tanzi, ormai sull’orlo del tracollo, ad accollarsi dal gruppo Acque Minerali (Ciarrapico) la società Ciappazzi, un «investimento autolesionistico» finanziato da Capitalia con 38 milioni di euro da restituire in sei mesi a tassi da strozzinaggio. [3]
Tutto nasce dal crac Parmalat. [4] Nel ’96 Tanzi «rischiava di essere travolto dalla imponente mole di debiti sconsideratamente accumulati dalle società del settore turistico». Fu allora organizzata «una gigantesca truffa» per scaricare (tramite joint-venture) l’ormai insostenibile indebitamento del turismo sulle Fs di Lorenzo Necci. Piano fallito perché nel ’97 Necci finì in prigione. Fu allora che intervenne Banca di Roma. Tanzi: «Ricordo che allorquando si trattava di finanziare il gruppo turistico per il riacquisto della quota di Fs nella joint venture il De Nicolais (ex responsabile area crediti di Banca di Roma, ndr), nel confermarmi l’appoggio dell’istituto di credito, che peraltro mi era già stato in precedenza promesso da Geronzi, mi disse che in futuro mi avrebbe ”chiesto qualcosa”». [5]
L’11 gennaio 2002 Cosal (una concessionaria di vendita controllata dai Tanzi ma esterna al Gruppo Parmalat) acquistò dalla Siciliana Acque Minerali la Ciappazzi. Secondo i magistrati il prezzo pagato (15 milioni 241 mila euro) è «assolutamente sproporzionato in rapporto a un complesso aziendale di valore nullo». Fausto Tonna all’epoca braccio destro di Tanzi: «All’inizio non potevamo sapere di cosa si trattava, quindi abbiamo detto che avremmo verificato queste attività». Risultato: le fonti, per essere riadattate alla produzione, avrebbero avuto necessità di centinaia di miliardi di lire. Il fatto è, dice Tonna, che Banca di Roma doveva scaricare crediti incagliati e l’operazione serviva per dare ossigeno a Ciarrapico. [6]
Capitalia quantificò il suo interesse in «35 miliardi» e «promise di finanziare i 35 miliardi». Parmalat provò resistere, ma da Roma fecero capire che non era il caso, meglio scegliere una delle società. La Ciappazzi, appunto, «l’unica che aveva in teoria una possibiltà di mercato, in quanto era ancora conosciuta in Sicilia anche se non più commercializzata». Insomma l’affare fu fatto perché altrimenti Banca di Roma avrebbe ridotto gli affidamenti su Parmalat e sul gruppo turistico in generale. Una specie di minaccia? «Una minaccia, più che una specie», dice Tonna. Cosal non ha mai venduto una bottiglia d’acqua. [6] Quelli della Parmalat scoprirono che Ciappazzi non poteva operare perché «era nel frattempo decaduta dalle necessarie autorizzazioni amministrative per estrarre l’acqua minerale dalle fonti», annota il gip. Parmalat si rifiutò di pagare la seconda rata di prezzo. Il Gip: «Banca di Roma ha temporeggiato fino all’ultimo, pretendendo che la vertenza relativa alla Ciappazzi fosse transata a fronte di un irrisorio sconto, da dedursi sull’ultima rata del prezzo». [5]
Se le prove contro di lui fossero emerse prima, Geronzi sarebbe stato arrestato. L’ha detto il procuratore della Repubblica Gerardo La Guardia: «Senza la complicità interessata di Capitalia, Parmalat sarebbe fallita almeno un anno prima, con circa tre miliardi di euro di passivo in meno». [7] Eugenio Favale, dal luglio 2002 numero 1 del Large Corporate di Capitalia, si era accorto che nonostante le ingenti liquidità indicate a bilancio, i fidi Parmalat risultavano costantemente sfruttati «a palla». Per saperne di più aveva chiesto chiarimenti al collega Andrea Del Moretto, il quale aveva scoperto che i conti erano truccati grossolanamente a partire dalla quantità delle obbligazioni in circolazione. Luca Fazzo: «Ma Del Moretto non venne ascoltato. E per dodici, interminabili mesi, a Tanzi venne concesso di continuare a vendere ai risparmiatori bond spazzatura». [8]
Geronzi è innocente finchè non sarà provata la sua colpevolezza. [9] In una nota, ha definito le contestazioni «prive di fondamento e tutte già respinte». [10] L’avvocato Guido Calvi: «La scelta di interdire il presidente per sessanta giorni suona un po’ come una ”censura postuma”. Incomprensibile perché arriva alla fine delle indagini e non all’inizio, perché si riferisce ad eventi molto lontani nel tempo». [11] L’interdizione ha più di un aspetto anomalo. Lodovico Festa: «Non è presa durante le indagini, quando provvedimenti restrittivi possono avere una loro logica, non è assunta sulla base di una sentenza. Ma così va la giustizia italiana». [12] Marco Onado: «Negli ultimi tempi il destino del sistema bancario è stato tracciato in modo determinante dalla magistratura che ha svolto una salutare azione di supplenza, che però non può non assumere carattere di eccezionalità. Non va certamente in questa direzione la decisione del gip di Parma di interdire da ogni carica societaria il presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, che non solo appare prima facie ingiustificata e sproporzionata, ma crea un problema serio proprio al vertice di uno dei protagonisti del riassetto bancario». [13]
Geronzi, nato a Marino (Roma) il 15 febbraio 1935, ha dimostrato più di una volta che i colpi che riceve possono rallentarlo ma non abbatterlo. Francesco Manacorda: «Un profilo di Geronzi, assai parziale ma non per questo meno significativo, lo ha tracciato lui stesso nel gennaio 2005 in un incontro pubblico a Firenze che era inteso come un grande rientro sulla scena pubblica. La famiglia ”dignitosamente povera” ai Castelli Romani, gli anni in Banca d’Italia ”che è come un saio che ti porti sempre addosso”». [15] Alberto Statera: «Dopo il militare, nei primi anni sessanta, entra da impiegato in Banca d’Italia, un anno prima di Fazio. Non molti anni dopo lo ritroviamo capo dell’Ufficio Cambi [...] Quando Guido Carli si dimise da governatore [...] ebbe la definitiva certezza che [...] Antonio Fazio e Lamberto Dini avrebbero fatto più carriera di lui, se ne andò con Rinaldo Ossola al Banco di Napoli, per poi passare a dirigere la Cassa di Risparmio di Roma, vecchio feudo democristiano e papalino. Così comincia la vera scalata al potere». [9]
Geronzi non ha una smodata passione per gli sportelli. Statera: «Quel che è in cima ai suoi pensieri, ciò che quasi materializza il sogno di reincarnare Cuccia nel nuovo millennio, è quell’8,4 per cento di Mediobanca e quel 3,19 per cento di Generali nel portafoglio di Capitalia (ergo il ”Corriere della Sera”), che lo mettono al centro degli equilibri del bancocentrico capitalismo italiano, in una fase di grandi cambiamenti». [9] Fino all’ordinanza d’interdizione, Geronzi era considerato un «intoccabile». Augusto Minzolini: «O meglio, già era sceso di un gradino dal Paradiso di quelli ”sui quali non si può” quando nel dicembre del 2003 aveva subìto l’onta delle perquisizioni proprio per il caso Parmalat». [16]
Da allora Geronzi ha tentato in tutti i modi di risalire la china. Minzolini: «Riuscendoci. Del resto nei palazzi della politica gli alleati non gli mancano. Quando Fabrizio Palenzona assunse l’incarico di vice-presidente di Unicredit fece un giro delle sette chiese a Roma per sapere chi era il riferimento nel mondo bancario di questo o quel partito. D’Alema gli rispose secco: ”Geronzi”. Gianni Letta idem. Stesso nome fece Pierferdinando Casini. Insomma, nell’agenda del presidente di Capitalia non c’è un personaggio di primo piano che manchi all’appello. Anche Gianfranco Fini non si è mai dimenticato di fargli personalmente gli auguri di Natale. [...] Così dopo i brutti giorni del 2003 il ”Totem” è risorto. Addirittura nella guerra tra banche di questo ultimo anno si è scontrato con il suo padre putativo, Antonio Fazio, reo di averlo tradito per Fiorani. E l’ha spuntata mandando a Palazzo Koch il suo candidato». [16]
Impallinato il piccione, adesso tocca al passero. Statera: «A prevederlo era stato lo stesso presunto uccellino, alias Cesare Geronzi, in una gustosa metafora che risale al 2003, quando Giulio Tremonti già imbracciava la carabina puntando sul volatile più grosso, il piccione Antonio Fazio». [9] Minzolini: «Molti sono convinti che nel sistema bancario italiano non può esistere un Geronzi senza Fazio. Del resto nei giorni in cui erano ancora amici fu lo stesso Totem ad ammetterlo utilizzando il detto latino: ”Simul stabunt, simul cadent”». Giampiero Cantoni, ex-presidente della Bnl: « l’ultima vittima del risiko bancario, di questo moltiplicarsi di fusioni e aggregazioni. Il paradosso è che ha fatto la guerra a Fazio accecato dalla gelosia per Fiorani e solo oggi si accorge che senza il sodalizio con l’ex-governatore è diventato l’anello debole del sistema». [16]
La Ciappazzi-story cade nel pieno delle grandi manovre. Statera: «Non più tardi di giovedì scorso, l’agenzia Radiocor, per dirne una, raccontava del progetto Intesa - Capitalia per la nascita di un vero ”campione nazionale” capace di resistere agli appetiti stranieri, favorito ”dai rapporti eccellenti” maturati negli ultimi mesi tra Geronzi e Giovanni Bazoli, a dispetto di quelli ”gelidi di un tempo”». [9] Saputa la notizia dell’interdizione, la Borsa ha prima avuto una reazione al ribasso, poi è scattata al rialzo. Paolo Del Debbio: «A questo punto, Capitalia è più vulnerabile. Poco o tanto lo si vedrà nelle prossime settimane. Ma è difficile non pensare che, sopratutto all’estero, il provvedimento dei pm parmensi sia stato da qualcuno letto come il segnale che la banca romana possa essere diventare un’altra, appetibile preda». [17]
Berlusconi parla di una «banca americana» interessata all’istituto romano. [14] Del Debbio: «La Bnl se la sono presa i francesi; in Banca Intesa, il Crédit Agricole è in una posizione di dichiarata forza; nel San Paolo ci sono gli spagnoli del Santander; Antonveneta se la sono presa quelli dell’AbnAmro che sono anche presenti in Capitalia. L’unica banca italiana che gioca il ruolo da attaccante è Unicredit che prima è sbarcata in Germania e poi in Polonia». [17] Il terreno è pronto per un nuovo assalto d’oltreconfine e Capitalia pare «il boccone prelibato più facile da ingoiare». Federico Monga: «La domanda, di fronte all’iperattivismo straniero, ora è cosa faranno gli italiani in caso di attacco?». [18]
Capitalia non ha alcuna intenzione di finire nella pancia di Banca Intesa. Giovanni Pons: «Al momento l’istituto più propenso a crescere in un’ottica anche difensiva del sistema bancario italiano. Un’offerta per cassa, nella sostanza una vera e propria acquisizione di Intesa su Capitalia, verrebbe osteggiata dal management in tutte le maniere. Diverso è invece il caso di un’aggregazione concordata che passi attraverso uno scambio azionario e dove tutti gli azionisti delle due banche verrebbero diluiti. Ed è su queste basi che Giovanni Bazoli, presidente di Banca Intesa, e Geronzi stavano annodando i loro fili [...] Adesso però bisognerà verificare come influirà sui contatti in corso l’uscita di scena per almeno due mesi del presidente di Capitalia. Considerando il fatto che il periodo pre-elettorale, in cui la politica è sostanzialmente assente, è sicuramente il più adatto per condurre in porto un’operazione finanziaria di una certa complessità». [19]
Ad ottobre Berlusconi attaccò Passera e Profumo (ad di Banca Intesa e Unicredit) per aver partecipato alle primarie per Prodi: «Adesso il premier ha ricordato quell’episodio e, con i fedelissimi, ha rincarato la dose: i banchieri di Prodi si preparano al dopo-voto. Il suo sospetto è che le due banche stiano muovendo appunto le loro pedine su Capitalia, Mediobanca e quindi Generali, con l’avallo del centrosinistra. Perché ”non può essere un caso” che lo stop a Geronzi arrivi proprio in questo momento, con tutti questi faldoni aperti e la presidenza di Mediobanca in scadenza». [14] Qualcuno parla di ”Progetto Octopus”, un’operazione «supersegreta» studiata da alcuni advisor per conto di Bazoli. Fabio Massimo Signoretti: «Prevede l’integrazione tra Intesa, Mediobanca e Generali e [...] potrebbe cambiare i destini della finanza italiana, creando un colosso bancario-assicurativo ai vertici in Europa». [20]
Fonti finanziarie continuano ad accreditare un interesse di Intesa per Capitalia. Signoretti: «In realtà, però, il vero obiettivo di Intesa sarebbe proprio l’integrazione con Mediobanca e con Generali. Per questo, Bazoli non si sarebbe troppo seccato per il fallimento del vertice con Geronzi [...] L’operazione non è certamente semplice e per mandarla in porto Intesa deve far quadrare numerose variabili, oltre a sperare in un quadro politico più favorevole. Bazoli, innanzitutto, dovrebbe avere l’appoggio dei suoi principali azionisti, i francesi del Credit Agricole che già hanno fatto sentire la loro voce e hanno sottolineato che eventuali intese devono essere concordate con loro. Ma dovrebbe anche favorire un ”patto d’acciaio” non semplicissimo tra l’Agricole e il ”gruppo Bollorè”, cioè il gruppo di azionisti francesi riunito intorno al finanziere bretone e al presidente delle Generali Antoine Bernheim, che hanno circa il 10% di Mediobanca». [20]
I nodi da sciogliere sono impegnativi. Signoretti: «In caso di matrimonio a tre, gli azionisti francesi (Credit Agricole e ”gruppo Bollorè”) avrebbero una quota importante (e forse determinante) del colosso Intesa-Mediobanca-Generali. E, viste le barricate alzate dai francesi ogni volta che un gruppo italiano tenta di entrare in Francia, come dimostra la vicenda Enel-Suez, non è pacifico che il mondo politico e finanziario nazionale (che già deve registrare lo sbarco di Bnp Paribas in Bnl) accetti la cosa pacificamente». [20] Del Debbio: «Nei mercati globalizzati è certo che per un sistema nazionale avere gruppi propri forti all’esterno pone il Paese in una posizione di vantaggio competitivo indubbio. Non solo perché comunque un Paese è fatto anche dai suoi marchi nazionali, ma anche perché banche forti sul proprio territorio nazionale possono accompagnare l’internazionalizzazione delle imprese in modo consistente e utile. E di questo oggi l’Italia ha un forte bisogno» [17]