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 2006  febbraio 22 Mercoledì calendario

Biografia di Paul Marcinkus

• Casimir Cicero (Stati Uniti) 15 gennaio 1922, Phoenix (Stati Uniti) 19 febbraio 2006 • «Se il diavolo esistesse, se per somma dissimulazione vestisse il clergyman e se, colmo dei colmi, abitasse all’interno delle Mura Leonine, non potrebbe avere che le sue fattezze. Le fattezze e i modi di Paul Casimir Marcinkus, prete, principe della Chiesa, banchiere e finanziere ben più che spregiudicato[...] figlio di un emigrante lituano che si guadagnava da vivere lustrando i vetri dei grattacieli di Chicago [...] il disastro etico e d’immagine che per molti lustri ha segnato le vicende dell’oro Vaticano, il denaro ”sterco del demonio” transitante impudicamente nel Torrione di Niccolò V, sede dell’Istituto per le Opere di Religione, in un via vai di filibustieri, bancarottieri e tangentisti in salsa piduista, inevitabilmente porta e porterà il suo nome, anche se nelle nefandezze fu tutt’altro che solo. Da Sindona a Calvi, dal sacco di Roma dell’Immobiliare al riciclaggio della tangente Enimont, non c’è scandalo finanziario di cui le mura di quel torrione non conservino qualche eco. Sullo sfondo, l’eterna diatriba tra finanza laica e finanza cattolica, tra banca bianca e banca di altri colori, tra poteri massonici e poteri curiali [...] Modi rudi, fisico da rugbista, accanito giocatore di golf sui campi dell’Acquasanta, sigaro cubano sempre acceso, ricercato dalle signore del generone romano, alla fine negli anni Sessanta Marcinkus, data la statura, univa le funzioni di guardia del corpo di Paolo VI nei viaggi all’estero e di stella nascente della finanza vaticana, cui papa Montini aveva imposto l’internazionalizzazione. Le partecipazioni azionarie del Vaticano in Italia, spesso imbarazzanti, dovevano essere smobilitate o adeguatamente ”coperte” e alla finanza pontificia occorreva dare un respiro internazionale. Marcinkus, sponsorizzato da don Pasquale Macchi, potente segretario del papa, aveva un rapporto personale con David Kennedy, presidente della Continental Illinois National Bank di Chicago, che poi nel 1969 fu nominato ministro del Tesoro nell’amministrazione Nixon. Fu il banchiere americano a presentare Sindona al disinvolto finanziere papalino, diventato nel frattempo capo dello Ior. E i guai cominciarono subito. Già nel 1973 la Sec aprì un’inchiesta sulla Vetco Offshore Industries, che, attraverso un giro messo in piedi da Sindona, si scoprì essere illegalmente controllata dal Vaticano. Sindona poco dopo viene travolto dal crac delle sue banche, compiutosi al termine di una lotta sanguinosa tra il mondo laico, capeggiato da Ugo La Malfa, e quello cattolico, che faceva riferimento a Giulio Andreotti, e che ebbe il momento più aspro nell’incriminazione di due galantuomini come il governatore Paolo Baffi e il direttore generale della Banca d’Italia Mario Sarcinelli, poco propensi al salvataggio che i democristiani fortemente volevano. Ma Marcinkus aveva già gettato le basi del nuovo scandalo, il crac del Banco Ambrosiano, nel quale il Vaticano fu coinvolto per 1500 miliardi di ex lire, secondo il calcolo che fece il ministro del Tesoro Nino Andreatta. Poco prima di essere ucciso a Londra sotto il ponte dei Frati Neri, Calvi, disperato, arriva a scrivere al papa: attacca Marcinkus, considerato appartenente all’ala massonico-curiale in Vaticano, sperando che Giovanni Paolo II consegni la banca papalina all´Opus Dei e che lo Ior salvi l’Ambrosiano con 1200 milioni di dollari. ”Santità - scrive il 5 giugno 1982 in una lettera rivelata molti anni dopo dal figlio - sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonché delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona...; sono stato io che, su preciso incarico dei Suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti Paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell´Ovest...; sono stato io in tutto il Centro-Sudamerica che ho coordinato la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste; e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato...”. Sua Eccellenza Monsignor Paul Casimir Marcinkus, passando quasi indenne tra tutti i disastri e persino tra i sospetti che accompagnarono la morte improvvisa di Giovanni Paolo I, manterrà la sua poltrona fino al 1989, sette anni dopo l’omicidio di Calvi. [...] Ma monsignor Marcinkus, che per tutta la vita ha maneggiato sterco del diavolo, mai si dev’essere sentito il Maligno in clergyman. Anzi, in una delle rare interviste, si è perdonato così: ”Ma si può vivere in questo mondo senza preoccuparsi del denaro? No, non si può dirigere la Chiesa con le Avemaria”» (Alberto Statera, ”la Repubblica” 22/2/2006). «[...] una dei banchieri più famosi e famigerati al mondo. L’ex capo dell’Istituto per le Opere di Religione, coinvolto nello scandalo per il fallimento del Banco Ambrosiano [...] era stato ordinato sacerdote nel 1947 [...] Chi lo conosceva bene diceva che lui aveva solo due desideri: rivedere la Lituania e tornare a fare il prete. Il primo si era realizzato in fretta, quando nel 1993 Giovanni Paolo II aveva visitato la terra dei suoi padri. Marcinkus avrebbe voluto celebrare la Messa col Papa, che nel clima di quegli anni sarebbe stato troppo. Però lo accompagnò nel viaggio. Il secondo desiderio si era costruito giorno per giorno, nell’attività pastorale a cui si era dedicato padre Paul Casimir, cercando di mettersi alle spalle il suo passato. Lo avevano nominato quarto parroco della chiesa St. Clement of Rome, cioè il gradino più basso possibile. Ma era proprio quello che cercava. Ogni sabato celebrava la Messa delle quattro del pomeriggio, e ogni mercoledì mattina tornava dietro all’altare. Nel tempo libero, poi, faceva lezioni di catechismo ai ragazzi che si preparavano per la Cresima e visitava gli anziani ricoverati nelle case di riposo. Tutte le settimane portava l’eucarestia ad una cinquantina di persone che non potevano alzarsi dal letto e andare in chiesa. L’impegno che gli piaceva di più, però, era quello con la comunità lituana. Dalle parti di Sun City vive un gruppo numeroso di immigrati venuti dal Baltico, e lui andava a celebrare la Messa fra di loro, forse per tornare a respirare le atmosfere di quando era ragazzino a Cicero. I guai non avevano mai smesso di inseguirlo, per esempio quando a metà degli anni Novanta era scoppiato lo scandalo per il presunto coinvolgimento dello Ior nella tangente Enimont. Il giornale nazionale americano Usa Today aveva fatto il suo nome, accusandolo di riciclaggio di denaro. Lui però si era difeso con l’immunità diplomatica ancora garantita dalla Santa Sede, ripetendo che aveva la coscienza apposto. Alle volte, con gli amici, rifletteva sulla sua esistenza. Ma padre Marcinkus non rimpiangeva più di non essere mai diventato cardinale: ”Quando morirò - diceva - il Signore non mi giudicherà dal colore dei miei calzini”» (Paolo Mastrolilli, ”La Stampa” 22/2/2006). «[...] non deve essere stato facile, il suo ruolo. Non deve essere stato agevole navigare tra i gorghi vorticosi della finanza. Specialmente se, come è accaduto spesso a Marcinkus, da ”presidente di un Ente centrale della Chiesa”, qual era lo Ior, si è imbattuto in personaggi discutibili. Accadeva già all’inizio degli Anni Settanta, quando il prete americano vendette la Banca cattolica del Veneto proprio a Roberto Calvi, suscitando il risentimento dell’allora Patriarca di Venezia, Luciani, poi divenuto Papa Giovanni Paolo I. Già, Luciani, Papa per poche settimane, stroncato da una morte improvvisa, incredibilmente improvvisa. Si dirà che tra i progetti di Giovanni Paolo c’era quello di ridimensionare Marcinkus. A quel Papa si era rivolto il settimanale ”Il Mondo” chiedendo: ” giusto che il Vaticano operi sui mercati come un agente speculatore?”. Era la gestione dello Ior sott’accusa, con tutto quello che conteneva il processo per la bancarotta del Banco Ambrosiano che coinvolgeva la finanza del Vaticano in seguito sospettata di complicità nelle «disinvolte operazioni» di Roberto Calvi (riciclaggio?) e, quindi, costretta al peggio per recuperare le perdite dell’Ambrosiano. Ma il feeling col ”banchiere di Dio” durava da troppo tempo. Era il 1971 quando i due, insieme con un Michele Sindona in fase di espansione, fondavano la Cisalpine Overseas Bank con un notevole ”aiuto” dell’Ambrosiano: 240 milioni di dollari, poi divenuti (nel 1977) 465,9 milioni. Gli ispettori della Banca d’Italia, chiamati ad indagare, non riusciranno ad individuare l’origine dell’enorme cifra movimentata dall’Ambrosiano e dalle consociate: rimarranno sconosciuti gli ”elargitori” di ben 211,9 milioni di dollari. Poi Sindona cadrà in disgrazia con tutto quello che sappiamo: il finto sequestro, le indagini e la scoperta di Licio Gelli e della P2. Il ”bancarottiere di Patti” travolto, braccato persino dagli ”amici” di Cosa nostra, il tentativo di salvarsi affidato all’invocato intervento di Giulio Andreotti e al minacciato ricorso all’uso della famosa ”lista dei 500”. Lista che, secondo il generale Delfino, teste al processo di oggi, era contenuta nella borsa che Calvi aveva con sè a Londra, insieme coi documenti di garanzia di Marcinkus, quelle ”lettere di patronage” firmate dal vescovo in cambio della dichiarazione con cui Calvi - scrivono i giudici - ”libera la Banca vaticana dall’impegno in qualsiasi affare precedentemente trattato entro il giugno 1982”. Nessuno, nè Calvi nè Marcinkus, riuscirà a mantenere le promesse e il presidente dello Ior sarà costretto a ”mollare” Calvi, forse accelerandone la fine. Il sospetto dei magistrati [...] è infatti che il ”banchiere di Dio” muore perché - è la tesi dei magistrati - rimasto solo a fronteggiare l’offensiva degli amici malavitosi che gli chiedevano ”il conto” dei soldi affidatigli. Eppure chi ”assolve” Marcinkus è portato a credere, forse troppo sbrigativamente, che il vero errore del presidente dello Ior fu proprio quello di aver firmato le garanzie a Calvi. Di diverso avviso i magistrati che hanno indagato sulla bancarotta dell’Ambrosiano. Per i vertici dello Ior fu chiesto l’arresto ma una sentenza della Cassazione (1987) salvò Marcinkus, Luigi Mennini e Pellegrino de Stroebel con la motivazione che ”gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza dello Stato italiano”. Si chiudeva così l’incredibile storia del coinvoglimento dello Ior nello scandalo della bancarotta dell’Ambrosiano di Roberto Calvi. In modo molto più cruento si concludeva la vicenda del ”banchiere di Dio”, trovato appeso al ponte dei Frati Neri di Londra, alle 7,30 del 18 giugno del 1982. Di quella fine atroce, in qualche modo Marcinkus ha portato il fardello di una sorta di responsabilità morale. Già all’epoca del primo arresto, quel 20 maggio 1981 coincidente con la retata per la P2, Roberto Calvi cerca aiuto in Vaticano e affida ad un funzionario dello Ior un bigliettino per il presidente: ”Questo processo si chiama Ior”. Gelida la risposta: ”Questo nome non deve essere pronunciato nemmeno in confessionale”. Ci sono già i primi sintomi di un tentativo di ricatto verso le ”alte sfere di San Pietro”. Gli altri saranno tentativi espliciti, sotto forma di missive a cardinali e persino a Papa Giovanni Paolo II. Il 30 maggio 1982 scrive al cardinal Palazzini lamentando che ”Marcinkus e il dr. Mennini continuano a rifiutarmi ogni contatto...”. Poi cerca di tirare dentro Casaroli e Mons. Silvestrini: ”Eppure costoro sanno che io so”. Ma cosa dovrebbe sapere, Calvi? Lo si intuisce dalla lunga lettera inviata al Papa il 5 giugno del 1982 (ritrovata tra le ”cose vendute” da Carboni a mons. Hnilica, altri protagonisti dell’inchiesta sulla morte di Calvi). Il ”banchiere di Dio” si rivolge al Santo Padre definendolo ”mia ultima speranza”. Calvi rivendica, mettendo Marcinkus in cattiva luce, di essere stato l’unico ad essersi ”addossato il pesante fardello degli errori, nonchè delle colpe commessi dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior, comprese le malefatte di Sindona, di cui ancora ne subisco le conseguenze...”. Poi entra nel vivo: ”Sono stato io che, su preciso incarico di Suoi autorevoli rappresentanti ha disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi ed associazioni politico-religiosi dell’Est e dell’Ovest...”. Vale a dire il sostegno alla lotta antocomunista di Solidarnosc e dei sandinisti in Nicaragua. Tutto questo avrebbero voluto chiedere a Marcinkus» (Francesco La Licata, ”La Stampa” 22/2/2006). «[...] Questo sacerdote rude e spregiudicato che entrò nella Curia romana nel ”69 e fu nominato vescovo nel 1981, è stato però sempre protetto da Giovanni Paolo II. Il crollo dell’Ambrosiano e l’assassinio di Roberto Calvi risalgono all’estate del 1982. Emerse subito che gran parte dei 1.800 miliardi di lire sottratti alle finanze della banca erano finiti direttamente o indirettamente allo Ior o a organizzazioni indicate dalla banca vaticana. In un memorabile intervento alla Camera l’allora ministro del Tesoro Nino Andreatta chiese alla Chiesa e allo stesso Pontefice di riconoscere le colpe dello Ior e di correre ai ripari. Il cattolico Andreatta pagò questo atto di lealtà agli interessi della Repubblica con una lunga emarginazione: per molti anni la Democrazia cristiana gli negò ruoli di partito e di governo. La Chiesa non ammise mai le responsabilità dello Ior (anche se, dopo dispute infinite, restituì 250 milioni di dollari, una piccola parte delle cifre uscite dalle casse dell’Ambrosiano) e continuò a difendere Marcinkus anche quando, a metà degli anni 80, la magistratura italiana ne chiese l’arresto. Protetto dalle mura del Vaticano e da un passaporto diplomatico, Marcinkus venne lasciato dal Papa alla guida dello Ior per ben sette anni dopo lo scandalo dell’Ambrosiano. Il ”banchiere di Dio”’definizione alternativamente riservata a lui e a Calvi – uscì di scena solo nel 1989, mentre a Berlino cadeva il Muro. La Chiesa ha fatto pagare a suo modo al vescovo-banchiere gli eccessi di quegli anni negandogli la porpora cardinalizia ed esiliandolo nel deserto del Nevada. Marcinkus, uomo di potere abituato a muoversi come unministro o il capo di una grande ”corporation”, ha accettato senza battere ciglio il suo destino: non una parola e un impegno quotidiano nella piccola parrocchia di San Clemente. Unico brandello sopravvissuto del suo vecchio stile di vita, le partite a golf, sport per il quale aveva una grande passione. Ma anche quelle si erano rarefatte negli ultimi anni, dopo un intervento chirurgico alle anche. In Italia il nome di Marcinkus resta legato alla stagione più torbida della storia politica del Dopoguerra: il tentativo della loggia massonica P2 e di alcuni ambienti finanziari di occupare varie istituzioni del nostro Paese. Una stagione macchiata dal sangue di molti delitti di mafia intrecciati con queste vicende politico-finanziarie, segnata dalle gesta della Banda della Magliana e sulla quale non si è mai riusciti a fare pienamente luce: molti dei protagonisti, a partire proprio da Calvi e Sindona, sono stati infatti ”eliminati”, mentre chi conosceva pezzi della realtà ha preferito tacere, lasciando campo libero alle accuse formulate (ma mai verificate) da ”faccendieri” come Francesco Pazienza e Flavio Carboni. La figura di Marcinkus ha continuato così a galleggiare per anni in un mare di accuse mai provate: non solo quelle della magistratura, prevalentemente a sfondo finanziario, ma anche le ricostruzioni di saggisti che lo hanno dipinto addirittura come ilmandante dell’assassinio di papa Luciani. Il pontificato di Giovanni Paolo I durò appena 33 giorni: fu trovato morto all’alba del 29 settembre del 1978. Infarto, dissero imedici, ma alcuni libri pubblicati negli ultimi anni hanno puntato il dito su Marcinkus e sul cardinale Villot, allora segretario di Stato, accusati di aver architettato l’eliminazione di un pontefice ”scomodo” che intendeva decapitare la Curia e riformare a fondo le finanze vaticane. Di recente quei giorni e alcuni di quei personaggi sono tornati a galla, in una puntata della trasmissione Chi l’ha visto, nell’ambito della vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi. Il rapimento della giovane figlia di un dipendente del Vaticano sarebbe stato architettato, negli anni 80, per cercare di ottenere il rilascio di Ali Agca, il protagonista dell’attentato contro papa Wojtyla. Storie non supportate da alcun impianto probatorio i cui segreti – se ce ne sono – sono sepolti dietro i cancelli del Vaticano. L’immagine di Giovanni Paolo II, il ”Papa polacco che ha trionfato sul comunismo”, non ha di certo risentito di queste vicende, anche se l’unico (piccolo) gruppo di teologi che si oppone alla sua immediata santificazione fa riferimento proprio alla libertà d’azione garantita a Marcinkus anche dopo lo scandalo dell’Ambrosiano. Per l’Italia quello fu un passaggio difficilissimo: usando l’Ambrosiano come suo braccio finanziario, la loggia massonica clandestina P2 guidata da Licio Gelli tentò di infiltrarsi nei gangli vitali degli organi dello Stato e di conquistare perfino il Corriere della Sera (controllato allora dalla famiglia Rizzoli che teneva in piedi l’azienda coi finanziamenti di Calvi). Il 1982 fu l’anno terribile del crac della banca, della morte di Calvi, trovato impiccato a Londra, in una macabra messa in scena sulle rive del Tamigi, vicino al ponte dei Frati Neri. Seguì una vigorosa azione di salvataggio della banca, confluita nel Nuovo Banco Ambrosiano: la revisione della situazione contabile fece emergere con tutta evidenza che lo Ior aveva svolto un ruolo centrale nella gestione dell’Ambrosiano e nella ”dispersione” delle sue risorse, finite soprattutto in America Latina. Ne sono seguite battaglie giudiziarie infinite. Quella per l’Ambrosiano Overseas, conclusa di recente, è durata oltre vent’anni. I magistrati hanno ascoltato decine di testimoni e imputati in tutto il mondo. Salvo uno: Marcinkus» (Massimo Gaggi, ”Corriere della Sera” 22/2/2006).