La Repubblica 20/02/2006, pag.1-10 Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, 20 febbraio 2006
Consorte: Ecco la mia verità su Unipol. La Repubblica 20 febbraio 2006. Bologna. «Dopo 25 anni, giovedì scorso, ho lasciato definitivamente il gruppo Unipol anche come dipendente
Consorte: Ecco la mia verità su Unipol. La Repubblica 20 febbraio 2006. Bologna. «Dopo 25 anni, giovedì scorso, ho lasciato definitivamente il gruppo Unipol anche come dipendente. Non avrei voluto chiudere una storia di successo in questo modo e in questa situazione, ma è pur vero che sono finalmente libero. In questo momento, purtroppo, e sottolineo purtroppo, non posso pubblicamente affrontare nel merito la mia disavventura giudiziaria. I magistrati sono al lavoro e confido che presto si possano comprendere meglio i termini della mia vicenda personale. Una cosa però voglio dire: su questa storia, e intendo la storia Unipol e mia personale, sono state dette e scritte molte, troppe menzogne. Voglio che si sappia che io non le subirò. Farò chiarezza e, quando l’ inchiesta me lo permetterà, scriverò io una storia più autentica». Giovanni Consorte siede nel salone della sua casa nella zona universitaria di Bologna. Il consiglio di amministrazione Unipol ha preso atto delle sue dimissioni da dirigente e «su consiglio di Guido Rossi», scrivono i giornali, ha affidato alla Deloitte un’ inchiesta interna, una "due diligence", su tutti gli affari conclusi da lei, presidente, e Ivano Sacchetti, amministratore delegato. «Io non so se l’ idea sia anche di Guido Rossi. E’ però facile accertare che l’ inchiesta interna è stata suggerita a Unipol dal mio avvocato, il professor Filippo Sgubbi, con il mio convinto assenso. Suggerisco anche un’ altra iniziativa». Quale? «Per correttezza, sarebbe bene calcolare il valore creato per i soci Unipol negli ultimi 15 anni. Diciamo anche negli ultimi cinque. Senza contare il valore raggiunto delle tante società start-up del gruppo cui abbiamo dato vita». Perché questo suggerimento? «Vedo in giro troppi grilli parlanti». A chi si riferisce? «A tutti coloro che nel mondo cooperativo, oggi, delegittimano il lavoro che ho fatto con Ivano Sacchetti. Che ha il considerevole vantaggio di poter essere sostenuto con la concretezza dei numeri. I grilli parlanti sono peraltro gli stessi che, nel 1991, ci hanno lasciato una Unipol che raccoglieva 732 milioni di euro di premi e utili per 15 milioni di euro, con una palla al piede come Unipol finanziaria, che aveva debiti per 420 milioni di euro e perdite per 250. In 14 anni, mettendo insieme strategie aziendali e il consenso convinto e operoso di 16 mila dipendenti, 2 mila agenzie e 4 mila punti vendita, abbiamo portato Unipol a raccogliere 10 miliardi di premi e 300 milioni di utile. Dalle ceneri di Banec abbiamo creato Unipol Banca che, in cinque anni, ha raddoppiato il valore del capitale investito e questo dopo aver azzerato la situazione debitoria di Unipol finanziaria, diventata Finsoe. Questi sono numeri. Vedo invece che i corresponsabili del disastro che abbiamo ereditato, con una visione un po’ troppo opportunistica della vita, continuano a occupare dopo 40 anni le stesse seggiole e le stesse poltrone presidenziali». Insomma, lei ce l’ ha con i suoi che l’ hanno abbandonata al suo destino? «No. Io non protesto per quel che è accaduto. Nel mio ruolo devi godere della fiducia degli azionisti. Se gli azionisti dicono che questa fiducia non c’ è più, un amministratore deve andare via. Io sono andato via. Però credo che la legittimità, la credibilità, dico addirittura il carisma, di un nuovo gruppo dirigente si crea producendo valore, lavorando duro, pensando a rendere conto a tutti gli azionisti e dunque, come nel caso di Unipol, anche a quel 70 per cento che non appartiene alle coop. Non basteranno certamente né la cura della comunicazione, né la denigrazione di chi è in uscita. Mi conforta sapere che la gente sa comunque valutare in autonomia. In questo periodo ricevo innumerevoli lettere e telefonate di solidarietà». Una polemica così forte con il mondo cooperativo merita qualche nome. «E io qualche nome ve lo faccio. Enea Mazzoli, presidente onorario di Unipol, ad esempio. Ma nella schiera dei grilli parlanti merita un posto anche Claudio Levorato, presidente della Manutengcoop. Poi, in verità, con i grilli parlanti ci sono anche i soloni». Che intende per soloni? «Quegli intellettuali che sembrano immaginare per gli italiani un futuro di soli consumatori. Di gente che mangia e va in bagno. Intellettuali che non sembrano preoccupati del fatto che oggi non ci sia in Italia nessuna banca che abbia un assetto societario stabile. Questi soloni come spiegano che, dopo l’ Olanda e altri Paesi europei, anche la Francia si appresta a introdurre uno scudo protettivo degli interessi nazionali per impedire opa ostili provenienti dall’ estero? Cosa ha da dire, per fare un solo nome tra i tanti, il professor Marco Onado? E non ha da dire nulla Luigi Abete che, per sette mesi, ci ha assicurato che, in ogni caso, avesse o meno vinto Unipol, avrebbe lasciato la presidenza della Bnl? Come mai Abete ha accettato, dopo accorte pressioni, di garantire la continuità con la nuova gestione francese Bnp Paribas? Come si fa a gioire perché i francesi hanno preso Bnl? Dico che questi soloni difettano di lucidità intellettuale. In Europa ci si starà a pieno titolo se si è competitivi, non se si diventa un Paese di shopping di aziende». D’ accordo, ma la sua storia è diventata il paradigma della commistione affari e politica a sinistra. Il tramonto definitivo - è stato detto - della diversità morale dei post-comunisti. «Voglio subito chiarire una cosa. Un conto sono i miei comportamenti e le mie responsabilità, e ne parlerò adesso. Un conto è l’ Opa lanciata da Unipol su Bnl. Chi confonde le due cose è scorretto. Chi si lascia confondere da questa manipolazione non è molto intelligente ed accorto». A chi si riferisce? «Ai troppi che, nel centro-sinistra, hanno sovrapposto la mia attività privata con l’ assoluta trasparenza, bontà e correttezza dell’ opa su Bnl». Ammetterà, ingegner Consorte, che quei premi che le sono stati concessi da Chicco Gnutti (Hopa) a insaputa di Unipol e parcheggiati all’ estero in attesa di rientrare con lo scudo fiscale non sono belli a vedersi. «E perché? Io la mattina mi guardo tranquillamente allo specchio. Nel lavoro fatto per Hopa di Gnutti durante l’ acquisizione e poi la vendita di Olivetti, ho fatto anche gli interessi di Hopa e ho dato in quella compagine azionaria anche maggiore valore alla piccola partecipazione di Unipol. Il mondo cooperativo non deve dimenticare che sarà sempre in debito di riconoscenza con Hopa. Per dirne una, Hopa ha investito, su richiesta, fino a 750 milioni di euro a favore di Unipol, mentre Unipol ha investito in favore di Hopa fino a 350 milioni di euro. Certo, in Unipol mi si può dire e mi hanno detto: "Non ci hai informato di quei premi e dunque viene meno la fiducia". Nulla da dire. Ne prendo atto. Anche se la vicenda potrebbe essere controversa. Ma non credo e non ho mai creduto all’ eguaglianza tra diseguali. Dopo aver lavorato, oltre che per Unipol, anche per il mondo cooperativo per oltre 30 anni, risistemando catastrofici disastri aziendali e salvando circa 15 mila posti di lavoro, nessuno può rimproverarmi che è immorale aver accettato un premio per il lavoro svolto a vantaggio dei soci di Bell e di Hopa oltre che naturalmente per gli azionisti di Unipol». Lei si rende conto che questa suona come una bestemmia tra il popolo di sinistra, e forse tra chi di sinistra non è in un Paese dove molti hanno il problema della stenta "quarta settimana" quando si fa fatica ad arrivare e fine mese? «E’ un problema che mi angoscia e continuerò il mio impegno sociale nelle forme e nei modi più opportuni che riuscirò a individuare. Io per 14 anni ho lavorato 12 ore al giorno guadagnando la metà dei miei concorrenti diretti sul mercato. E l’ ho fatto di buon grado perché questo faceva parte della mia appartenenza convinta al mondo cooperativo. Oggi, però, ci si scandalizza del mio premio di 22 milioni di euro per una consulenza privata nella compravendita Telecom che, per citare un solo numero, ha portato a Bell un utile netto di 3 mila e 400 miliardi di vecchie lire. Vedo che a scandalizzarsi sono gli stessi che non hanno nulla da dire su stock option da 17 milioni di euro l’ anno, su stipendi da 5 milioni di euro lordi l’ anno o parcelle da 43 milioni di euro. Naturalmente tutti uomini che si dicono di sinistra». Converrà comunque che le cifre della sua vicenda irritano e indignano gli elettori del suo partito di riferimento, i Ds. «Qui, signori miei, c’ è una questione politica e culturale irrisolta nella sinistra: il rapporto tra ricchezza e socialità. Se uno è di sinistra deve essere necessariamente povero? La sinistra si consegna con il suo ideologico pauperismo a essere sempre maggioranza relativa e forse di governo, ma poi governa veramente? Che cosa significa essere di sinistra e stare nel mercato? Fare della demagogia? Certo, Unipol può anche tenere basse le sue tariffe, ma poi si indebita e fallisce, come sono state prossime al disastro tante avventurose imprese cooperative. Voglio dire che l’ economia di un Paese non è determinata dai buoni propositi, da una legge finanziaria o da chi la scrive, ma da chi produce punti di Pil. Se non sei presente lì dove il Pil si forma, puoi anche vincere le elezioni, ma sarai sempre salmeria e mai sulla linea del fronte. Il Labour si è liberato di questo problema. Perché o tu sei all’ interno di meccanismi reali dell’ economia che determinano la situazione del Paese e dunque governi davvero; o puoi anche vincere le elezioni, ma non governerai mai effettivamente». E’ una critica al gruppo dirigente dei Ds? E’ un rimprovero per come hanno maneggiato il suo caso personale? «Ma no. Anzi, voglio dare atto a Fassino e D’ Alema di essersi comportati correttamente nei miei confronti». Era «corretto» anche informare il segretario dei Ds che lei aveva il 51 per cento delle azioni Bnl quando l’ informazione era ignota al mercato? «A Fassino non comunicai alcuna notizia sensibile che il mercato non sapesse e stanno a dimostrarlo documenti ufficiali della Consob, con cui concordammo ogni passo, ogni informazione al mercato». Sta di fatto che, mentre lei comunica al telefono di avere il 51 per cento, il mercato sa che Unipol è salita al 41. C’ è una differenza. «La legge prevede l’ obbligo di Opa sopra il 31. In quella fase, dunque, anche i sassi sapevano che cosa stava accadendo. L’ informazione comunicata a Fassino era dunque del tutto neutra, innocua». Ma ha lasciato pensare che i Ds abbiano avuto un ruolo non di semplici spettatori nella scalata. «I Ds non hanno avuto alcun ruolo nella scalata a Bnl». Anche i suoi soldi fatti rientrare con lo scudo erano innocui? Si è scritto che quel denaro fosse la provvista destinata alla campagna elettorale dei Ds. «Questa è un’ altra menzogna. Prima che le cose finissero come sono finite, avevo sempre pensato che il mio tempo in Unipol avrebbe avuto un termine naturale non più tardi del 2008. Quei soldi dovevano servire come base per un progetto di lavoro personale che coltivavo allora e coltivo oggi. La prova della trasparenza di quel denaro è nel tipo di movimentazione che ha avuto una volta rientrato in Italia. Sono circostanze che ho messo io a disposizione della magistratura e che la magistratura conosce e sta verificando. Il punto, ancora una volta, è che, come vedete, si continua a confondere e sovrapporre in malafede le mie scelte e comportamenti personali con la scalata Unipol a Bnl. Possibile che non si voglia capire che cosa è successo?». Che cosa è successo per Giovanni Consorte? «Con l’ acquisizione di Bnl, Unipol sarebbe diventato il terzo gruppo finanziario italiano. In una foresta pietrificata, in un mercato di capitalisti senza capitali, nasceva un soggetto nazionale nuovo. L’ opa Unipol su Bnl, se autorizzata, sarebbe stata una delle poche lanciate in Italia con oltre il 90 per cento in linea capitale, e quindi senza indebitamento. A sinistra non tutti l’ hanno capito. Mentre i nemici della sinistra lo hanno capito fin troppo bene, al punto che ci hanno fatto fuori coinvolgendoci in tre questioni che non ci riguardano. Perché Unipol non ha nulla a che fare con Telecom. Unipol non ha nulla a che fare con il tentativo di scalata di Ricucci alla Rcs. Unipol non c’ entra nulla con Antonveneta». E con Giampiero Fiorani? «Non con Fiorani, con Banca popolare italiana. Unipol ha fatto con Bpi una sola operazione: ha comprato azioni Bpi per 60 milioni di euro e Bpi ha acquistato azioni Unipol per 148 milioni di euro. Chi ci ha guadagnato? Perché non leggo che Unipol non c’ è mai nelle operazioni di Fiorani? Mi sembra che ancora oggi, a sette mesi dall’ inizio di questa storia, pochi si rendano conto che, complice un’ informazione etero-diretta, Unipol, e quindi il possibile soggetto nuovo della finanza italiana, è stata bersaglio di un’ aggressione politicamente ostile. Mi sembra, ad esempio, che nessuno si sia chiesto come mai agli organi di controllo (Consob, Isvap, Bankitalia) siano stati necessari sei - dico, sei - mesi per autorizzare o bocciare la nostra opa su Bnl. E’ di questo che bisognerà parlare. Presto. Non ora. Ora, purtroppo, è il tempo del silenzio, ma la verità al momento opportuno verrà fuori». Sembra un minaccia, ingegnere~ «No, è una promessa di verità. Lo devo al mondo cooperativo, agli azionisti della Unipol e, se permettete, anche a me stesso». Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo