Prima Comunicazione febbraio 2006, pag.24 C.R., 21 febbraio 2006
La sfida di Verdelli in Rai
Prima Comunicazione febbraio 2006. Dopo due anni considerava già conclusa l’esperienza a Vanity Fair, il cui format di successo ormai era in grado di andare avanti con le proprie gambe. E probabilmente, iniziava a mancargli l’adrenalina che sale ogni giorno con l’avvicinarsi della chiusura della prima pagina. Inoltre, essendo per lui importanti le sfide, quale offerta migliore di rilanciare una testata, come la Gazzetta dello Sport, nel pieno dell’aggressione di televisioni e new media all’informazione sportiva stampata? Così, Carlo Verdelli dal 7 febbraio firma la Gazza al posto del dimissionario Antonio Di Rosa.
Il compito che ha di fronte Verdelli non è facile, ma il nuovo direttore del quotidiano sportivo della Rcs lo affronterà con il suo spirito calvinista milanese, di cui si è impregnato in famiglia, che mette il lavoro come una cosa seria e che considera il giornalismo una professione privilegiata, un mestiere di artigiani che ti dà la possibilità di essere in mezzo a ciò che succede. E, quindi, devi farlo solo con passione.
Verdelli la passione ce la mette anche nell’ascoltare le ragioni degli altri. noto per essere schivo e per avere un carattere ruvido. Di certo non sopporta i capricci di redazione.
Austero, serioso, si lascia andare quando suona la chitarra, e si scatena allo stadio a tifare per l’Inter.
Milanese, nato 48 anni fa in via Espinasse, periferia nord della città, Verdelli prende la maturità classica al liceo Beccaria, all’università, la Statale, dà 14 esami alla facoltà di lettere e filosofia, indirizzo storico. Quando torna, la Carlo Erba dove il padre è operaio annuncia la cassa integrazione. E Verdelli inizia a lavorare. Inizia nella nidiata di giovani che Giampiero Dell’Acqua assolda per le nuove pagine della cronaca milanese di Repubblica. Un anno e nel ’78 en tra alla Mondadori, a Duepiù. Dopo cinque anni passa a Pm (Panorama Mese): ci resta tre anni, diventando caposervizio con la direzione di Claudio Sabelli Fioretti. Nell’86 Alberto Statera lo vuole a Epoca: redattore, inviato, caporedattore centrale e nel ’91 diventa vice direttore, quando le redini del settimanale vengono prese da Nini Briglia. A Epoca lavora a stretto contatto con fotoreporter come Lotti, Mori, Leto, Del Grande, Bonatti, De Biasi, Calligani (che nella prefazione del libro ’Uno sguardo indiscreto’ definisce affettuosamente ”quelle impareggiabili teste di cazzo”). E impara a usare le fotografie, a sceglierle, tagliarle, metterle in pagina.
Alla fine della primavera 2004 Paolo Mieli lo vuole a dirigere Sette, che il direttore del Corriere della Sera vuole trasformare in un maschile. Poco più di due anni (con, tra l’altro, lo scoop del nudo di Martina Colombari, allora fidanzata con Alberto Tomba) e il 12 settembre ’96 Mieli annuncia l’intenzione di nominarlo vice direttore del Corsera con delega alla supervisione dei tre supplementi settimanali (Sette, Tv Sette, Io Donna). Mentre all’esterno gira voce che la Mondadori voglia Verdelli alla direzione di Epoca.
Comunque, nella redazione del quotidiano l’arrivo di un vice direttore considerato un ’esterno’ fa storcere il naso a molti, come poi emerge dalla risicata fiducia ottenuta due mesi dopo.
Al Corriere rimane quasi sette anni, comunque per tutta la direzione di Ferruccio de Bortoli. Quando Stefano Folli diventa responsabile, per sei mesi Verdelli fa un lavoro di manager, come responsabile delle nuove iniziative dei quotidiani della Rcs MediaGroup. Ma si rende conto che il suo lavoro è fare il giornalista e il 12 gennaio del 2004 arriva in Condé Nast con il compito di portare a compimento il progetto iniziale e fare del femminile un settimanale di prima lettura. Sui risultati parlano le cifre: da testata in evidente crisi d’identità, Vanity Fair nel 2005 ha registrato un aumento dell’80% dei ricavi pubblicitari e una diffusione che sfiora le 200mila copie.
C.R.