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 2006  febbraio 20 Lunedì calendario

Gandolfi Romano

• Medesano (Parma) 5 maggio 1934, Medesano (Parma) 18 febbraio 2006. fondatore e direttore del Coro sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, diresse dal 1971 al 1983 il coro del teatro alla Scala e alternò alla direzione corale quella d’orchestra, ad esempio al Regio di Parma, all’Opera di Roma, al Colon di Buenos Aires. Nel 1998 ha fondato il coro sinfonico Giuseppe Verdi. «L’essere musicisti parmigiani o parmensi comporta una fatalità non necessariamente rispondente al vero e persino gradita da chi ne sia l’oggetto. Romano Gandolfi era nato [...] appunto presso Parma. Maestro del coro dalla bravura pareggiabile, certo non superabile, veniva come tutti i suoi conterranei considerato un “verdiano” per eccellenza. In ciò è insieme un’ovvietà e una menzogna. Un direttore di coro teatrale che esercita la sua professione nei più grandi teatri del mondo non può non essere uno specialista di Verdi per la semplice ragione che Verdi rappresenta la base del corrente repertorio. Preparare e poi dirigere durante la successione delle recite i pezzi corali delle sue Opere, solo apparentemente semplici, implica dottrina, autorità, forza fisica e una conoscenza dei segreti tecnici dell’arte che deriva dalla tradizione e dall’esperienza personale. Pertanto Romano Gandolfi era un grande maestro di coro verdiano. Ma era, ancor più, un formidabile musicista che la modestia quasi morbosa del carattere celava dietro il commensale, il fumatore, l’estimatore della femmina. Chi ha avuto il privilegio d’essere per trent’anni suo intimo amico ne ha un quadro assai diverso. Al sommo della scala dei valori poneva Wagner. Il suo gusto musicale era toccato per lo più dalle partiture ove abbondano le alchimie armoniche e timbriche: onde era un appassionato cultore dei Francesi e in particolare di Berlioz, Debussy e Ravel. Quest’ultimo l’avrebbe abbracciato se avesse inteso le squisitezze timbriche del suo coro, direttore Georges Prêtre, in un indimenticabile Dafni e Cloe alla Scala. Il secondo aspetto del suo gusto erano la conoscenza e la venerazione dei Classici non operisti, da Bach in poi, favorita anche dall’esser egli un eccellente pianista e un maestro sostituto di quelli leggendarî la scomparsa dei quali rappresenta la principale deficienza nella catena esecutiva, per dir così, del mondo [...] In quanto maestro sostituto, poi secondo direttore e titolare del Coro al teatro Colòn di Buenos Ayres, uno dei primi del mondo, indi negl’indimenticabili anni della Scala, egli aveva collaborato con quasi tutti i sommi direttori d’orchestra. Commovente il suo culto della grandezza musicale. Viveva nell’adorazione del maestro Karajan; era uno degli acerrimi nemici della routine. Spietato nel giudizio privato sui concertatori, era di lealtà assoluta nel mettere a loro disposizione tutta l’arte sua nel nome della musica; e taluno forse nemmeno avvertì quanto fondamentale fosse l’apporto suo a interpretazioni portanti la propria firma. Desiderava imparare: diceva di continuo d’esser soddisfatto solo quando il direttore d’orchestra, ascoltato ciò che la compagine eseguiva dopo lo studio sotto di lui, applicasse correzioni e raggiungesse un ulteriore stadio di perfezionamento. Questo significa essere un grande artista. [...]» (Paolo Isotta, “Corriere della Sera” 19/2/2006).